venerdì, marzo 28, 2008

Monsieur e Madame Faccia di Gomma

Improvvisamente ho la sensazione che il mondo debba conoscere il mio parere su M. e Mme Sarkozy, che in questo momento si articola in due punti:

1. Lei è perfetta. Jacqueline e Diana si rodono nelle rispettive tombe. Sembra fatta apposta per fare la moglie del President, non fosse che (2).

2. Lui, di fianco a una così, sembra un buffone. Ancora più faccia-di-gomma di quanto non sia.

E qui bisognerebbe aprire un capitolo sulla gommosità facciale dei presidenti francesi, che non ha paragoni al mondo. In fondo Chirac e Sarkozy hanno ben poco in comune, a parte un vaghissimo retroterra gollista e una faccia che dice: "prendimi per le estremità, strizzami, maneggiami come pongo". Potrebbe essere un carattere nazionale, un sostrato celtico.

Oppure è colpa dei Guignols de l'Info, che se non sapete cosa sono non c'è problema, ve lo spiego in breve. E' la più fortunata trasmissione satirica francese, va in onda tutte le sere in chiaro su C+, ed è totalmente interpretata da burattini di gomma (latex). Vanno avanti da 20 anni, più o meno come Striscia (basta accostare le due trasmissioni per misurare l'abisso culturale: i Guignols si rivolgono più o meno allo stesso target di Striscia, ma sono 20 o 30 volte più intelligenti). In tutto questo tempo i Guignols sono stati accusati, per esempio, di aver contribuito all'elezione di Chirac proprio perché lo prendevano di mira più degli altri candidati, e ancora prima dell'elezione presidenziale lo avevano trasformato nel vero protagonista del programma: del resto sembrava fatto apposta, aveva la faccia giusta, già gommosa in partenza.

Ecco, magari ai francesi sta succedendo questo: essendo abituati a vedere le caricature gommose dei politici più spesso che le loro versioni in carne e ossa, finiscono per preferire il candidato che si mostra maggiormente gommoso anche dal vero, oscuramente consapevoli che magari non sarà il migliore, ma sicuramente li farà divertire. E Sarkò si trova nella situazione drammatica del politico a cui la gente chiede uno spettacolino di varietà: la situazione esattamente opposta a quella di Berlusconi.

mercoledì, marzo 26, 2008

Petrolio: la parola agli esperti

SONDAGGIO: GREGGIO SALIRA' A 62 DLR, POI SCENDE A 53
(AGI) - New York, giu. - I dirigenti dell'industria energetica nordamericana prevedono che il prezzo del petrolio greggio Usa continuera' a salire fino a toccare i 62 dollari, per poi assestarsi piu' in basso, sui 53 a fine anno, e imboccare poi la strada in discesa per i prossimi cinque anni: e' quanto risulta da un sondaggio condotto dalla RBC Capital Markets. Sono stati interpellati una cinquantina di manager e di investitori istituzionale: due terzi di loro prevedono che il prezzo ripieghera' a 35 dollari nel giro di cinque anni, mentre per il terzo restante potrebbe proseguire l'ascesa e nello stesso arco di tempo il barili potrebbe arrivare ai 100 dollari. Venerdi' I future del greggio Usa alla borsa merci di New York ha toccato il nuovo record di 58,60 dollari al barile, superando i 58,28 del record stabilito il 4 aprile. La nuova impennata e' coincisa con l'allarme causato dalla decisione di molti governi occidentali, Usa inclusi, di chiudere i propri consolati in Nigeria, per il pericolo di attentati. Anche se la Nigeria ha continuato a produrre ed esportare regolarmente petrolio, la minaccia terroristica ha preoccupato i mercati.
20/06/2005

CONFINDUSTRIA: PETROLIO A 49,6 DOLLARI BARILE MEDIA 2005
(AGI) - Roma, 12 lug. - I prezzi del petrolio resteranno elevati nel breve-medio termine ma le quotazioni non saliranno ne' potranno restare stabilmente sopra i 60 dollari a barile. E' quanto stima il Centro studi Confindustria, aggiungendo che nella seconda parte di quest'anno le quotazioni del Brent si posizioneranno sopra i 48 dollari (49,6 dollari per barile nella media dell'anno). Nel corso del 2006 si dovrebbe assistere ad un'altra lieve riduzione, che porterebbe alla fine dell'anno prossimo le quotazioni a 44 dollari al barile, con una media annua di 45,8 dollari. (AGI) Fra 121036 LUG 05 –
12/07/05

PETROLIO: OPEC, PREZZI A 45-55 DOLLARI AL BARILE NEL 2006
L'Opec prevede che i prezzi del petrolio si stabilizzeranno intorno a 45-55 dollari al barile il prossimo anno e non ritiene necessario aumentare la produzione di greggio. Lo ha dichiarato Adnan Shihab-Eldin, facente funzione di segretario generale, in un'intervista a Reuters Television. "La richiesta all'Opec non dovrebbe crescere significativamente il prossimo anno. Per noi non c'e' necessita' di aumentare la produzione - ha dichiarato Eldin - Stimo i prezzi del prossimo anno nel range di 45-55 dollari. C'e' lo spazio perche' si stabilizzino in questo range, certamente sopra 40 dollari".
31/10/05

IL PREZZO NEL 2006 A 50 DOLLARI IL BARILE
Nel 2006, il prezzo medio del petrolio dovrebbe posizionarsi attorno ai 50 dollari al barile. Lo sostiene Fatih Birol, capo economista dell'Aie, l'Agenzia Internazionale per l'Energia, sottolineando che «se tutto va bene, e soltanto se, il prezzo medio potrebbe scendere a 50$». Il prezzo, dice, «e' ancora molto elevato e - aggiunge - non siamo in grado di rassicurare i consumatori». Birol ammette infatti che per la domanda finale «i prezzi del gas sono già alti e probabilmente saliranno ancora più su».
Il manifesto - 29/12/ 05

SCARONI: NESSUN ALLARME RIFORNIMENTI. IL PREZZO DEL PETROLIO CALERÀ
Scaroni ha sottolineato di voler precisare in modo “chiaro come il cristallo che la sicurezza dei rifornimenti non è minacciata dalla scarsezza di idrocarburi”. Parallelamente ha previsto un calo del prezzo del petrolio l'anno prossimo a 50-60 dollari per barile.
Scaroni ha anche messo uno stop ai “profeti della rovina” che annunciano la fine delle riserve di greggio: ''Il mondo non sta finendo il petrolio”, al contrario, grazie alla tecnologia le risorse recuperabili mondiali sono aumentate nel tempo (da 0,6 triliardi di barili negli anni '40 a due negli anni '70 fino alle più recenti stime di fino 3,9). A suo avviso è possibile aumentare del 3% annuo la produzione mondiale
19/09/06

PETROLIO: SCARONI, PER DUE ANNI PREZZI SU LIVELLI ATTUALI

(AGI) - Roma, 4 dic. - Per i prossimi due anni il prezzo del petrolio dovrebbe rimanere sui livelli attuali. Questa la previsione di Paolo Scaroni, ad del gruppo Eni. "La nostra previsione e' che per i prossimi due anni il prezzo rimanga piu' o meno dove e' adesso, tra i 50 e i 60 dollari al barile", ha dichiarato il top manager a margine della presentazione del libro 'L'era del petrolio' di Leonardo Maugeri, direttore strategie e sviluppo di Eni. "Nel medio termine", ha aggiunto Scaroni , "ci dovrebbe essere una discesa, ma non sotto i 40 dollari al barile". (AGI)
5/12/06

ASPO CONFERENCE: OIL TO REACH $100 A BARREL ‘NEXT YEAR’

Ian Power, Irish Examiner
OIL is set to reach $100 a barrel by the end of next year, with production set to peak as early as 2015, a conference on the subject was told yesterday.
Chief economist at CIBC World Markets Jeff Rubin made the comments at the Association for the Study of Peak Oil and Gas conference in Cork yesterday, where world renowned experts in oil supply and demand met to discuss the future of the commodity.
Mr Rubin predicts that the price of oil will rocket in the next 12 months as consumption increases and supply diminishes.
“Triple digit prices, around $100 a barrel by the end of next year, will further depress demand for oil and the higher prices go, the sooner we will wean ourselves off hydrocarbons, which is where we need to go,” said Mr Rubin.
The conference was also told by former US Energy Secretary Dr James R Schlesinger that the world would need to discover another four or five countries with oil levels similar to Saudi Arabia to sustain oil production.
The conference heard that the peak production rate for oil will be reached when the industry reaches 100 million barrels per day, and it will then spiral into decline.
18/09/07

lunedì, marzo 24, 2008

sabato, marzo 22, 2008

Blogger e giornalisti in squadra assieme?

L'articolo che potete leggere qui sotto e che è uscito ieri sul Manifesto (nella pagina dello Sport) è stato ispirato da due post di questo blog: 1 e 2
Non vorrei esagerare con la serietà ma mi sembra, nel suo piccolo, un esempio di circuito virtuoso tra blog e giornalismo.

(lo copioincollo perchè notoriamente Il Manifesto cancella gli articoli dal suo sito nel giro di una settimana)


LA SQUADRA DEGLI OPERAI CHE FECE LA RIVOLUZIONE
Nel campionato regionale catalano soppravvive il Club Esportiu Júpiter che nel 1925 fu campione di Spagna e sfidò la dittatura
Andrea Sceresini
Barcellona

Prima c'è stata la dittatura, poi la guerra civile. Infine, l'avvento del calcio miliardario, l'esplosione dei grandi club, il consumismo della movida e del lusso sfrenato. Oggi, di quel vecchio stadio non resta più nulla: solo pochi ricordi, incorniciati nelle foto in bianco e nero. L'impianto è stato abbattuto, nel 1948, per ordine del regime. Al suo posto, sono arrivati i locali alla moda, le discoteche e le spiagge dei vip. Una lenta invasione. Che ha cancellato, nel giro di pochi decenni, gran parte dell'antico volto proletario di Barcellona. La squadra, però, continua a giocare. Non a Poble Nou, ma qualche isolato più a nord: dove le vie seguitano ad essere povere e i ragazzini si rincorrono sudati, come una volta, sulla terra battuta all'ombra dei palazzi popolari. Il Club Esportiu Júpiter ha traslocato, ma non ha smesso di vivere. Un tempo, era la selecciòn degli operai. Il suo nome significava sport: fútbol, come si dice da queste parti. Ma anche ribellione, anarchia e lotta di classe. «Io ero bambino negli anni Sessanta - racconta Julio Nacarino, ex presidente e memoria storica del gruppo, mentre fuma intabarrato nel suo giubbotto di pelle - la squadra era già in declino, e Franco ci aveva tolto sia lo stemma che i colori. Ma il mito resisteva, e ci affascinava. Lo fa ancora oggi, che giochiamo nel campionato regionale, dimenticati da tutti. Eppure, nel 1925 siamo stati campioni di Spagna. Abbiamo fatto la rivoluzione, siamo stati in carcere. Questo è stato il nostro Júpiter».
Storie lontane: di un calcio diverso, che predicava l'impegno e la giustizia sociale. E che oggi, forse, ha veramente cessato di esistere. E' il 1909, quando due ragazzotti inglesi decidono di fondare il club. Poble Nou, in riva al mare, è il «barrio» libertario: fabbriche, stabilimenti, strade operaie. La fede, saldamente repubblicana. E, non a caso, i primi soci del Júpiter sono quasi tutti anarchici. Per stemma, si fregiano della bandiera dell'indipendentismo catalano: cinque strisce bianche e quattro rosse, sormontare dalla stella a cinque punte. «Poi col passare degli anni, le connotazioni politiche si fecero sempre più marcate - continua Nacarino - la società si affiliò alla Cnt, il sindacato rivoluzionario, e, più tardi, al Soccorso rosso internazionale. Anche il numero dei soci crebbe a dismisura. Negli anni venti, erano già più di duemila». Ogni domenica, il piccolo stadio in calle Lope de Vega si affolla di donne e lavoratori. Le tribune sono in legno, e non sempre riescono ad accogliere tutti. Poi, nel 1923, arriva il golpe di Miguel Primo de Rivera, e anche per il Júpiter comincia l'epoca delle persecuzioni: «Dovemmo cambiar nome. Il club fu ribattezzato Hercules. Venne imposto anche un nuovo simbolo, più sobrio, e sormontato da una rassicurante corona reale. Molti affiliati furono rinchiusi in carcere, gli altri si diedero alla lotta».
Due anni dopo, a sorpresa, giunge il titolo di campioni di Spagna: si suona la March reàl, ma i tifosi non gradiscono e cominciano a fischiare. Scoppia lo scandalo: per tutta risposta, il governatore militare della Catalogna scatena una nuova ondata di arresti, infliggendo sei mesi di sospensione all'intera società. Sono tempi duri: per il calcio e per i lavoratori. In tutta la Catalogna, imperversano i «pistoleros patronales»: vere e proprie bande di sicari, organizzate al soldo degli industriali. Anche la Cnt ricorre alla lotta armata. I suoi leader sono Durruti, Ascaso e Garcìa Oliver: «los Solidarios», un nome che ben presto entrerà nel mito. Scioperi, sparatorie e attentati accompagnano ogni contrattazione. E il Júpiter, ovviamente, non resta a guardare: «Il club versava al movimento gran parte dei suoi incassi - spiega l'ex presidente, senza nascondere un orgoglioso sorriso - in breve tempo lo stadio si trasformò in un arsenale. Le pistole venivano smontate e nascoste dentro i palloni, durante le trasferte. Così operai, calciatori ed anarchici condussero fianco a fianco le proprie battaglie». Solo la fuga del re e la nascita della repubblica riusciranno, in qualche modo, a porre fine al massacro. E' il 1931. Il 25 settembre, Poble Nou accoglie Francisc Macià, leader della sinistra catalana: vecchio, coi capelli bianchi, anche lui reduce dalla galera. La folla si assiepa commossa, mentre un fotografo improvvisato immortala in un flash lo storico istante. Tocca al vecchio combattente restituire alla squadra il suo antico stemma: rosso, giallo, e stella blu. Lo stesso che la dittatura aveva deciso di cancellare.
Durerà comunque poco: solo qualche anno. Il 19 luglio del 1936, all'alba, tutta Poble Nou si sveglia di soprassalto. Le fabbriche suonano le sirene e gli operai escono in fretta, mentre per le strade una grossa notizia si sta diffondendo: i militari di Franco hanno appena abbandonato le caserme. Anche a Barcellona è cominciata la guerra civile. «I nostri vecchi hanno vividi ricordi di quella giornata. La folla si diresse allo stadio: c'erano tutti, persino qualche calciatore. Faceva caldo e il terreno brulicava di uomini. Le armi scarseggiavano, ma d'un tratto si cominciò a cantare. Era una vecchia melodia, l'inno della rivolta delle Asturie: A las barricadas. Infine, i lavoratori raccolsero i fucili, poi si schierarono ordinatamente, nello spazio tra le due porte. E fu da lì, dal campo del Júpiter, che partirono per fare la rivoluzione». Non tutti, però, riusciranno tornare. Per molti, di lì a pochi mesi, si apriranno nuovamente le porte delle carceri. Per altri, quelle dell'esilio: la vittoria del fascismo segnerà, anche per il Júpiter, l'inizio della fine.
Oggi la squadra si allena alla Verneda. Arrivarci, dal centro, è piuttosto complicato: c'è da prendere la metro, e poi a piedi, fino alle gradinate grigie che danno sulla ferrovia. Il quartiere si chiama San Martì, e quando il club vi fu esiliato, negli anni quaranta, altro non era che aperta campagna. In una saletta, sotto le tribune, giacciono ammassate decine di trofei. C'è la foto con Macià e, da qualche parte, anche un polveroso stendardo, cucito dalle donne del quartiere nell'epoca delle ribellioni. «Dobbiamo mettere un po' a posto», confessa un ragazzo dal cappellino bianco. I suoi coetanei, intanto, hanno appena finito di giocare. Sono soddisfatti, perché questa domenica è trascorsa bene: 2-0 al Sitges, una rappresentativa dell'hinterland. Molti, passando, lanciano un'occhiata alle vecchie medaglie. I più giovani sorridono: c'è chi sogna il Barça, chi il Real Madrid. Anche loro, in qualche modo, vogliono cambiare il mondo.

venerdì, marzo 21, 2008

Non so perché (il mio stile è così strano?)

Così come agli antichi Romani sfuggiva (almeno linguisticamente) la differenza tra il verde e l'azzurro, io devo avere un problema a distinguere l'indie dal mainstream. Faccio un esempio.

Questo è il classico pezzo che mi piacerebbe sentire su Inkios o Polaroid - invece l'ho trovato su Mtv, che vergogna. E invece di Enzo, li mette su Fiorello.

C'è evidentemente qualcosa che mi sfugge, e probabilmente a voi no, e so che mi state sfottendo già, però è un bel pezzo.

giovedì, marzo 20, 2008

dagli abbastanza cordate

Mi sono sentito con mio cuggino che ha dei risparmi: se Berlusconi e le banche ci prestano settecento milioni di euro (più o meno quanto perderebbe nel 2008), la salviamo noi Alitalia.

La ricetta è semplice: non licenziamo nessuno, non chiudiamo Malpensa, blocchiamo a tutti gli stipendi, e non facciamo mai più partire un solo aereo, mai più. In questo modo in pochi giorni ridurremo le spese del... boh... di parecchio (siamo giovani imprenditori coraggiosi, mica grigi contabili).

A chi obietterà che Malpensa, senza aerei che decollano o atterrano, non avrebbe molto senso, noi intraprendentemente ridiamo in faccia e ricordiamo che molto senso non l'ha già adesso, e che una compagnia che perde due milioni d'euro al giorno appartiene già al reame del surreale. Anni fa c'erano fabbriche al sud che non potevano chiudere: gli operai entravano nei capannoni, si sedevano, giocavano a carte e lentamente morivano di depressione. Questa è il mio progetto per Malpensa, mentre mio cuggino propone di farci un casinò: il personale ce lo avremmo, e se in teoria resta un aeroporto potremmo piazzare macchinette nell'area dutyfree e lucrarci parecchio.

mercoledì, marzo 19, 2008

Troppi sono i pericoli di internet, per esempio i vostri figli rischiano di imparare l'inglese sul serio

Le vacanze di Pasqua sono iniziate alle 13.00.
Alle 17.40 ho già beccato in biblioteca due maschiettini di seconda che "avevano già finito tutti i compiti" e guardavano Naruto in originale coi sottotitoli in inglese, con le cuffie. Viva la biblioteca, viva Naruto, viva internet, Cesari fottiti.

martedì, marzo 18, 2008

venerdì, marzo 14, 2008

Adrianus ad Iulianum de iure interruptionis

Vabbè, se ho capito bene per spiegare che di aborto dovrebbero essere le donne a discutere, Adriano Sofri (uomo) ci ha scritto un libro; e per spiegare a Ferrara che è sbagliato personalizzare un argomento così complesso, lo ha chiamato "Contro Giuliano". Ma scriversi semplicemente una lettera, no?

Sicuramente adesso Ferrara, vedendo il suo nome di battesimo su tutti i banchi di libreria, comprenderà il suo peccato di egocentrismo e farà un passo indietro.

giovedì, marzo 13, 2008

Air France mangerà i vostri bambini (con la mostarda)

Se non avessi pregiudizi piuttosto fondati su Maroni o Formigoni, stasera ad Anno Zero me li formerei tali e quali. E' da due ore che stanno difendendo Malpensa senza aver fornito un solo motivo serio.
Pur di raccattare il voto di qualche addetto ai bagagli sono disposti a concedere qualsiasi cosa al ridicolo. Sembra proprio che se chiude Malpensa nessun investitore straniero riuscirà ad arrivare al Nord, mai più, neanche a dorso d'elefante sul Moncenisio come Annibale. Quando Fassino, che in mezzo a loro assume la statura morale di Franklin Roosvelt, rammenta che in Valpadana esistono altri 6 aeroporti internazionali, Maroni sorride stringendo gli occhietti come un bambino colto col muso nella marmellata. Secondo Formigoni Air France non mira solo alla conquista di Malpensa, ma dell'Italia e del mondo. I vostri figli saranno costretti a mangiare rane fritte a colazione e gli sfilatini puzzeranno di ascella, attenti! Inoltre vi saranno terremoti e pestilenze, se chiude Malpensa.

Una proposta concreta: darla ai ricchi figli di papà

Ecco, dopo una settimana di berlusconità piuttosto deludenti (non ditemi che siete anche voi del tipo che si spaventa davanti a un oratore che straccia un foglio in diretta), finalmente è uscita la cazzata che farà epoca. Non al livello di "Mussolini mandava gli antifascisti in vacanza", ma di certo superiore a "chi vota a sinistra è un coglione". Anche per la riflessione storico-sociologica che sottende.

Devo ammetterlo: questo Berlusconi stile pane-al-pane vino-al-vino mi tocca delle corde. Sembra la caricatura che ne faceva la Guzzanti quando gli faceva assumere il Penthotal: le cazzate che dice hanno di buono che sono straordinariamente vere. E cioè: basta farsi un giro ai vertici per capire che le aziende italiane sono in mano a figli di papà che non hanno imparato nulla né a scuola né da papà. E quindi? E quindi, merda.

A questo punto, giovane precaria dal bel sorriso, se credi di avere delle qualità imprenditoriali, di che ti lamenti? Ci sono state fasi della Storia in cui toccava darla a vecchi bavosi, ma oggi no: oggi gli imprenditori sono giovani e incapaci, non vedono l'ora che arrivi una bella ragazza che, per dire, conosca almeno una lingua. Anche straniera, sì, per esempio inglese potrebbe servire.

sabato, marzo 08, 2008

Al di qua del bene e del male

Confesso che l'altra sera sono andato a sentire il cattivo maestro Oreste Scalzone più per cercare di catturare un momento di colore da mettere su youtube, che so una battuta, un inciampo, una scivolata su una buccia di banana, che per sincero interesse - che pure c'era - nei confronti dei suoi argomenti.
Mancando il coup de théâtre che aspettavo ne sono invece uscito ancora una volta con la convinzione di quanto sia povera, oltreché profondamente sbagliata anche a livello teoretico, questa pretesa (che non risulta compiutamente dal video qui sopra ma che è forse il sunto estremo della conferenza)– che purtroppo è presente anche in alcuni ambienti anarchici - di farsi scudo dell’ideologia per poter porre i propri atti al di là del bene e del male. Per certe concezioni del comunismo (ma non quella di Scalzone) potrebbe anche andar bene ma per un libertario mai. Ma per quale motivo uno dovrebbe voler fare la rivoluzione libertaria se non per istanza etica profondamente sentita ?

mercoledì, marzo 05, 2008

Polaroids from Tokyo (2)

Ci infiliamo in una specie di drogheria di tre piani che assomiglia a un negozietto pakistanお, con strani commessi che urlano (promozioni?) stando in piedi sui pianerottoli delle scale e scaffali bassi tutti accavallati.
Compro un deodorante inodore soltanto per la grafica assurda, che tra colori sgargianti e ideogrammi grossolani piazza un medaglione raffigurante una bambina francese dell`Ottocento in costume da crocerossina.
Faccio mille foto a confezioni che sembrano copertine di manga o scatole di Pokemon, ma che in realta` sono tinture per capelli, minestroni di verdure sconosciute e creme dimagranti。
A una delle ragazze italiane che e` rimasta senza bagaglio occorre il liquido per le lenti a contatto e perdiamo un`ora per farci capire da qualcuno e comprare quello senza sale. Scopriremo poi che forse era il caso di perdere qualche minuto in piu`.

In una sala da te` ci spiegano che il 3 marzo e` Hinamatsuri, "festa delle bambole", tradizionalmente dedicata alle giovani fanciulle. Si augura loro prosperita` e felicita` e si decora la casa con un elaborato allestimento di pupazzetti, i cui principali personaggi sono l`imperatore e sua moglie.
Io prendo una torta  tipica di questa festa, con una crema di riso molto dolce e rinfrancante, insieme al primo di una lunga serie di te` verdi, tutti dai sapori completamente diversi e sempre bollenti.

Dalle parti della stazione di Higashi, in un negozio di incensi e bacchette piccolo e buio come un confessionale, ci guardiamo negli occhi attraverso i fili che pendono dalla porta e a cui sono appesi piccoli sonagli portafortuna a forma di gatto.

Mentre cammino ancora indebolito dallo sbalzo di fuso orario guardo le ragazze giapponesi. Alcune indossano tacchi spropositati e trascinano i piedi in maniera penosa, senza nemmeno cercare di nascondere la propria inadeguatezza. Alcune piegano le gambe all`interno e fanno pensare a danni irreparabili alle articolazioni. Altre sono bellissime e fredde, con un‘eleganza spigolosa oppure sconsiderata, forse un riflesso di quegli stessi motivi che porta altri ragazzi a vestirsi da personaggi di cartoni animati. Queste ragazze hanno occhi dentro cui non riesco a leggere nulla. Mi domando come deve essere vederli da vicino, da un bacio. Dove mi sentirei.

Si e` fatto buio e contro il cielo risaltano ancora di piu` i neon e le luci dei palazzi. Sto sempre con il naso per aria a cercare di fare foto e catturare quel blu elettrico. Questo post vi e` offerto dal modello Panasonic DMC-FX12 e dalle persone molto gentili e molto piu‘ esperte che me l`hanno consigliata.
Sulla strada per l`albergo ci infiliamo in un Lawson a prendere una Cola Light. Lawson e` una catena di negozi a basso prezzo tipo 7-Eleven con frigoriferi pieni di bottigliette disposte come una Scala Pantone e un buon assorimento di manga di largo consumo. Qui faccio la mia foto preferita di questo viaggio.
[continua...]

martedì, marzo 04, 2008

lunedì, marzo 03, 2008

Polaroids from Tokyo

La British Airways ci smarrisce i bagagli e il primo vero contatto con il Giappone, dopo il prelievo delle impronte digitali della dogana, e` un signore sulla cinquantina in camicia bianca a maniche corte, basso e magrissimo, dal pizzetto a punta, che sembra uscito dai Casino Royale. Ci introduce a una burocrazia snervante e ridicola, fatta di modelli prestampati con didascalie in quattro o cinque alfabeti di cui riconosco solo alcune parole in inglese. Ci accompagna dal desk della compagnia e quello della customer assistance e di nuovo a quello della dogana per oltre un`ora, e finalmente riusciamo ad uscire dall`aeroporto.
Al bancomat prelevo quattrocentomila yen senza ricordare piu` quale sia il cambio con l`euro, mi fido di quello che hanno fatto altri della comitiva e sono contento delle poche e precise istruzioni sullo schermo. Nel piccolo terminal, identico a ogni altro aeroporto del pianeta, la delegazione inglese ci aspetta bevendo birra Moretti.

L`hotel si trova a Ginza, a est della citta`, zona nota per lo shopping e il passeggio domenicale. Mi sembra deserta quando arriviamo, verso ora di pranzo. Nella piazzetta sotto l`ingresso dell`albergo c`e` gente in fila davanti una specie di enorme portone da Disneyland, con tanto di orologio a cucu` e logge da cui potrebbero sbucare all`improvviso personaggi in costume. Sembra tutto fatto di biscotto. Mi spiegano che e` l`ingresso della sede di Nippon TV.

Alle pareti della hall pannelli di legno scuro. Lungo i corridoi vasi quadrati e vuoti. L`ascensore si apre e una ragazza in divisa ci saluta con un inchino. Il mio passaporto viene fotocopiato per la centesima volta.

L`effetto Lost in Translation arriva due secondi dopo essere entrato nella stanza d`albergo al trentesimo piano. All`orizzonte grattacieli gia` in parte accesi, sulla sinistra una torre di specchi il cui spigolo acuminato punta verso la mia finestra, dall`altra parte un imponente palazzo verde dietro i cui vetri intuisco mille uffici, attivi nonostante la giornata di festa. C`e` foschia in lontananza e silenzio mentre il traffico in basso si muove. Piu` in la` scorre un largo canale. Sono lontano, non dormo da quasi due giorni e nella stanza solo per me ci sono due letti troppo grandi.

Non vedo l`ora di uscire e camminare e mangiare qualcosa che non porti il marchio di una compagnia aerea. Ci sono sei gradi e tira un leggero vento ma splende il sole. Cominciamo a percorrere un grande viale pedonale, alla ricerca di qualche negozio dove comprare l`indispensabile di biancheria. Ci accompagna Mika, una collega giapponese molto gentile e paziente, con un buon senso dell`umorismo.
Entriamo in un MaxMara, in un altro centro identico alla Rinascente e nella versione giapponese di H&M, ovvero Uniqlo. Sulla free map presa in albergo non e` segnato il nome di quasi nessuna strada, soltanto delle stazioni delle varie metropolitane e quelli degli edifici piu` importanti. Comunque mi pare di essere dalle parti di Chuo-dori.

E` un luogo comune, ma fa davvero impressione la quantita` di gente che se ne va in giro con la mascherina bianca come se ci fosse chissa` quale epidemia. E dato che quasi tutti qui sembrano parecchio eleganti, il contrasto e` ancora piu` forte.
[continua...]

domenica, marzo 02, 2008

Ci avete fatto caso ?

Berlusconi ha rinunciato al palco. Ormai parla dal trespolo, che fa tanto vintage primo 900, e trasmette di più l'immagine di un leader di popolo.
Fossi nei consiglieri di Veltroni gli direi di rispondere parlando da arrampicato su un lampione, come si vede in certe vecchie foto ingiallite.