giovedì, giugno 30, 2005

chi può darti di più

Se in questo periodo avete guardato un po' di televisione - giusto per tenervi aggiornati sul caldo che fa - ormai avrete familiarizzato con la nuova pubblicità della Coop. E magari vi sarete già chiesti: ma che razza d'idea è? Perché quella distinta signora di mezza età sgraffigna un camice e si spaccia per un'inserviente? Chi mai, entrando in un supermarket, vorrebbe ritrovarsi degradato da cliente a commesso? Insomma, che è successo ai creativi della Coop? Si sono bevuti il cervello? Non sarebbero i primi.

Francamente non so, non sono addestrato per capire se lo spot porterà qualche cliente in più nelle Coop. Ma so che ieri - complice il caldo - mi ha riportato per un attimo alla mia infanzia. Quando ero bambino e a volte in questi afosi dopopranzo mio padre mi portava con sé al bar, anzi, al "circolo". E prima estraeva dal congelatore il gelato che avevo scelto sul tabellone; poi passava dietro il banco, si preparava un caffè e infilava due monetine nella Cassa (il registratore non era ancora arrivato). Quel passaggio dietro al banco, compiuto con la massima naturalezza (mio padre era un socio fondatore), aveva per me qualcosa di elettrizzante. Un momento prima il papà era un cliente; un attimo dopo, era il gestore: libero di pagarsi da solo, di prendersi il resto, di lasciarsi una mancia. Proprio come la signora dello spot, che si mette e toglie il camice, e prova così l'ebbrezza di passare da una parte all'altra del mondo della Grande Distribuzione. Perché "la coop è lei", esattamente come mio padre "era il circolo". Non un semplice barista o cassiere; neanche un semplice cliente: l'uno e l'altro, nello stesso momento. Un socio. Chi può darti di più?

Più tardi, quando io stesso ho iniziato a girare il banco e scambiarmi da solo le cento lire per il pac-man, non ho mai smesso di sperimentare quella strana sensazione, ogni volta che mi ritrovavo dalla parte della cassa. Per un breve istante l'intero bar era a mia disposizione, sotto la mia responsabilità: e tutto questo, senza nemmeno bisogno di lavorare.
Col tempo la passione per il pac-man è sfumata; non mi è mai passata, invece, la voglia di girare dietro i banchi. Così, senza avere nessun talento per la ristorazione, mi è capitato di fondare un circolo con alcuni miei amici. Dalle nostre parti è abbastanza facile (è più difficile restare aperti): e se sei un circolo, puoi far bere e ballare senza bisogno di licenze.
Per questo anche a me, come alla signora dello spot, è capitato di afferrare il primo camice o grembiule o tesserino e giocare per un'ora o un giorno a fare l'inserviente, il cameriere, il gelataio, il servizio d'ordine; senza chiedere un soldo, perché alla fine cambiar lavoro ogni giorno è perfino divertente. E - se togliamo il sesso - a una certa età forse non c'è nulla di più appagante di girare un banco, e trovarsi all'improvviso nel mondo degli adulti: sentirsi investito di una percentuale di responsabilità, sperimentare il sottile brivido del potere; avere per una notte a propria disposizione un frigorifero, una cassa, un mazzo di chiavi. Senza esagerare con le preoccupazioni: quando ci si stanca di tutta questa maturità, basta girare di nuovo il banco, e siamo di nuovo semplici ragazzini, semplici clienti. Ma con qualche complicità in più con l'amico o il cugino, che stasera fa il buttafuori e sarà felice di farti entrare.…

Forse una delle molle che spinge molte persone a darsi al volontariato è proprio l'opportunità di quel magico giro dietro un bancone. Che è più gioco che lavoro: nessuno si aspetta da te una vera professionalità; è sufficiente che tu sorrida e sia simpatico. Come la signora dello spot: non so se il suo comportamento sia concepibile in Sicilia o in Lombardia. Ma in Emilia, altroché. Sapere che il bar sei tu, il supermercato sei tu; la polisportiva, l'ambulanza, il cinema, il festival, sono altrettanti banconi facilmente aggirabili quando vuoi: ecco il sogno emiliano, che solo da lontano si può confondere col comunismo. Il comunismo era un ideale violento di collettivizzazione; in Emilia hanno prevalso la cooperazione, la cooptazione, e un'incarnazione singolarmente bonaria del potere, coi suoi sindaci paciocconi. È difficile prendersela con loro, anche quando aprono CPT o speculano sulle privatizzazioni delle municipalizzate: perché? Perché alla fine senti che anche il sindaco sei tu, la giunta sei tu, il consiglio comunale sei tu (non ti hanno già chiesto di candidarti? Strano, sarà per la prossima volta), e i loro difetti sono anche i tuoi. Si capisce, se il bar sei tu, non è il caso di lamentarsi troppo dei servizi. O rischi di trovarti con lo spazzolone in mano. Sul serio, da noi se protesti troppo rischi di trovarti sulle spalle un assessorato: chi può darti di più? La cooptazione non perdona.

Se dovessi scegliere un rappresentante politico di questa emilianità, non avrei dubbi per un istante: Romano Prodi. Che fa politica da una vita (trent'anni fa era ministro sotto Moro), eppure non ha mai dato l'impressione di farlo per mestiere; piuttosto un'improvvisazione estemporanea, una missione di volontariato; un grembiule da infilarsi e sfilarsi prontamente, proprio come quello della signora dello spot. Passava di lì, ha trovato una fascia da leader che non usava nessuno, se l'è infilata e ora gira indefesso tra gli scaffali, chiedendo i clienti di dargli una mano a scaricare, perché "lo Stato sono io, e siete anche voi". È impossibile prenderlo troppo sul serio - si vede che il grembiule non è il suo - ma in un qualche modo riesce simpatico, i suoi difetti sono troppo familiari. Per contro, un politico del tutto anti-emiliano mi sembra Sergio Cofferati, che invece di cooptare occupanti di case sfitte e pancabbestia, parla di "ripristinare la legalità". Legalità? Ma che c'entra la legalità con la gestione emiliana del consenso? Manca poco che dica "lasciatemi lavorare".

Io non so se il modello emiliano sia in un qualche modo esportabile: eppure è una domanda d'attualità, visto che in un giorno non lontano potremmo assistere a una sfida al vertici tutta bolognese (Prodi contro Casini o Fini). Sarebbe interessante. Gli emiliani sono stati raramente al potere in Italia; per contro, un romagnolo c'è rimasto per vent'anni, con un modo di fare tutt'altro che bonario; eppure anche lui improvvisando è riuscito per un po' a farsi condonare magagne enormi.

Non lo so - forse sono troppo emiliano per capirlo. Del resto è un po' che ho smesso di girare intorno ai banchi, e di infilarmi grembiuli che non mi calzano. Forse sto invecchiando, mentre cerco impegni veri, vocazioni, carriere. La verità è che continuo a improvvisare (non so fare altro): ma con sempre meno fantasia.

Anche al vecchio circolo di mio padre, nessuno gira più il banco per versarsi da bere: è da anni che hanno assunto un barista. Ci sono in giro troppe facce nuove, facce strane, facce che non conosci e non si conoscono tra loro. Non è questione di pregiudizi, ma come fai a fidarti?

E anche al supermercato: in teoria, sei tu. In pratica, non riesci ad affezionarti a una commessa, tanto è il turn-over dei contratti a tempo determinato. Che importa, tanto tra qualche mese apre il nuovo iper.

venerdì, giugno 24, 2005

il film più proiettato dell'anno...

...a occhio, almeno dalle mie parti, mi sembra Le conseguenze dell'amore. Mi ricordo le locandine quest'inverno. Poi le ho riviste in primavera, dopo che il film aveva vinto un premio (un premio qualunque, che di solito non basta a spingere un film nelle sale per altri tre mesi). Da allora ho continuato a farci caso: scompare qua, riappare là, fa un giro in provincia, torna in Centro. Ed è luglio, ormai. A questo punto, mi sa che se la gioca con Guerre Stellari.

Magari è una questione di sovvenzioni. Magari lo proiettano solo in sale vuote. Magari è il film preferito da proiezionisti e maschere: "La prossima settimana dobbiamo tenere aperto anche se non verrà nessuno. Cosa mettiamo?" "Mah, vedo se c'è in giro una pizza di Conseguenze dell'Amore". Magari hanno stampato un sacco di pizze, chi lo sa.

(Come dev'essere il film preferito da maschere e proiezionisti? Battute che non stancano nemmeno al ventesimo ascolto. Un cinema ambient).

Magari, invece, è un bel film. Non so, quasi quasi lo vado a vedere.

martedì, giugno 21, 2005

Libero Stato d'Isteria

In uno Stato non dico normale, no, in uno Stato appena appena ragionevole, un giorno al Parlamento scappa votata una legge ottusa e oscurantista sulla fecondazione assistita. Cose che capitano, per carità! nelle migliori repubbliche.

Ma per fortuna c'è un'Opposizione compatta e ragionevole, guidata dai migliori cervelli della nazione, che nottetempo si riuniscono e decidono il da farsi. (Continua)

venerdì, giugno 17, 2005

time for fighting in the streets

E sì, devo ammetterlo, negli ultimi mesi il mio impegno politico si è dimolto ammosciato; certi bollettini sono stati colpevolmente lasciati sotto una pila di bollette estratti conto partecipazioni matrimoniali eccetera, ma da lunedì - se l'idea delle Primarie tiene fino a lunedì - io pensavo a un ritorno in grande stile.

Andrò in giro per le strade e per le piazze, raccogliendo firme, per Rutelli Leader. E anche per D'Alema Leader. Veltroni Leader. E Fassino, perché no Fassino? Io sono equidistante, ci tengo a tutti. Tutti devono gareggiare.
Lo so che loro non vorrebbero, si schermirebbero, la Leadership-di-Prodi-non-è-in-discussione eccetera; e invece no: occorre convincerli, piegare la loro proverbiale modestia e ritrosia. E spero che non sarò il solo, spero che molti mi seguiranno in questa nobile impresa di democrazia partecipativa: Primarie vere, Primarie serie. Con almeno 6 candidati pesanti.

L'aspetto positivo è che di quei 6, almeno 5 li trombiamo, finalmente, e per sempre. Dopodiché, io sono pronto a tenermi il sesto (chiunq sia), con gioia. What can a poor boy do.

ma sì, un po' d'ottimismo ogni tanto, perdìo

Ché qui, volendo, abbiamo risanato il bilancio.

giovedì, giugno 16, 2005

il meglio della settimana...

...naturalmente è questo blog. E cos'altro?

Io adoro Alan Moore, aprioristicamente, ormai. Però mi piace anche questo pezzo sulla sua stronzaggine.

Perché è così, davanti a una buona stroncatura non resisto, vado in giuggiole. Il pezzo del New Yorker su Star Wars III lo aveva già segnalato Luca Sofri ("Scaccolarsi con Guerre Stellari", mi pare fosse il titolo). Su Miic adesso ci sono dei pezzi in italiano. Vale il prezzo del biglietto (di Star Wars, ovviam).

...Tutti gli interni del Lucasworld sono inni alla vita pulita, tranquilli come un obitorio, senza nessuno di quei fastidi e di quelle imperfezioni che danno un senso al processo noto come esistenza in vita. L'illuminazione non è data dalla luce solare, ma da un deprimente bagliore artificiale, come se Lucas volesse ricoprire tutti gli affari privati - quelle piccole minacce alla sua parafascistica ossessione per l'ordine - di una patina protettiva. Solo all'esterno si rilassa, e il suo modo di rilassarsi è scatenare l'apocalisse.
.

A proposito: se fanno le primarie domattina voto Miic. La sua strategia post-referendaria mi pare la meglio:


Prima ancora che in parlamento si cominci a discutere della revisione della 194, ci si traveste da integralisti cattolici e si raccolgono le firme per abrogare non solo la 194, ma anche la legge sul divorzio. Meglio ancora, per abrogare alcuni punti apparentemente tecnici delle due leggi, tolti i quali però diventi praticamente impossibile abortire o divorziare. La Chiesa, tirata in mezzo, se la gioca e fa propaganda per il sì. Il papa come al solito non parla di politica ("mettete una croce sulla scheda del signore", dice soltanto, citando un mistico del Medioevo boemo). Grave imbarazzo per partiti clericali e atei devoti (tra i loro elettori divorziati e donne che hanno abortito non mancano di certo), che quindi non si sbilanciano troppo. I partiti laici possono abbandonare ogni remora e puntare più o meno apertamente all'astensione (non si mettono in discussione diritti radicati da almeno trent'anni nella coscienza civile degli italiani eccetera eccetera).
Loro, gli italiani, continuano beatamente a fottersene e ad andare al mare. Salta il quorum, trionfa la laicità dello stato.


Ora, un piccolo gioco per noi happy few. Vi mando su un blog nuovo e mi dovete dire chi è l'autore. Ladies & Gentlemen, Misterghiro:

la globalizzazione, si sa, ha reso tutti un po’ più uguali. Gli autobus tardano anche qui, il 45% dei bambini non trova posto nei nidi pubblici, il tasso di inquinamento dell’aria è tra i più alti d’Europa ma anche quello delle case in proprietà (70% circa, ma per gli altri 30 gli affitti sono vere e proprie rapine da 800 € a monolocale). Nella mia civile città succede anche che ci sono vigili urbani tra i più fetenti del mondo. Sembra di voler generalizzare a tutti i costi ma è la verità.


Infine, l'apertura dello splendido portale neocone mi ispira ad aprire una sottorubrica di cui mi pentirò: il post più cretino che ho letto in settimana. Senza dubbio questo. Alla prossima.

venerdì, giugno 10, 2005

Ma astenersi non significa "No"

(Al massimo significa: "Non so")

Mi costa un po' ammetterlo, ma domenica andrò a votare.
Mi costa perché, in materia di referendum, io sono un astensionista convinto, e rivendico la mia appartenenza alla frangia dell'astensionismo democratico. Da non confondere con l'astensionismo qualunquistico di chi alla fila davanti alla cabina elettorale preferisce un più rilassante ingorgo sull'Autostrada del Sole. No. Rispetto i qualunquisti, ma il mio astensionismo ha un altro significato.
Il fatto è che io credo nel parlamento - non particolarmente nello scellerato parlamento che ci troviamo adesso, ma nell'idea di una democrazia parlamentare. Credo nel sistema della rappresentanza: credo che se il parlamento che ci ritroviamo fa schifo (e produce una legislazione schifosa) è semplicemente perché ce lo meritiamo. Lo abbiamo votato e ce lo teniamo: finché non impariamo a farci rappresentare meglio. Spero presto.
Perciò, in quanto sincero democratico, non mi perdo un'elezione. Legislative, amministrative, persino le europee. Ma i referendum, no. Avevo deciso di non votarli più. Per stabilire un principio: io non posso intendermi di tutto. Sì, va bene, mi informo, leggo i giornali (ma potrei anche non leggerli), ho studiato (ma potrei anche aver la III elementare): in ogni caso ci sono ancora tante cose che non so e non saprò mai. Non so se sia il caso di punire i giudici che giudicano male; non so se sia morale proibire il nucleare e importare energia dalle centrali francesi; non so distinguere un mattarellum da un proporzionale con sbarramento; nella fattispecie, non so quando l'embrione diventa un individuo (ma almeno so di non saperlo, e non è poco).
Tutte queste cose io non so, e ho diritto di non saperle. Non è qualunquismo: piuttosto, consapevolezza dei propri limiti. Sono un cittadino: lavoro, pago le tasse, e ogni tot cerco di eleggere rappresentanti che dovrebbero avere il tempo e la capacità di informarsi e decidere per me. Si chiama democrazia parlamentare, è imperfettissima, si sa, ma non si è ancora trovato di meglio.

Ci sono però in Italia minoranze agguerrite (e finanziate) che alla democrazia parlamentare non si rassegnano. Mandano pacchi di firme alla Corte Costituzionale più o meno ogni paio d'anni. Fosse per loro, il referendum non sarebbe una misura eccezionale: fosse per loro si voterebbe una volta all'anno, al mese. Ché di leggi schifose da abrogare non ne mancano, siamo d'accordo. Però: non è che il problema è alla sorgente? Non è che il problema è il parlamento schifoso che abbiamo votato, quattro anni fa? Non rischia di diventare, il referendarismo, un comodo alibi per convivere pacificamente con il parlamento e il governo osceno che ci troviamo? "Massì, votate la Cirami, votate la Gasparri, la Bossi-Fini, la Moratti; noi però ci riserviamo il diritto di abrogare qualche cosina ogni tanto". Quattro crocette per darsi un contegno. E intanto si trasmette l'idea che il corpo elettorale diventi per l'occasione legislatore: bella ipocrisia, chiamare il popolo ad abrogare questo o quel paragrafo, mentre al potere resta chi ha scritto la legge intera.

La legge, poi, secondo me è oscena, ma non più di tante altre. Forse il postero (e anche qualche nostro contemporaneo) avrà qualcosa da dire su un popolo che si scanna per il diritto dell'embrione a chiamarsi individuo e si dimentica dei diritti degli individui chiusi nei Centri di Permanenza. Centri di detenzione illegale, vergogna italiana che bisogna chiudere al più presto (lo ha capito anche Pisanu): però oggi in Italia non si parla di questo. Si parla di diritti degli embrioni e diritti delle madri. Questione importantissima, per carità. Però: chi ha deciso che era una priorità? Una piccola minoranza di raccoglitori di firme. Questo, secondo me, non è sano.

Tanto più che mettere un problema sotto i riflettori, in Italia, non equivale a risolverlo. Significa soltanto gettarlo in mezzo all'eterno campo di battaglia fra guelfi e ghibellini. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, ed è inquietante. Fino a un paio di mesi fa l'identità dell'embrione era solo materia di riflessione per occhialuti bioetici. Ma ecco arriva il Referendum! E tac, improvvisamente mezza Italia riconosce come articolo di fede che l'embrione è Vita. Magari poi il referendum lo vinceranno gli altri (personalmente lo spero): ma da questo punto di vista la frittata è fatta. L'embrione è arruolato nelle file di Santa Madre Chiesa. Magari chi sta dall'altra parte penserà a una vittoria del laicismo. Ma i laici veri lo sanno: da questi muro-contro-muro hanno tutto da perdere.

Detto questo, devo spiegare perché invece non mi asterrò. Per protesta, naturalmente.
Non nei confronti dei qualunquisti. Li rispetto, in fin dei conti non sono che un qualunquista più consapevole di loro. No. Protesto contro l'invasione di campo degli Embrionisti, cattolici, laici e Rutelli che siano. Hanno deciso di astenersi anche loro. Vogliono dare alla mia astensione un significato che proprio non ha.
Io volevo astenermi perché mi ritengo non qualificato ad abrogare questa legge; perché credo che il problema non sia la legge in sé, ma il parlamentaccio che l'ha votata: che per avere una legge migliore, occorre semplicemente votare rappresentanti migliori (cosa che, spero, faremo tutti l'anno prossimo). Dopodiché ce ne saranno, di brutte leggi da cambiare. Tra cui questa, che a me non piace.
Gli embrionisti, invece, mi stanno forzando la mano. Sostengono che l'astensione equivalga a quattro No, e che renda indistruttibile la legge, degna di restare immutabile di legislatura in legislatura. Come il divorzio e l'aborto. O il nucleare e la scala mobile. Ma scherziamo?
Astenersi non significa "No": significa semplicemente "Non so". Se vincerà l'astensione, gli italiani non avranno detto sì alla brutta legge 40: avranno semplicemente rifiutati di pronunciarsi, come è loro diritto. E il prossimo parlamento avrà tutto il diritto di disfare questa e altre leggi brutte e immonde. Con buona pace di chi domenica sarà andato al mare, di chi sarà andato in chiesa, di chi se la sarà spassata sul raccordo dell'Adriatica.
A me sembrava così ovvio: ma così ovvio, evidentemente, non è.
Così, per evitare il rischio di passare per un Astensionista Strumentalizzatore, domenica vado a votare. E consiglio di andarci anche a voi.
Ma - per quel che mi riguarda - giuro che è l'ultima volta. L'ultimo referendum, intendo. Non mi fregano più.

giovedì, giugno 09, 2005

dove son stato, cosa ho fatto mai

Interrompo il bel silenzio per avvisare che è uscito un pezzo mio su Vita su una faccenda di (forse) plagio già molto vecchia (ma del resto l'avevo scritto 15 giorni fa): Plagio o non plagio, i blog non perdonano. Spero che nessuno mi denunci, conosco solo avvocati alcolizzati (conosco solo alcolizzati).

Ed è uscito anche il nuovo numero di Sacripante!, sempre con un pezzo mio sulla semiosi creativa (cos'è? qualcosa che quella notte lì mi stava molto a cuore).

Poi, se a qualcuno interessa, io voto 4 sì: però il referendum è stato un errore. In generale ritengo un errore affidare qualsiasi cosa a Capezzone, compresa l'agenda politica di una nazione.