martedì, dicembre 27, 2005

la foto dell'anno

Il Tempo di Carpi, 28 luglio 2005, prima pagina:


Avere il tempo di scrivere un'intera stagione di Dawson's Creek su questi qui:

sabato, dicembre 17, 2005

Tifando contro George

Ci sono notizie che vanno sempre in prima pagina e nei titoli di apertura dei tg perchè interessano tutti, il prezzo della benzina ad esempio. Altre invece che fregano niente o quasi alle maggioranze ma possono colpire molto alcune nicchie di pubblico.
Per quelli della mia nicchia, gli ex-15enni-che-spedivano-letterine-a-re-ministri-e-generali per conto di Amnesty International, ad esempio, la notizia della bocciatura del rinnovo del Patriot Act è di quelle capaci di renderti un po' più lieve la giornata che stai vivendo.
Certo, a patto di non entrare troppo nel particolare. Di non indagare troppo sulle ragioni. Come sempre.

giovedì, dicembre 15, 2005

Quelli che la privacy

Non faccio più quell’altro lavoro. Adesso frequento centrali termiche. Qualche tempo fa ero in quella di un asilo
_“Prendo una foto dell’impianto”
_“Mah, non so se può. Bisogna chiedere alla direttrice. Sa, per la privacy …”
_“Non per volerla lisciare sa, ma lei è troppo avanti. Almeno un paio di generazioni. Per la privacy delle caldaie ci vogliono”

Mi fanno morire quelli della privacy
Ma perché un concetto così rispettabile si è tradotto nella legge più citata a sproposito della storia della repubblica ? Quella che nessuno conosce ma tutti sono pronti a ricordare agli altri.
Perchè è riuscita ad eccitare così morbosamente il torbido leguleio che alberga in ognuno di noi?
Riflettiamoci.

mercoledì, dicembre 14, 2005

Induttivi vs. Deduttivi

Fateci caso. Il dibattito sulla Val di Susa si svolge su due livelli completamente diversi: gli uni argomentano il no entrando nel dettaglio, gli altri difendono il sì a partire dai massimi sistemi. Ma la vera cosa divertente è che sono proprio i pre-galileiani a ritenersi più avanti.

lunedì, dicembre 12, 2005

Tifando George

Se dovessi dire come mi immaginavo la contestazione alla guerra in Iraq, ecco io me l’immaginavo come una Val di Susa di dimensioni continentali. Come una Venaus dall’Atlantico agli Urali. Qualcosa che avrebbe travolto e reso materialmente impossibile a qualsiasi governante, di qua e di là dall’oceano, proseguire per quella strada.
Andò invece molto diversamente. E l’Europa che non voleva la guerra si dimostrò impotente alla prova dei fatti.
Ecco perché oggi non capisco tutto questo entusiasmo per il presunto declino di Bush. Quando invece per riportare la partita in parità servirebbe semmai il terzo mandato.

La ragione per cui mi pubblico da solo

è che nessuno mi paga, naturalmente.
Poi c'è un'altra ragione, un po' più nobile, e cioè: si fa prima. Se mi viene in mente una cosa la scrivo, la pubblico subito e stop. Quando mi rendo conto che è una cazzata è già troppo tardi. Meglio così.

Detto questo, informo che è uscito il nuovo Sacripante, con la mia lettera (l'ultima). Scritta un mese fa, adesso non ho neanche il coraggio di rileggerla.

giovedì, dicembre 01, 2005

"Una specie di gusto inerte dell'insulto, del linciaggio".

Se il caso Sofri ci ha insegnato qualcosa, è quanto sia inutile scriverne su un blog.
Anche su libri e quotidiani, se è per questo. Non è servito l’appello di intellettuali e artisti, non è servita una raccolta di firme, né un digiuno. Tutto questo è stato fatto, e Sofri è rimasto dentro. Otto anni – che sono tanti, se vi prendete solo un attimo per rifletterci.
Non solo tutta questa attenzione non ha aiutato un uomo a uscire di galera: ma c’è da riflettere se non sia stata dannosa; se non abbia semplicemente eccitato l’animo capriccioso dei suoi odierni carcerieri. Dovevamo dimenticarcene, di Sofri: e lui a quest’ora sarebbe libero. Forse. Di certo, oggi non è più libero di ieri grazie a noi.

Se il caso Sofri ci ha insegnato qualche altra cosa, è quanto sia pericoloso scrivere. Su un blog. O su una rivistina, come si faceva una volta. E forse è questo che rende i blog così sensibili al caso Sofri: perché in qualche modo gli parla di loro.
Fateci caso: tutto iniziò con un flame innescato da giovani articolisti di belle speranze, che se la prendevano con un commissario di Polizia. Toni accesi, accuse pesanti, ma d’altronde si sa, la gioventù. A quel tempo non c’erano i blog per rovesciarci le opinioni ancora giovani e calde: ma c’era Lotta Continua e lo dirigeva Adriano Sofri. Oggi farebbe la blogstar (i sintomi ci sono: grafomania, opinionismo selvaggio…)

Di quei vecchi post articoli, scritti e lasciati scrivere, il vecchio Sofri si è vergognato pubblicamente più volte – e ancora a qualcuno non basta. E dire che è solo carta (e non è la carta a uccidere gli uomini). Una sottile fibra di cellulosa che in pochi anni ingiallisce e si consuma – per dire, io quei famosi articoli di Lotta Continua non li ho mai letti. Eppure, per quanto sottili, quei fogli di carta hanno segnato almeno una vita.

Capita a tutti di pentirsi di qualche scritto giovanile – ma un tempo almeno la carta ingialliva. Oggi no. Oggi c’è la cache di Google, e se serve anche l’Internet Archive. Gli archeologi del domani sapranno distinguere un’annata dall’altra in base allo stile del template. Ma non c’è rischio che un post sbiadisca o scompaia. Rimane tutto, ragazzi. Ogni singola stronzata che scrivete. Per favore. Pensateci.
Prima di infamare una persona che non conoscete – così come Sofri al suo tempo non conosceva di persona il commissario Calabresi. Prima di giocare a fare i giudici, prima di sputare sentenze. D’accordo, siete giovani, forse vi sembra un gioco. Non è un gioco. La scrittura è un affare serio. Non vi aiuta, non vi salva, non cambia il mondo, ma in compenso vi può rovinare; può farvi vergognare per una vita intera di una scemenza scritta o lasciata scrivere con leggerezza a vent’anni. Se il caso Sofri ha qualcosa da insegnarvi, è appunto questo.
E voi non state imparando, sciocchi.

Nel corso di questa campagna, questa posizione diventò una posizione abitudinaria, compiaciuta. Una specie di gusto inerte, diciamo, dell’insulto, del linciaggio, della minaccia, si è impadronito di noi e non solo di noi. (Adriano Sofri, dal libro L’eskimo in redazione di Michele Brambilla, Bompiani, 1993)

martedì, novembre 22, 2005

cosa c'è poi di male nel picchiare vecchiette?


Cos'è Sketch-O-Graphy?...bella domanda...vedetela come volete...c'è chi prende prozac...chi picchia vecchiette...io disegno! eh si... è come una mia personale terapia.

mercoledì, novembre 16, 2005

"qualcuno gli dica bravi e gli dica grazie"

E no che la censura in tv non è sempre solo Biagi-Luttazzi-Guzzanti-Santoro, no (come se tutta la libertà d'informazione debba passare da lì).

Per esempio (il primo che mi viene in mente): c'è Alberto Nerazzini. E Stefano Maria Bianchi. Per un bel po' La mafia è bianca in tv non la vedrete. C'è Totò Cuffaro che incontra un mafioso (filmato dai carabinieri) e altre piacevolezze.

Cercate nelle edicole. Inutile che vi dica che è bello, sono di parte. Ma Furio Colombo ne parla mostruosamente bene sull'Unità.

domenica, novembre 13, 2005

le scemenze che scrive Ferrara al New York Sun gridano vendetta al cospetto d'Iddio!

Via Camillo (che ama, è noto, tirarsi enorme zappe sui piedi).

On October 11, 2001, American flags burned in the streets of Rome out of hate, as they did in other European capitals. It was business as usual for the extreme left, after the short-lived rhetorical break in the days immediately following September 11. But on the same day, thousands of Old Glories, along with the Italian and Israeli flags, were instead flying proudly, this time out of love and solidarity, in the central, neo-classical Roman Piazza del Popolo. My daily newspaper, Il Foglio, had called for this show of support, and it was a rousing success with the full support of the Center-Right coalition that had just come to power.


Intanto non era l'11 ottobre, come dice lui, ma il 10 o l'11 novembre (non che abbia importanza).
Inoltre, io c'ero.
Bandiere americane bruciate? Mai viste. Certo, magari non le ho viste perché era un corteo lunghissimo.

Quello in Piazza del Popolo, invece, era ridicolo. Feci un sopralluogo, me lo ricordo. Thousands of Old Glories? Sì, a tenerne una per mano (c'era chi lo faceva). Fu un bell'autogol. E adesso, dopo 4 anni, ci permettiamo già di riscrivere la Storia come ci pare. Fantastico.

mercoledì, ottobre 19, 2005

Società Civile, Società dei dilettanti?

Le Primarie si possono prendere in tanti modi. Io preferirei celebrarle come la ratifica di un trattato di pace tra Società e Apparato. E ora mi spiego.

Per Società, io intendo quel gruppo più o meno esteso di individui che abitualmente non praticano la politica, ma ogni tanto si attivano: e organizzano campagne referendarie, manifestazioni, girotondi, ecc. Durante questi periodi, la Società si auto-attribuisce un aggettivo molto pesante: "Civile". Come se un esercizio saltuario della politica fosse il tratto discriminante tra civiltà e barbarie. Mentre evidentemente non lo è – ma non lo dico per polemizzare. Ammiro molto i membri della società civile. Mi è capitato, a volte, di farne parte. Ultimamente ho disapprovato certe civilissime scelte da kamikaze, come puntare tutto sul quorum di un referendum contro la Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana: ma in generale credo che la Società abbia un ruolo molto importante.

Ha però anche un grave limite: la Società è una dilettante, per definizione. Ogni tanto si organizza e ogni tanto no. Alterna periodi di indignazione e periodi di rassegnazione, come succede a tutti noi (la Società è tutti noi).
Per questo l'appellativo "Civile" lo trovo molto ambiguo. La Società Civile è quella che un bel giorno scende in piazza: ma il giorno prima non c'era: ergo, la Società è sempre Civile da poche ore. Ecco forse perché è così generosa. E ingenua: è nata ieri, anzi, stamattina.

Non solo, ma in Italia la Società Civile ha una tempistica stranissima. Uno si aspetterebbe, nell'anno delle elezioni, una lenta escalation verso la Civiltà: i cittadini, dapprima tiepidi, poi sempre più infervorati, fino al giorno del voto, finalmente! Poi la gioia (o la delusione), gli sfottò, e una rapida sonnolenza post-coitale. In altri Paesi (i Paesi cosiddetti normali), succede appunto questo.

Da noi – fateci caso – è il contrario. Nel 2001 la Società Civile si è svegliata percossa, attonita, a urne chiuse, il 13 maggio sera, con Berlusconi già a ripassare il giuramento. Parecchi di quei civili, il giorno prima, non si erano nemmeno presi la briga di andare a votare – storia vecchia, non sto a recriminare.
Tre mesi dopo, a Genova, la Società Civile si prese orgogliose mazzate per stabilire un punto d'onore. E poi ci fu il Palavobis. E i Girotondi. Un trionfo di Civiltà – a quattro anni dal prossimo voto legislativo.
Le BR ammazzarono Biagi, il governo suggerì che era colpa di Cofferati – la Società Civile portò due milioni di persone in piazza, il 23 marzo 2002. E poi ci fu il Forum Sociale di Firenze, le marce contro la guerra in Iraq. E poi? E poi, pian piano, la Società ha iniziato a de-civilizzarsi. È stato un processo graduale, e molto deprimente. Del resto, cosa vuoi pretendere da dei dilettanti? Certo, lo so, in giro c'è fior di dilettanti che dà i punti ai professionisti. Ma hanno un lavoro, una famiglia, non possono stare per cinque anni in piazza. La Società ha i suoi ciclici Alti e Bassi. Questo lo capisco benissimo. Quel che non capisco è: perché ha sempre i Bassi proprio ogni cinque anni, e proprio alla vigilia delle legislative? Nel momento in cui invece dovrebbe essere più sveglia e grintosa? Che razza di ciclo è? Io capisco che cinque anni di Berlusconi possano essere deprimenti (e furono tristi, a modo loro, anche i 2+3 anni di Prodi-D'Alema-D'Alema-D'Alema): forse allora valeva la pena di risparmiarsi prima.

Alle Primarie del Centrosinistra, la Società Civile è giunta spompata, diciamolo. Basta vedere i candidati "alternativi ai partiti". Il Candidato Senza Volto era l'espressione di un sessantaquattresimo dell'ex Movimento dei Movimenti: per dare un'idea della sua popolarità, su Indymedia lo sputavano. (Poi magari è anche una bella persona, che ne so). E poi c'era Scalfarotto, che della Società Civile mi sembra l'epitome – per non dire proprio l'epitaffio.
Secondo la vulgata più corrente, Scalfarotto è un manager-risorse-umane che lavora a Londra; un giorno si sveglia e si rende conto che la classe dirigente italiana fa schifo. (E questo fa molto Società Civile: abbiamo sopportato quattro anni e sei mesi, adesso basta!)

Le cose, in realtà, sono ben più complicate di così. Date un occhiata al suo curriculum: fa politica da una vita, il ragazzo:
Poco prima di laurearmi sono stato eletto consigliere di circoscrizione a Foggia, con i verdi del Sole che ride. Ho lasciato la politica in Puglia per un lavoro al nord (come capita a tanti!)
[…]
La passione politica non mi ha mai abbandonato. Nel 1996 scrivo una lettera a Repubblica per dire che il governo dell’Ulivo non fa sognare come tutti ci aspettavamo. Nascono “I delusi dell’Ulivo” e mi ritrovo d’improvviso a Palazzo Chigi con Prodi e Veltroni che vogliono saperne di più. Ma finisce lì.
Nel 2001 fondo con alcuni amici "Adottiamo la Costituzione", un movimento per la difesa della nostra Carta fondamentale [...] Dal 2002 vivo a Londra, faccio il capo delle risorse umane della divisione "Capital Markets" di Citigroup. Per lavoro gestisco 2200 persone in 54 paesi di Europa, Medio Oriente e Africa. Assieme ad un gruppo di italiani stupefatti dalle non lodevoli imprese del nostro governo di centrodestra (ma certamente non disposti ad arrendersi), fondo il primo circolo all’estero di Libertà e Giustizia attorno al quale gravitano in breve tempo centinaia di persone. Due settimane fa, entrando a una riunione, tutti i presenti mi chiedono di candidarmi alle primarie.
E io accetto.

Verdi Arcobaleno, Delusi dall'Ulivo, Adottiamo la Costituzione, e la prima sezione londinese di Libertà e Giustizia. Scalfarotto non s'intende di politica? Scalfarotto ha senz'altro alle spalle più esperienze di attivismo di Romano Prodi. Ha vissuto con partecipazione almeno tre cicli di Società Civile: l'ondata dei Verdi negli anni Ottanta, il 1996 e il 2001. E poi? E poi i cicli "finivano lì", e lui tornava al lavoro. Come biasimarlo? Uno deve pur mangiare. Ma viene da chiedersi: perché uno come Scalfarotto, che evidentemente la politica ce l'ha nel sangue, non ha mai pensato di passare al professionismo? Perché ha voluto restare uno splendido dilettante? È del tutto colpa sua?

Rispondo domani o posd, scusate, sono un dilettante dell'opinionismo e domani ci ho la sveglia.
(Comunque no, la colpa è dell'apparato).

giovedì, ottobre 13, 2005

il nome di questo blog è: piste

E piste siano.

Perché io mi chiedo: a cosa serve saper girare tra 60-70 blog, in questi casi? A leggersi 60-70 predicozzi su quanto male fa la coca? Evidentemente, no.
Evidentemente io (ma credo tutti) cerchiamo almeno 1-2 blog che raccontino cos'è la coca, Cristosanto. Che di maestrini in giro ce n'è già tanti, o no?
La letteratura del tardonovecento è eminentemente turistica: uno non ha il tempo né il fisico di perdersi in tutti i vizi, ma vuole almeno farsi un giro. Tenersi informato.

- Sul marketing da cocaina (Asphalto - occhio che tra un po' scompare).
- Cocaina, il bugiardino (Mardin)
- Riuscire a fregare Dio, I e II (raccontino molto sincero su un turista sessuale-quasi-suo-malgrado in Tailandia che si fa di chetamina direttamente dalla busta, non provateci a casa. Il tipo non scrive più dal 2001: ho come un brutto presentimento).

- Update: Dalle colonne del Giornale, G. B. Guerri ricorda i bei tempi in cui Lapo Elkann gli pisciava addosso (letteralmente), e informa gli sprovveduti: «Antistoria degli Italiani. Da Romolo a Giovanni Paolo II» (1997) fu studiato e scritto e levigato e reso così eccezionalmente bello e intelligente, proprio nel mio periodo di massimo uso di cocaina. Quasi quasi lo compro. Ma quasi. Se non è già esautito, eh.

mercoledì, ottobre 12, 2005

logo o non logo

Io Lapo Elkann, forse non è il momento giusto per dirlo, ma non l'ho mai capito veramente.

Io che forse mi sbaglio (anzi senz'altro), ma avevo sempre pensato di vivere in un mondo post-logo. Riassunto delle ultime puntate: nei globalizzati anni '80 riuscire a fornire prodotti qualitativamente più elevati alla concorrenza è sempre più difficile. I pubblicitari non hanno più le famose "reason why" su cui imbastire i loro slogan, e devono lavorare d'immaginazione. Il cliente non deve più 'preferire' un brand sulla base di valutazioni oggettive: deve amarlo. Deve riconoscere il logo e portarlo con orgoglio su di sé. Il logo diventa stile di vita, sistema di riconoscimento, religione. Con risultati spettacolari e cascami surreali: i ragazzini che staccano i "mirini" delle Mercedes e li appendono allo zainetto.

La cosa funziona per… una decina d'anni, diciamo, a cavallo del 1990, e poi le cose cambiano. Cambiano perché devono cambiare: la moda ha i suoi ritmi irrazionali, ma regolari. Cambiano perché nella libera società dei consumi tutto tende alla saturazione, per cui se nel 1985 gli scaffali erano ormai pieni di tanti prodotti tutti uguali, nel 1995 le vetrine sono piene di tanti loghi tutti fighi, e siamo al punto di partenza. Peraltro, insistere nel branding in un Occidente dove la forbice sociale torna ad allargarsi rischia di essere un boomerang: perché nessuno vuole essere "figo" più di un poveretto: e quando tutti i poveretti indossano un logo figo… quel logo non è più figo, è da poveretti. (Se girate per Parigi con una Lacoste, vi prendono per un magrebino. Se girate con una felpa fiat... non lo so, provateci).

A quel punto i loghi iniziano a rimpicciolirsi – la Nike si riduce a uno sbaffo minimo – quando esce "No Logo", non è che tutti si precipitino a comprarlo, ma alla fine è come se l'avessero letto tutti. Anche chi non si mette a spaccare le vetrine in centro, cerca comunque loghi meno sfacciati. È un'inversione di tendenza che abbiamo sentito tutti – a parte forse i fanatici della Apple; ma quella è la nicchia che conferma il mainstream.
Finché un bel giorno non arriva Lapo Elkann e ti piazza un logo grosso tutta la felpa, e a questo punto le opzioni sono due: o è un genio, avanti di 10 anni su tutta la baracca, o è un ragazzino sballinato che non conosce i fondamentali del suo mestiere. Chi può dirlo?

In seguito alcune dichiarazioni hanno fatto penzolare la bilancia. "La Fiat deve tornare a essere una macchina figa": siamo nel revisionismo storico. La Fiat non è mai, mai stata figa, perlomeno dal dopoguerra in poi. Magari poteva essere (con qualche sforzo) simpatica. Proletaria. Di culto. Trash, quel che vi pare; ma nessuno si è mai sentito figo a bordo di una Tipo o di una Croma – per non infierire su altri famigerati modelli di casa Lingotto. E gli amabili cinquantenni-e-qualcosa che continuano a menarsela con la loro prima pomiciata in Cinquecento (e votano leggi ambienticide in Parlamento), ebbene essi andrebbero semplicemente rinchiusi di nuovo in quella scatoletta e forzati a ripetere quei loro coiti maldestri fino a esaurimento della nostalgia. Va da sé che Lapo Elkann non ne ha nessuna colpa, ma le cose stanno semplicemente così: la Fiat non è figa. Ammetterlo sarebbe un buon punto di partenza.

"I giovani devono essere gasati a guidare Fiat": ma perché, poi. Sul serio: perché puntare sui giovani, che (1) in Italia sono statisticamente pochi,e (2) di quei pochi, molti la macchina non se la possono permettere, o perlomeno (3) non si possono permettere di sceglierla, e in ogni caso (4) il mercato dei giovinastri danarosi è già un aspro campo di battaglia tra contendenti, loro sì, veramente fighi (Mini, Smart…)? Da capo: o Lapo è un genio, e ha intravisto cose che io mortale non posso immaginare; o è uno sciocchino che vede intorno a sé solo ragazzini 'gasati' e 'fighi', e confonde il target di riferimento del brand Fiat col target di persone che vorrebbe vedersi intorno alle feste. Ma stiamo parlando davvero della persona che ha in mano l'immagine della Fiat? In questo caso, la cocaina sarebbe davvero l'ultimo dei nostri problemi. Poi, per carità, mi sembra giusto preoccuparsi per un giovane che ha pippato troppo e male. Ma anche per i dipendenti (indotto incluso) che nei prossimi mesi si pipperanno l'eventuale flop della Grande Punto.

La Grande Punto, col suo slogan ineffabile ("È arrivata, Punto": tot. 0 reasons why) è in sostanza una Punto più grande di quella che avevamo già (senza sentirci fighi). Proprio così: hanno preso un modello mediocre e l'hanno rifatto più grande. Che idea, eh? la prossima, magari la faranno più lenta, o più rumorosa, ci sono ancora tanti margini di miglioramento. È colpa di Lapo? Non credo. Credo che Lapo si trovi in un posto dove io mai vorrei trovarmi: a vender fumo, con la sua faccia, nella via dei rosticcieri. È l'altro lato di essere figli (o nipoti) di papà: quando tutto va male non puoi neanche licenziarti. E le figure di merda sono tutte tue.

Poi magari io non capisco niente, e lui è un genio. Lo spero tanto. Gli auguro di guarire e trovare il posto che fa per lui.

lunedì, ottobre 10, 2005

Non ci sono più mezze stagioni

Tra un terremoto e un'inondazione, non vorrei mai vi perdeste il nuovo numero di Sacripante e il mio pezzo, con cose rubacchiate dal blog di Giacomo Leopardi.
Caro Leonardo,
hai notato che le mezze stagioni non sono più quelle di una volta? Secondo te di chi è la colpa? Rispondi con franchezza...

martedì, ottobre 04, 2005

scarico tonnellate di merda tutti i giorni, cos'hai tu di davvero speciale?

Egr. Signori!

Poiché le accuse di Spaming sono sempre più numerosi, vorremmo precisare come segue:

Già nel mese di Maggio di quest’anno le è stata mandata un Mail nella quale abbiamo specificato, che i siti:

Comunicatore – Intertele – ufficioestero – Unionweb – Nozzeemusica – Studiometzger – Henrym – Auslandsbuero – Luchsaugen –

ed altri ns. Blogs e News Groups non operano più, e che gli indirizzo dei iscritti sono state passate alla “EUROSTUDIOS”.

Se questo Mail non l’avete ricevuta ci dispiace, se non l’avete letto, non è colpa ns. Comunque sia, non pratichiamo lo SPAM e vorremmo precisare come segue:

L’“EUROSTUDIOS” le ha scritto nel passato perché convinta che voi avesti letto questa comunicazione citato qui sopra e di conseguenza d’accordo di essere contattato anche dalla “EUROSTUDIOS”

L’ "EUROSTUDIOS" tratta i seguente temi: www.eurostudios.it

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Pubblicità europea con Video Streaming nelle pagine Internet per tutti.

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Qualora lei foste convinto di non essersi mai iscritto presso uno dei ns. Blog’s o News o di non averci mai mandato un Mail, (anche questo, per legge, ci permette di risponderle ed archiviare il suo indirizzo) la invidiamo gentilmente di cancellarsi qui sotto.

Anche ai iscritti consapevoli della iscrizione, ma non più interessati ai temi che trattiamo, chiediamo la stessa cosa.

NON mandateci le solite diffide: “secondo Informativa ai sensi della legge 31/12/96 n. 675”. La risposta è questa Mail ed il resto lo troverete qui accanto.

Ringraziamo tutti che restano con noi e salutiamo cordialmente.

domenica, ottobre 02, 2005

mestieri che s'inventano

Un giorno, in un posto qualsiasi, ascolti un tipo di musica. Te la fanno ascoltare i tuoi amici più grandi, o la scopri da solo. All'inizio ti piace e basta, com'è giusto che sia. Col tempo scatta qualcosa: ti ci affezioni. Diventa parte della vita, parte della giornata da sottrarre ad altri impegni. Programmi i fine settimana per seguire i concerti, le vacanze per i festival. Cominci a spendere troppo, e poi all'improvviso succede qualcosa. I soldi iniziano a tornare indietro.
Non molti all'inizio: e poi, gradualmente, sempre di più. Cosa è successo? Sei diventato un punto di riferimento: sai distinguere il buono dal cattivo, sei sensibile a tante piccole, minuscole differenze. Ormai sei tu che fai sentire i dischi agli altri – e passi più tempo a farli ascoltare che ad ascoltarli tu stesso. Forse non balli più. Ma sei diventato un dj. Bel colpo.

Il divertimento diventa passione, la passione si riduce in mestiere: succede. Faccio un altro esempio: un giorno ti trovi in un locale. Ti ci hanno portato i tuoi amici più grandi, o ci sei arrivato da solo. All'inizio ti piace e basta, com'è giusto che sia. Ma col tempo scatta qualcosa. Ci vai tutte le settimane. Intrattieni relazioni col personale. Diventa parte della vita, parte della giornata da sottrarre ad altri impegni.
Finché ti rendi conto che ci sei dentro. Per i tuoi amici era solo un ritrovo, per te è diventato qualcosa di più. Adesso sei un punto di riferimento: sai distinguere una serata buona da una no (è una questione di tante piccole, minuscole differenze). Ormai sei tu che fai entrare gli altri – e passi più tempo fuori a chiamarli che dentro a divertirti. Perché magari non ti diverti neanche più. Ma sei diventato un PR. Complimenti.

A ciascuno, secondo la sua passione. Per dire, un giorno provi una cosa. Coi tuoi amici più grandi, o da solo. All'inizio ti piace e basta, com'è naturale che sia. Col tempo però scatta qualcosa: ti ci affezioni. La cerchi. Sviluppi il tuo giro di conoscenze. Diventa parte della vita, parte della giornata da sottrarre ad altri impegni.
A un certo punto, ti accorgi che ci sei dentro. Per i tuoi amici era solo uno svago, per te è diventato qualcosa di più. Hai speso un sacco di soldi, eppure da un po' di tempo stanno cominciando a tornarti indietro. Perché sei un punto di riferimento: sai distinguere la buona dalla cattiva, hai naso per tante piccole, minuscole differenze. Ormai sei tu che la procuri agli altri – ed è più quella che smerci che quella che ti resta. Alla fine magari non ti fai neanche più tanto. Ma sei diventato un pusher. Buona fortuna.

mercoledì, settembre 28, 2005

pure cazzate?

Il dibattito Evangelisti / Dai Pra' sullo Sbrego di Moresco ormai è una cosa enorme, posso rimandarvi a Blogdiscount per un riassunto (ma poi Evangelisti ha ri-replicato, e anche Mozzi ha detto cose sinceramente interessanti tirando in ballo Serra e Pascoli, e a questo punto, capite…). Io vorrei concentrarmi solo su un microtesto. E cioè. A un certo punto, Evangelisti, per meglio spiegarsi, usa l'espressione "pure cazzate".

Seguono ulteriori insulti contro Moresco (“E’ inutile sfoderare gli anni del monolocale come garanzia di autenticità. Lo scrittore Moresco non è un extracomunitario arabo, non è un sudamericano accoltellato”). Pure cazzate.

Di seguito analizzerò l'espressione dal punto di vista del contenuto (1) e del significante (2).

1. Perché cazzate? Silvia Dai Pra' ha centrato un punto: a Moresco piace pasolineggiare. Non è una cazzata. Ed è, certo pasolinismo, un atteggiamento molto ambiguo. Ti piace mischiarti coi derelitti di borgata, ok, ma perché? Ti senti uguale a loro? Ma non lo sei, dai, si vede benissimo che non lo sei. Non sei un Rimbaud che lascia la letteratura per il commercio d'armi: sei e resti uno scrittore, che ha difficoltà a parlar d'affari coi colleghi (e chi non ne ha), e ti trovi meglio tra gente che non ti capisce. Proprio perché non ti capisce. Dalla recensione di Dai Pra':

Una birra in mano, si va a sedere sui gradini del Duomo, tra gli arabi, i sudamericani, i barboni, guarda scoppiare delle risse, vede un accoltellamento, un ragazzo sudamericano ammazzato. “Io mi trovo bene seduto per terra, là in mezzo. Non mi sento diverso. Mi sento più diverso quando mi capita di stare in mezzo alle persone che circolano attorno ai libri”. Siamo al fulcro del problema: Moresco si sente diverso dai letterati, che non stima, si sente diverso dalla piccola-borghesia omologata, ma si sente uguale a chi, realisticamente, è diverso da lui.

Non so i barboni, ma credo che molti arabi e sudamericani compagni di bevute di Moresco aspirerebbero (se potessero) in realtà a quella piccola borghesia omologata che lo scrittore rifugge. E qui è il grande equivoco del pasolinismo deteriore: vedere natura dove c'è cultura, scambiare per un eden selvaggio Piazza del Duomo. Col risultato perverso che mentre accoltellano un ragazzo sudamericano, lui "si trova bene". Ora non vorrei dire che Pasolini c'è morto, di questa contraddizione. Non volevo dirlo ma l'ho detto. Va bene. Ma come fa Evangelisti a dire che è una cazzata? È un problema serio. Odi i tuoi simili, apprezzi i diversi solo finché restano diversi e s'accoltellano tra loro. È il prezzo da pagare per scrivere buona letteratura? Io penso di no, parliamone.

2. Ma dovremmo stare anche attenti a come ne parliamo. "Pure cazzate". Se Evangelisti lo scrivesse in un libro suo, non ci troverei nulla di strano. Ma scriverlo in una replica a una recensione. Su una rivista telematica. Perché? Per fare la voce grossa? Per dare più pepe al dibattito? Ma non è vero: le parolacce non sono crudeli. Sono solo parolacce, come i Bang e gli Szock nei fumetti; non fanno male, non disturbano nemmeno. Son ben altri i modi di praticare la crudeltà in un testo scritto, e la Dai Pra' ne sa qualcosa: la sua recensione è di una crudeltà impeccabile.
Ora io mi chiedo: da quand'è che abbiamo lasciato passare certe espressioni fumettistiche nel dibattito letterario? Da quand'è che gli scrittori si sentono liberi di replicare ai critici a furia di "cazzate", che manco Vasco Rossi, ormai? Non lo so. Ho come il sospetto che c'entrino i Wu Ming, ma non adesso; magari ai tempi (non rimpianti) delle tute bianche; un certo tipo di stile barricadero che in fondo a me piaceva. Certe espressioni che leggevo dappertutto, del tipo: "le chiacchiere stanno a zero". Che come enunciato di principio è lodevole, ma… su un forum letterario? Le chiacchiere stanno a zero? Come andare in un bar e sentirsi dire: "i caffè e le briosce stanno a zero", bene, e allora ciao.

2bis. Infine, l'espressione "pure cazzate" tradisce un problema fondamentale della cultura italiana, addirittura. Che non è capace di parlare dei suoi problemi (dei problemi di Piazza del Duomo, del fatto che c'è gente che spaccia e si accoltella) perché le manca la lingua. Secondo voi Moresco come dialoga coi suoi compagni derelitti: in arabo, in spagnolo? Magari manco comunica, gli basta respirare in compagnia. A Evangelisti, invece, capita di scrivere un'espressione così: "pure cazzate". Che è un goffo tentativo della lingua italiana di scendere in piazza del Duomo: dove però nessuno, ci potrei giurare, userebbe un'espressione del genere.
E guardate che non è colpa di Evangelisti, che senz'altro è un ottimo scrittore: è colpa della lingua di Manzoni, che non riuscirebbe a farsi slang nemmeno dopo un mese ammollo nel Naviglio. E così ci troviamo con scrittori che rifuggono la piccola borghesia (ci mancherebbe altro), che frequentano le bettole e i malfattori, e il massimo che riescono a darci sono espressioni così: "pure cazzate". Che sa di libresco, mi spiace, di ginnasiale perfino, ma ripeto, non è colpa di nessuno. Forse andrebbe abolita semplicemente, la lingua italiana. E non parlarne più.

sabato, settembre 17, 2005

primo giorno di scuola (media)

ore 8, classe III Q

IL PRESIDE:
Questi è dunque il vostro nuovo prof, rispettatelo e adoratelo.

IO:
Amen. Tirate fuori l'antologia, alla svelta.

***

ore 10.30, classe III Q

L'ALUNNO:
e la tequila, prof? Quanti gradi fa la tequila?


IO:
Senti, non ha nessuna importanza che io adesso mi ricordi la gradazione della tequila, perché c'è di peggio, lo sapete? Lo sapete qual è la vera essenza demoniaca? Il Bacardi Breeze! Quattro gradi! è quanto basta.

L'ALUNNA:
Ma una non fa niente, prof.

IO:
Ecco, sentite? E' il demonio che parla per mezzo di lei! E' proprio perché una non fa niente, che presto passi a due. Il demonio, vi dico. Infatti, qual è il logo del Breeze?

GLI ALUNNI:
Il pipistrello, prof.

IO:
Ma per l'appunto.

Poi si è parlato del modo migliore di ammazzare i condannati a morte, forca vs ghigliottina. Sarà un altro grande anno.

lunedì, settembre 05, 2005

il Kyoto fisso

chiedo scusa per il gioco di parola, sto cercando di smettere.

Io non so se qualcuno, sulla stampa o in Rete, stia veramente compitando il sillogismo: "Katrina è colpa di Bush perché non ha ratificato Kyoto". Che è veramente una boiata, mi rendo conto: esattamente quel che serve al Christianrocca o all'Enzoreale di turno per i loro pastoni anti-anti-americani. Noto che in generale sono più veloci loro degli anti-americani, per cui molto spesso sono portati a inventare o ingigantire posizioni anti-americane per il gusto per sfatarle. (Tam Usa quam Israele, del resto).
E allora.

E allora, certo, prima di lamentarsi perché gli Usa non ratificano Kyoto, sarebbe meglio almeno verificare se lo rispettiamo noi, che lo abbiamo già ratificato. E mi pare di no. Quindi non è il caso di fare la morale.
Secondariamente, bisogna tener conto che Kyoto, anche quando qualcuno lo rispetterà, resterà pur sempre un misero placebo: vedi il grafico qui. E questo si sa: con Kyoto si vorrebbe aver impostato soltanto un modus operandi; l'idea che le emissioni siano da ridurre, tenendo pur sempre in conto le esigenze dei paesi in via di sviluppo.

Dopodiché: si può dare la colpa al Governatore (ma la Louisiana si aspettava aiuti federali che non sono mai arrivati, a causa dell'Iraq, si o no?); si possono leggere le statistiche nel più partigiano dei modi, e concludere che gli uragani stanno diminuendo; si può eleggere il confusionario Michael Crichton a esperto climatologo; si può inveire contro qualcuno che si suppone stia gongolando (ma dove, ma quando?) si può fare questo ed altro. E si fa. Ma non si fa bella figura. Si nasconde semplicemente la testa sotto la sabbia. O sotto l'acqua, meglio.

venerdì, agosto 05, 2005

femmes de footballeurs

si', guidando per giorni e giorni si fanno, nei motel francesi che almeno esistono (gli italiani, no) simili scoperte: ho sposato un cqlciatore era un format. I francesi hanno la loro versione, dove i nostri centravanti moraccioni diventono biondaccioni (e anche viceversa), e le veline idem. Bien que non ci siano tutte 'ste veline, in francia, il che rende tutto un po' surreale.
Per dire il baffone molto viveur che mi stava un po' in mezzo tra Tacconi e Vieri, qui ha le orecchie a manubrio, e la manager-megera è veramente megera. In generale la realizzazione mi sembra inferiore all'italiano, per cui non credo che l'originale sia franco, ma a qsto punto neanche italiano: quando lavoravo al calcio inglese ricordo di aver sentito parlare di una serie che si chiamava "footballers' wives": sara' lei l'origine comune?

E a noi che frega? Mah, nulla, ma so che al tempo la serie attiro' l'attenzione di palati abbastanza fini. Mentre, malgrado la materie, non fu tutto 'sto successo di pubblico. E se era un format internazionale, forse ho capito il perché: sceneggiature più solide della palta nostrana, ma anche un certo retrogusto di mostarda, qualcosa di malgrado tutto estraneo alla nostra sensibilità.
E un po' tremo all'idea che sulle petites differences tra le realizzazioni nazionali dello stesso format, in scienze della comunicaz, ci si potrebbero laureare torve di studenti.

lunedì, agosto 01, 2005

ogni volta che vengo mi sconvolge...

La bruttezza del logo della Caisse d'epargne.

Vichy

Direi che Salo' è molto meglio. Ma di gran lunga.

ma è perché mi piace la Franciq...

...che mi faccio ogni anno duemila e piu' km in auto, o è perché mi piace fare duemila e piu' km in auto all'anno che mi ritrovo in Franciq?

(en trqversqnt La Palisse, qpres Vichy)

AZERTY, fqnculqti lq merdq!

scusate lo sfogo, sto nellq cqpitqle mondiqlme dellq culturq, l'unico pqese ql mondo con auel qzzo di tqstierq

giovedì, luglio 28, 2005

don't go back to bullland

Stavo riflettendo a quanto sono buffe le etimologie, vere o false.
Per esempio, Pakistan, anche se è nato come un acronimo, in Urdu può voler dire "Paese dei puri". Iran credo voglia dire "Paese degli ariani", cioè dei puri. Ma anche Francia, è la terra dei Franchi, cioè dei nobili, cioè dei puri. E l'Italia?

L'Italia, secondo l'etimologia fino a qualche tempo fa più accreditata (e probabilmente falsa, ne parliamo un'altra volta) è la Terra dei Vitelli. Che altro dire.

Dico che proprio nel momento in cui avevo emotivamente bisogno di un'inviata mia personale speciale in Egitto, cioè Lia, ella ha deciso che s'invola, torna alla terra dei vitelloni impuri, e da mia inviata speciale personale si trasforma in mia diretta concorrente nella lunga trafila per la sopravvivenza. E mi dispiace. Lei sembrava stare bene là, e io stavo bene qua a leggerla. Adesso di che scriverà? di scuole vitelliane piene di bulli e bulletti? Grazie, avrei già dato. Beh, ma in bocca al lupo.

ma maestra, ha cominciato lui

(Minestra riscaldata dimenticata in frigo la 7imana scorsa)

Il mantra di questi ultimi giorni è senza dubbio "c'è stato prima l'11 settembre". E finché lo dice il piccolo blog d'opinione o l'editorialista un po' becero, passi. Ma sentirlo dai microfoni di statisti più o meno illustri (Jack Straw, Gianfranco Fini), è una cosa che fa spavento.
Infatti, cosa significa "c'è stato prima l'11 settembre"? Più o meno è come dire "hanno iniziato loro". Una frase che sta bene in bocca a un bambino, piuttosto che a un Uomo di Stato.
"Giovannino, non tirare i capelli a tua sorella".
"Ma ha iniziato lei".
Ogni genitore o educatore sa bene come questo discorso sia viziato in partenza, per due motivi. Primo motivo: non è vero che ha iniziato la sorella. Cioè, tecnicamente sì, stamattina lei gli ha pestato i piedi, ma dietro c'è tutta una storia di ripicche e invidie che data dalla notte dei tempi. E questo ci porta al secondo motivo; non ha nessuna importanza sapere chi ha iniziato: l'unica cosa che conti è sapere quando la finirete, tutti e due.

Analogamente: l'11 settembre è senza dubbio stata la madre di tutti gli attentati, un enorme contraccolpo emotivo per l'opinione pubblica mondiale; ma non è stato l'inizio di un bel niente. Il terrorismo arabo e islamico data da molto tempo prima, e ha varie concause, che tra l'altro conosciamo. Bin Laden, per esempio, ha iniziato a complottare contro gli americani quando l'Arabia Saudita decise di concedere a George Bush padre le basi militari per la Guerra del Golfo. Allora chi ha iniziato? Bush Padre? O Saddam Hussein, che aveva invaso (ingiustamente) il Kuwait? Ma quando lo invase, Hussein era convinto di avere il sostegno indiretto degli americani; d'altro canto, doveva rifarsi di una disastrosa guerra contro l'Iran, combattuta anche per sostenere gli interessi geopolitici dell'Occidente nello scacchiere del Golfo Persico. Era la Guerra Fredda: chi l'ha iniziata? Stalin, Roosvelt, Churchill? Vogliamo tornare a discutere di Yalta? C'è persino chi lo fa, seriamente (ma anche Giovannino, quando accusa la sorella di avergli pestato i piedi, è serissimo). Senza Hitler, comunque, non ci sarebbe stata la Guerra Fredda: è tutta colpa sua. Ma Hitler avrebbe fatto il pittore, se la Germania non fosse uscita in ginocchio dalla Prima Guerra… allora è tutta colpa di Gavrilo Princip? O di Adamo, che ha mangiato la mela? "Sì, ma è stata Eva che me l'ha data". Eva indica il serpente. Oh, abbiamo trovato il colpevole. Che ce ne facciamo?

Questa idea che le colpe siano sempre da retrodatare sta alla base delle escalation più incivili. La civiltà, invece, comincia quando ci si rende conto che la vendetta non è giustizia, e che ogni gesto è moralmente giudicabile in sé, a prescindere da chi ti ha pestato i piedi un momento prima. Saddam Hussein è responsabile delle sue azioni; anche George Bush lo è. I terroristi anglo-pachistani sono responsabili di aver ucciso 60-70 persone; Tony Blair è responsabile del coinvolgimento britannico nel conflitto in Iraq, che ha esposto il Regno Unito a una recrudescenza del terrorismo islamico in Gran Bretagna (nulla, comunque, in confronto a quello che fa il terrorismo islamico in Iraq).

Questo non è relativismo culturale, al contrario: saper distinguere tra vendetta e giustizia è condizione necessaria e (non sufficiente) per poter parlare di civiltà: ne parla la Bibbia, ne parla il Corano. Fino all'altro ieri l'Occidente tendeva ad presentarsi come il maestrino del mondo: quello che ti insegna l'educazione, ti esporta la democrazia, eccetera. Un ruolo francamente antipatico. Adesso però il maestrino si è messo ad azzuffarsi con gli ultimi della classe. Come è potuto succedere? "Hanno iniziato loro". Sì, va bene: e voi finitela.

martedì, luglio 26, 2005

Luglio, agosto, settembre nero

Giocare col mondo
facendolo a pezzi
bambini che il sole
ha ridotto già
vecchi.

Non è colpa mia se la tua realtà
mi costringe a fare guerra all'omertà.
Forse un dì sapremo quello che vuol dire
affogare nel sangue con l'umanità.

Gente scolorata quasi tutta uguale,
la mia rabbia legge sopra i quotidiani.
Legge nella storia tutto il mio dolore,
canta la mia gente che non vuol morire.

Quando guardi il mondo senza aver problemi,
cerca nelle cose l'essenzialità:
non è colpa mia se la tua realtà
mi costringe a fare guerra all'umanità.

Area (Frankenstein): Luglio, agosto, settembre (nero)

Prendetela un po' come vi pare. E lamentatevi per le ferie rovinate, fa parte della nostra, come si dice, civiltà.

giovedì, luglio 21, 2005

mercoledì, luglio 20, 2005

il terrorismo è una questione d'idraulica


Valga da autocritica. Quando a Londra sono esplosi i kamikaze anglopachistani, io me la sono presa con George W. Bush, e la sua visione idraulica della Guerra al Terrore. Secondo lui per tenere lontano il terrorismo dall'Occidente bastava scavare una buca bella profonda in Iraq: come se i terroristi fossero come l'acqua, che va sempre in basso.

Secondo me invece i terroristi volano (anche se di solito non terminano i corsi di volo), per cui tutta quest'opera di scavo dell'Iraq mi sembrava un'enorme impresa inutile.
Poi l'altro giorno ho letto di terroristi che dall'Italia si spostano in Iraq, e la cosa mi ha colpito. Gente che poteva farsi esplodere nella capitale della cristianità (e del secondo più importante alleato degli Usa in Iraq), invece preferisce massacrare i correligionari in un Paese lontano. Allora forse GWB non ha tutti i torti: il terrorismo tracima. Certo, è un processo molto lento, e nel frattempo qualche schizzo può rimbalzare su Londra o Madrid: ma nel lungo termine…

A questo punto capisco anche perché Bush non abbia nessuna voglia di vincere la guerra, e continui a occupare l'Iraq con un quarto del contingente necessario. Non è solo una questione elettorale (gli toccherebbe ripristinare la leva militare); e poi che gli frega a lui, mica può ricandidarsi. No, è proprio una scelta precisa: più che importare la democrazia, l'Iraq deve attirare tutti gli arabi e gli islamici scontenti del mondo. Tutti giù, giù, nella buca più profonda.

martedì, luglio 19, 2005

E, per esempio, Fassino candidato?

Movimentiamole un po', queste primarie...

E vabbè, sembra proprio che queste Primarie a pagamento siano una presa in giro. Però. Però secondo me non è un problema di soldi, ma di candidati: trovo che non ce ne siano abbastanza. Faccio un esempio: Piero Fassino. Che è una brava persona, sicuramente.

Piero Fassino è, come sapete, il segretario dei DS, che è il primo o secondo partito in Italia. La settimana scorsa ha attirato l'attenzione (la mia, almeno) per due dichiarazioni.

Nella prima, Fassino sosteneva che non si può disprezzare uno speculatore solo perché acquista e vende immobili e ci fa la cresta: che anche questo è mercato e il mercato è buono, sempre buono, tutto buono. "Non c’è un’attività imprenditoriale che sia pregiudizialmente migliore o peggiore di un’altra. Né sul piano morale, né su quello economico. Oggi dobbiamo superare le vecchie gerarchie dell’industrialismo…" Questa dichiarazione al Sole 24 Ore si è attirata gli strali del vice-Presidente di Confindustria:
"Il leader della sinistra italiana non distingue tra chi fa impresa e chi di mestiere fa il raider finanziario. Ci viene tolta la speranza che dall'opposizione possano venire contributi per accrescere la ricchezza del paese"
. E' chiaro? Devo ripetere? In sintesi: Il segretario dei DS, Fassino, ha fatto un intervento difendendo una categoria di speculatori, e il vice-Presidente di Confindustria lo ha criticato. Da sinistra. Siamo a questo punto? Siamo a questo punto.

La seconda dichiarazione riguardava i Centri di Permanenza Temporanea, che quattordici (14) presidenti di regione vorrebbero chiudere, per motivi di sicurezza, ordine e di minima decenza umana. Fassino ha detto, in sostanza, che i Centri invece vanno tenuti aperti, anche se sono "sotto gli standard di civiltà". Insomma, sono incivili, ma chiuderli non si può. E non importa che i 14 Presidenti siano tutti e 14 dell'Unione, che è lo schieramento di Fassino, e la maggior parte nel suo stesso partito: e si presume siano gente seria, amministratori preparati che nei CPT c'è andata, ha visto la situazione che c'è dentro, e ha preso una posizione che in termini elettorali potrebbe anche risultare controproducente. Non importa che la stessa Livia Turco, che i CPT li aveva inventati, oggi alla luce della legge Bossi-Fini li consideri "insostenibili"(*). Non importa un bel niente, perché Fassino tanto ha detto no, e quando è no è no.

Ecco, questa è stata la settimana di Fassino, che è il segretario dei DS ed è sicuramente una brava persona. E io trovo che sia un peccato che uno come lui non voglia o possa candidarsi alle Primarie.

Perché uno come Fassino, per esempio, io per poterlo trombare alle Primarie pagherei. Per poter mettere nero su bianco questo semplice concetto: che te tu non mi rappresenti, o Fassino! Non sei il mio leader, non sei il mio portavoce, not in my name, h'raus! 
Sul serio, non so cosa darei.

(*) L'On. Turco, a onor del vero, condivide la posizione di Fassino: i CPT sono insostenibili, ma non si possono chiudere.

sabato, luglio 16, 2005

si sente dire

...che la Francia ha sospeso Schengen. In effetti non è vero.

Si sente anche dire "la castrazione chimica è roba seria, la fanno anche in Francia e Svezia". Non è esattamente vero neanche questo. Francia, Germania e Svezia stanno sperimentando la castrazione chimica su base volontaria (se ti condannano per reati sessuali puoi scegliere di essere castrato chimicamente o scontare tutta la pena). In Danimarca ne hanno castrati 25, che non è un gran campione statistico.
In California e Canada, dove ci sono già dati più seri, hanno scoperto, guarda un po', che la castrazione chimica "se da una lato provoca un temporaneo abbassamento dei desideri sessuali, dall’altro rende il soggetto più aggressivo".
(Chissà quanti han dovuto castrarne per accorgersene).

venerdì, luglio 15, 2005

Macche Eurabia, Eurostan!

L'opinionista di provincia guarda Londra bruciare, dopo Madrid, Bagdad, New York... e in bassa frequenza, sotto tutta la retorica del caso, non può fare a meno di pensare: fatti vostri. Un aspetto positivo della provincia è che il tuo indirizzo non rischia di essere preso per il simbolo dell'occidente, o della cristianità, o di quant'altro. L'opinionista di provincia è quasi tentato di considerare la provincializzazione della società come la Soluzione Finale alla guerra al Terrore: come in quel vecchio racconto di Clifford Simak in cui la Guerra Fredda finisce semplicemente perché la gente va ad abitare nei sobborghi, e non ci sono più città degne di essere considerate obiettivi militari per i missili sovietici.
Poi magari un marocchino sciroccato parcheggia davanti alla sinagoga dietro casa e si fa esplodere, e l'opinionista di provincia ha un sobbalzo.
Il giornale dice che i terroristi londinesi erano tutti pakistani appassionati di cricket: ora, la provincia in questione è perlappunto piena di simpatici pakistani. Che giocano a cricket. Fanno spettacolari tiri a campanile e sono bravissimi a riprendere la pallina al volo. L'opinionista di provincia è costretto a rivedere i suoi pregiudizi.

I pakistani non sono arabi: sembra una pignoleria. Però sono più di sono centocinquanta milioni di persone che non parlano arabo, non mangiano arabo, e non assomigliano affatto a degli arabi. Se mettete di fianco un pakistano e un arabo dovreste distinguerli a colpo sicuro - almeno con la
stessa percentuale di errore che avrebbe un pakistano nel distinguere un italiano da un polacco. Italiani e polacchi hanno molte cose in comune, ma a nessun italiano farebbe piacere essere scambiato per un polacco. Non è una pignoleria. Non confiniamo neanche.
Invece è molto più comprensibile confondere i pakistani con gli indiani: dopotutto erano indiani anche loro, prima del 1947 (ma chi l'ha mai visto, un pakistano nato prima del 1947? Hanno tutti vent'anni). Non esisteva nemmeno il concetto di "Pakistan", strano acronimo che può voler dire anche "Paese dei Puri". Durante il primo conflitto indo-pachistano, milioni di indù migrarono dal Pakistan all'India, e milioni di musulmani migrarono dall'India al Pakistan, mentre Gandhi digiunava dalla disperazione. Il destino di Gandhi: diventare il simbolo del più grande processo pacifico di indipendenza della Storia, solo per assistere a una guerra civile e religiosa (e morire per mano di un correligionario). Potremmo dire che indiani e pakistani appartengono alla stessa etnia, se la scienza ci consentisse di parlare di etnia (ma le cose sono maledettamente più complicate).
Al massimo possiamo dire che hanno condiviso secoli di Storia. Ma poi hanno combattuto quattro guerre, e oggi un pakistano preferisce farsi assimilare da un inglese che da un indiano. La protagonista anglo-indiana di "Sognando Beckham", che si innamora del coach irlandese, a un certo punto tranquillizza le colleghe di spogliatoio: per la famiglia sarebbe stato peggio se si fosse innamorata di "un musulmano". E con un dito sul collo mima il suo sgozzamento. È un po' lo stesso paradosso dei curdi e dei turchi, che dopo aver combattuto per decenni si ritrovano negli stessi quartieri di Berlino: a Sud i padri combattono ancora per vecchi ideali, come la religione e l'indipendenza; e poi mandano i figli a rimescolarsi nelle grandi Capitali del Nord, che evidentemente hanno una forza d'attrazione superiore a quella di qualsiasi richiamo identitario. Perfetto. Anzi, no, visto quello che succede alla seconda generazione: senso di estraneità, razzismo al contrario, terrorismo.

Metà di quel che so del Sud del mondo discende dalle chiacchiere dei Padri Missionari che svernavano in parrocchia. Una volta uno mi disse che nella regione africana dei Laghi "noi bianchi" avevamo commesso imperdonabili errori affidandoci alle prime impressioni. Per esempio, tendevamo a considerare i neri più alti, dal più nobile portamento, come nostri interlocutori privilegiati, e a diffidare di quelli bassi e tracagnotti, senz'altro dei buoni a niente.
Gli alti erano poi i Tutsi (che al plurale fa Wa-Tutsi); i bassi e tracagnotti gli Hutu. Per dire quanto possono essere pericolose, le prime impressioni. E questo cosa c'entra? Se conoscete un po' i pakistani, c'entra. Di tutti gli extracomunitari afro-asiatici, sono o non sono i più perfettini? Insieme agli indiani, certo. Nel loro sguardo non c'è traccia dell'innata strafottenza araba. Io non so se sia un retaggio genetico o culturale (secoli e secoli di mercanteggiamenti e piraterie sulle due sponde del Mediterraneo), il fatto è che come europeo non riesco a guardare in faccia un arabo maschio dai 5 anni in su senza sospettare che mi stia buggerando. Fosse anche Mubarak. Magari è una cosa reciproca, magari anche l'arabo medio non riesce a fidarsi dei miei occhi verdi. Razionalmente, poi, io so che si tratta di odiosi pregiudizi da superare: però se avessi una figlia, e se lei fosse combattuta tra uno spasimante magrebino e uno pakistano, non avrei il minimo dubbio su chi sconsigliarle.

Il pakistano ha un'aria più gentile. Il pakistano ha lo sguardo malinconico e l'accento melodioso. Il pakistano studia, si applica, è dotato per la matematica. Il pakistano gioca a cricket, che è uno sport incomprensibile, ma molto anglosassone.
Il pakistano è quasi praticamente un indiano, e gli indiani sono un popolo pacifico. Per contro gli arabi, si sa, ti stringono la mano e nell'altra nascondono armi di distruzioni di massa; terroristi, predoni, infibulatori, tagliatori di teste...

In realtà, se è vero che Bin Laden è un arabo, è altrettanto vero che senza le aderenze pakistane non avrebbe mai combinato nulla in Afganistan, e forse le Torri Gemelle sarebbero ancora al loro posto. È noto che il regime talebano era fortemente sostenuto dal Pakistan. È noto che i cosiddetti "studenti di teologia" avevano frequentato madrase pachistane. E che quando Bin Laden è dovuto scappare, braccato a Tora Bora, i pachistani si sono guardati bene dal consegnarlo agli americani. È noto che il Pakistan è il primo Stato islamico ad aver testato la sua brava bomba atomica (per puntarla sul cugino indiano, ovviamente). E che il Pakistan non è in senso stretto una democrazia, perché gli americani hanno preferito esportarla nel vicino Afganistan, senza turbare il generale Musharraf. Che anche lui, a guardarlo, ha un'aria da dittatore perbene. Mica come quel sornione di Saddam Hussein, di cui era impossibile fidarsi.
Insomma, i pakistani hanno giocato un ruolo non secondario nella guerra del terrore. Eppure, alla fine, noi continuiamo a prendercela con gli arabi. Fallaci e compagnia cantante tuonano contro l'"Eurabia": e perché non l'"Eurostan"? Com'è che i pakistani alla fine se la cavano sempre, come una minoranza di nessuna importanza? Non sono una minoranza, sono 150 milioni.
È che questi ragazzi che "sembrano indiani", e parlano inglese meglio di noi (con quell'accento buffo) non corrispondono alla nostra idea di Straniero per eccellenza. Che è l'arabo, è sempre stato l'arabo. Sin dal tempo dei Mori e di "Mamma li turchi" (che poi erano pirati tunisini). Attraverso la Guerra di Libia e le Leggi razziali (c'è un fondo di antisemitismo nel nostro antiarabismo). Che è tanto più straniero ("unheimlich", in tedesco) quanto più ci è familiare ("heimlich"): nelle mia provincia, "marocchino" era l'epiteto offensivo riservato agli immigrati provenienti da Roma in giù. Il "maròc" era olivastro, scansafatiche e infido: quando poi sono arrivati i marocchini veri, si sono trovati sulle spalle uno stereotipo già perfettamente rodato. Al contrario dei pachistani, giunti all'improvviso, inaspettati, senza averci lasciato il tempo di costruire qualche pregiudizio anche su di loro. Ma c'è da scommettere che sapremo recuperare il tempo perduto.

martedì, luglio 12, 2005

La guerra dello Stile di Vita

La flemma con cui i londinesi hanno reagito agli attentati è più facile da ammirare che da imitare. Eppure anche per noi non è più il caso di chiedersi "se" i terroristi attaccheranno, ma "quando" (recentemente i jihadisti ci hanno ricordato che la nostra omeopatica presenza militare in Iraq è diventata, quatta quatta, la terza in dimensioni dopo USA e Regno Unito). E "quando" avverrà, dunque, anche noi vorremmo saper reagire con calma e fermezza, tenendo lontane le videocamere dai crateri del terrore: viceversa, è più probabile che ne approfitteremo per litigare, in chat e in parlamento, sulla definizione di guerra al terrorismo, mentre Studio Aperto zooma sulle pozze di sangue. Spero - come sempre - di sbagliarmi. Magari siamo ancora in tempo per imparare qualcosa dagli inglesi. Ma cosa?

Ognuno ammira nel vicino una sua particolare idea di erba più verde. Io invidio agli anglosassoni, più di ogni cosa, la lingua. La pulizia verbale. L'inglese è un idioma flessibile, ma asciutto. Pochi fronzoli, pane al pane, vino al vino: non è una lingua da isterici. Naturalmente anche in inglese si possono condurre discussioni oziose. È solo più difficile. Il paragone con la nostra lingua, e il modo in cui la usiamo, è impietoso. Per esempio: si discute molto, in questi giorni, se la guerra al terrorismo sia o no un conflitto di civiltà. Sarebbe a dire? Cos'è una civiltà? Una cattiva traduzione dell'inglese civilization, che forse in quel caso andava reso con "cultura". E cioè? Cos'è una cultura? In realtà non è molto chiaro. Senz'altro non è qualcosa che si mangia. Forse che si legge? Sì, nei libri che paradossalmente gli italiani leggono meno volentieri: il Vangelo, la Divina Commedia, i Promessi Sposi... E poi? Possibile che migliaia di terroristi si immolino in nome o in odio a un concetto vago come quello di "cultura"? Possibile che USA, Regno Unito e ben tremila effettivi italiani stiano occupando da anni l'Iraq per un problema di "cultura"? È molto inverosimile. E perché continuiamo a parlarne? Perché la nostra lingua è un po' così: ridondante, naturalmente attratta dai sostantivi astratti e vacui.

Nel frattempo gli inglesi (e gli americani) parlan d'altro. Avete sentito Blair in conferenza stampa, a poche ore dagli scoppi: "the British way of life is not under discussion". Lo stile di vita britannico non è in discussione. Concetto ribadito due giorni più tardi persino dalla regina. Ecco, questo io invidio alla lingua inglese: la franchezza, la facilità con cui va dritta al nocciolo. E il nocciolo non è la "cultura", non è la "civilization", ma una cosa molto più terra-terra: il "way of life". Lo stile di vita. È questo l'obiettivo dei terroristi: è questo il fronte da cui Bush ed Elisabetta II non hanno la minima intenzione di indietreggiare. Non la "cultura", non la "civiltà": più banalmente, si tratta di salvare il tè delle cinque, la pinta delle sei. Il Chelsea e l'Arsenal, il tube e i bus a due piani. L'esistenza tumultuosa e pacifica dei milioni di inquilini del Londonistan. Qualcosa che si mangia, si beve, si respira, si vive, e soprattutto non si discute: primo, perché nessuno ha il diritto di toglierla a un popolo sovrano; secondo, perché non c'è nessun bisogno di "discuterla", letteralmente: tutti gli inglesi sanno bene cos'è. Dio gliel'ha data. E guai a chi gliela tocca.

Lo "stile di vita", in realtà, non è una prerogativa britannica. È un vecchio ritornello, per esempio, dei presidenti americani. George W. Bush in particolare ne ha fatto il suo tormentone. Si può transigere sul riscaldamento globale, sul diritto internazionale: non sul "way of life". Anche al G8 scozzese, cos'è successo? Bush ha ammesso che il mondo si sta scaldando (e questa è già di per sé una notizia, c'è fior di intellettuali e studiosi e romanzieri disposti a spergiurare il contrario). Ciononostante non firmerà il protocollo di Kyoto, per i noti motivi: perché non funziona, dice (e in effetti è difficile che funzioni, finché gli americani non lo firmano...) ma soprattutto perché "lo stile di vita degli americani non è in discussione". E lo stile di vita degli americani consiste in grattacieli e case di legno nei sobborghi, e big mac king-size alle stazioni di servizio di autostrade infinite, da percorrere in SUV, moderne carovane a idrocarburi. Grandi ruote, grandi serbatoi, grandi razioni: gli americani sono fatti così, amano aver molto cibo nel piatto. L'abbondanza è uno stile di vita, e lo stile di vita non è in discussione. Può sembrare un discorso antipatico.

Però è un discorso chiaro, e ha il pregio di mettere in nero su bianco la questione. Qui in Italia amiamo ammorbarla con divagazioni che c'entrano come i cavoli a merenda. Ci siamo messi persino a parlare di religione, come se in giro si fosse all'improvviso diffusa una pia preoccupazione per la salvezza delle nostre anime. Ma basta farsi un giro in riviera una di queste domeniche per accorgersi che così non è: siamo sempre gli stessi allegri buzzurri. Preoccupati, sì. Ma non certo per i nostri peccati, o per gli embrioni destinati al martirio. I crocefissi che pendono un po' da tutti i colli, e dai muri delle scuole statali, non stanno certo a significare che saremmo pronti a morire per testimoniare Gesù Cristo. Ma prova a toglierci il campionato, il gran premio, lo struscio in centro, i maccheroni al sugo, e vedrai, se tutti questi italiani brava gente non iniziano anche loro a ringhiare.

Ecco, forse questo potrebbe essere il primo passo verso l'olimpica serenità britannica: un semplice atto di igiene verbale. Sgomberiamo la scena da pupazzi retorici più dannosi che inutili. Noi non stiamo combattendo per salvare una nostra supposta "cultura". Noi combattiamo per la nostra sicurezza, il nostro diritto a consumare tot petrolio a tot cents il litro, le nostre mensilità, il nostro traballante benessere. Per i piaceri della vita che i terroristi ci invidiano e che hanno intenzione di rovinarci. Ecco perché combattiamo. Ecco perché dobbiamo mantenere la calma, mentre là fuori qualcuno corregge il tiro su di noi.

Certo, a questo punto ci si potrebbe anche chiedere: davvero il nostro "stile di vita" è così fuori discussione? Davvero è qualcosa che vale la pena di difendere? E al di là del terrorismo, non basta già l'inflazione percepita a mettere in discussione questo nostro stile? Non basta la disoccupazione, la recessione economica, l'anticiclone delle Azzorre che fa le bizze? In realtà lo "stile di vita" degli italiani, se c'è, è qualcosa che si rinegozia giorno per giorno, e di solito al ribasso. Ma in fondo non è così anche per i nostri compagni anglosassoni? Forse che naufragare nella propria casa devastata da un ciclone fa parte dello "stile di vita americano"?

È un'obiezione sensata, ma inutile, dal momento che siamo in guerra. I nostri comandanti in capo lo hanno detto ben chiaro: tenere la posizione. E la posizione è il "way of life". Razionalmente, non è difficile rendersi conto che si tratta di una posizione troppo avanzata. Il venti per cento degli umani non può pretendere di godere all'infinito dell'ottanta per cento delle risorse. In un qualche modo, primo o poi il Sud del mondo romperà il meccanismo. Forse il grimaldello sarà il fanatismo islamico, o una tecnocrazia alla cinese, o una catastrofe climatica, o qualche altra nuova minaccia che ora nemmeno immaginiamo. Ma non c'è dubbio che la Guerra per lo Stile di Vita Occidentale, nei tempi lunghi, sia persa. Si tratta solo di perderla lentamente, con classe, offrendo al mondo un'immagine orgogliosa e tranquilla di chi sa perdere un impero senza fiatare. Un'arte che nessuno come gli inglesi, davvero, è in grado di insegnarci.

verso la notte bolscevica

Questo blog segue con molta attenzione la carriera pubblicistica di Pierpaolo Ascari, in teoria.
In pratica, Ascari ci snobba e noi non è mica ci si possa sciroppare l'inserto culturale del Manif tutti i santi giorni, che neanche l'oroscopo di Barbanera.
Al massimo ci si ritrova in un'osteria coi poster di Carducci alle pareti e il quotidiano spaginato sul frigo.
"Mo ve', c'è un pezzo di Ascari".
"Mo dai".

sabato, luglio 09, 2005

venerdì, luglio 08, 2005

certo, con un po' di senno del poi...

"Marinetti la pianti di credere che il regime voglia lo sterminio degli ebrei. Si tenga i suoi amici, i suoi discepoli ebrei. Nessuno li disturberà mai".

(Benito Mussolini, tra il '38 e il '43, a Yvon de Begnac: Taccuini Mussoliniani, il Mulino, 1990, pag. 358).

giovedì, luglio 07, 2005

GWB's Art of War


"Il nostro obiettivo immediato su fronti come l'Iraq, l'Afganistan, o qualsiasi altro, è catturare o uccidere terroristi. Questo è il nostro obiettivo immediato. Perché abbiamo preso questa decisione, vedete: lotteremo contro questi nemici nei loro Paesi, e in tutto il mondo, e in questo modo non li dovremo affrontare qui, a casa".


George Bush, il 4 luglio, a Charleston (West Virginia)

Pane al pane, vino al vino.

giovedì, giugno 30, 2005

chi può darti di più

Se in questo periodo avete guardato un po' di televisione - giusto per tenervi aggiornati sul caldo che fa - ormai avrete familiarizzato con la nuova pubblicità della Coop. E magari vi sarete già chiesti: ma che razza d'idea è? Perché quella distinta signora di mezza età sgraffigna un camice e si spaccia per un'inserviente? Chi mai, entrando in un supermarket, vorrebbe ritrovarsi degradato da cliente a commesso? Insomma, che è successo ai creativi della Coop? Si sono bevuti il cervello? Non sarebbero i primi.

Francamente non so, non sono addestrato per capire se lo spot porterà qualche cliente in più nelle Coop. Ma so che ieri - complice il caldo - mi ha riportato per un attimo alla mia infanzia. Quando ero bambino e a volte in questi afosi dopopranzo mio padre mi portava con sé al bar, anzi, al "circolo". E prima estraeva dal congelatore il gelato che avevo scelto sul tabellone; poi passava dietro il banco, si preparava un caffè e infilava due monetine nella Cassa (il registratore non era ancora arrivato). Quel passaggio dietro al banco, compiuto con la massima naturalezza (mio padre era un socio fondatore), aveva per me qualcosa di elettrizzante. Un momento prima il papà era un cliente; un attimo dopo, era il gestore: libero di pagarsi da solo, di prendersi il resto, di lasciarsi una mancia. Proprio come la signora dello spot, che si mette e toglie il camice, e prova così l'ebbrezza di passare da una parte all'altra del mondo della Grande Distribuzione. Perché "la coop è lei", esattamente come mio padre "era il circolo". Non un semplice barista o cassiere; neanche un semplice cliente: l'uno e l'altro, nello stesso momento. Un socio. Chi può darti di più?

Più tardi, quando io stesso ho iniziato a girare il banco e scambiarmi da solo le cento lire per il pac-man, non ho mai smesso di sperimentare quella strana sensazione, ogni volta che mi ritrovavo dalla parte della cassa. Per un breve istante l'intero bar era a mia disposizione, sotto la mia responsabilità: e tutto questo, senza nemmeno bisogno di lavorare.
Col tempo la passione per il pac-man è sfumata; non mi è mai passata, invece, la voglia di girare dietro i banchi. Così, senza avere nessun talento per la ristorazione, mi è capitato di fondare un circolo con alcuni miei amici. Dalle nostre parti è abbastanza facile (è più difficile restare aperti): e se sei un circolo, puoi far bere e ballare senza bisogno di licenze.
Per questo anche a me, come alla signora dello spot, è capitato di afferrare il primo camice o grembiule o tesserino e giocare per un'ora o un giorno a fare l'inserviente, il cameriere, il gelataio, il servizio d'ordine; senza chiedere un soldo, perché alla fine cambiar lavoro ogni giorno è perfino divertente. E - se togliamo il sesso - a una certa età forse non c'è nulla di più appagante di girare un banco, e trovarsi all'improvviso nel mondo degli adulti: sentirsi investito di una percentuale di responsabilità, sperimentare il sottile brivido del potere; avere per una notte a propria disposizione un frigorifero, una cassa, un mazzo di chiavi. Senza esagerare con le preoccupazioni: quando ci si stanca di tutta questa maturità, basta girare di nuovo il banco, e siamo di nuovo semplici ragazzini, semplici clienti. Ma con qualche complicità in più con l'amico o il cugino, che stasera fa il buttafuori e sarà felice di farti entrare.…

Forse una delle molle che spinge molte persone a darsi al volontariato è proprio l'opportunità di quel magico giro dietro un bancone. Che è più gioco che lavoro: nessuno si aspetta da te una vera professionalità; è sufficiente che tu sorrida e sia simpatico. Come la signora dello spot: non so se il suo comportamento sia concepibile in Sicilia o in Lombardia. Ma in Emilia, altroché. Sapere che il bar sei tu, il supermercato sei tu; la polisportiva, l'ambulanza, il cinema, il festival, sono altrettanti banconi facilmente aggirabili quando vuoi: ecco il sogno emiliano, che solo da lontano si può confondere col comunismo. Il comunismo era un ideale violento di collettivizzazione; in Emilia hanno prevalso la cooperazione, la cooptazione, e un'incarnazione singolarmente bonaria del potere, coi suoi sindaci paciocconi. È difficile prendersela con loro, anche quando aprono CPT o speculano sulle privatizzazioni delle municipalizzate: perché? Perché alla fine senti che anche il sindaco sei tu, la giunta sei tu, il consiglio comunale sei tu (non ti hanno già chiesto di candidarti? Strano, sarà per la prossima volta), e i loro difetti sono anche i tuoi. Si capisce, se il bar sei tu, non è il caso di lamentarsi troppo dei servizi. O rischi di trovarti con lo spazzolone in mano. Sul serio, da noi se protesti troppo rischi di trovarti sulle spalle un assessorato: chi può darti di più? La cooptazione non perdona.

Se dovessi scegliere un rappresentante politico di questa emilianità, non avrei dubbi per un istante: Romano Prodi. Che fa politica da una vita (trent'anni fa era ministro sotto Moro), eppure non ha mai dato l'impressione di farlo per mestiere; piuttosto un'improvvisazione estemporanea, una missione di volontariato; un grembiule da infilarsi e sfilarsi prontamente, proprio come quello della signora dello spot. Passava di lì, ha trovato una fascia da leader che non usava nessuno, se l'è infilata e ora gira indefesso tra gli scaffali, chiedendo i clienti di dargli una mano a scaricare, perché "lo Stato sono io, e siete anche voi". È impossibile prenderlo troppo sul serio - si vede che il grembiule non è il suo - ma in un qualche modo riesce simpatico, i suoi difetti sono troppo familiari. Per contro, un politico del tutto anti-emiliano mi sembra Sergio Cofferati, che invece di cooptare occupanti di case sfitte e pancabbestia, parla di "ripristinare la legalità". Legalità? Ma che c'entra la legalità con la gestione emiliana del consenso? Manca poco che dica "lasciatemi lavorare".

Io non so se il modello emiliano sia in un qualche modo esportabile: eppure è una domanda d'attualità, visto che in un giorno non lontano potremmo assistere a una sfida al vertici tutta bolognese (Prodi contro Casini o Fini). Sarebbe interessante. Gli emiliani sono stati raramente al potere in Italia; per contro, un romagnolo c'è rimasto per vent'anni, con un modo di fare tutt'altro che bonario; eppure anche lui improvvisando è riuscito per un po' a farsi condonare magagne enormi.

Non lo so - forse sono troppo emiliano per capirlo. Del resto è un po' che ho smesso di girare intorno ai banchi, e di infilarmi grembiuli che non mi calzano. Forse sto invecchiando, mentre cerco impegni veri, vocazioni, carriere. La verità è che continuo a improvvisare (non so fare altro): ma con sempre meno fantasia.

Anche al vecchio circolo di mio padre, nessuno gira più il banco per versarsi da bere: è da anni che hanno assunto un barista. Ci sono in giro troppe facce nuove, facce strane, facce che non conosci e non si conoscono tra loro. Non è questione di pregiudizi, ma come fai a fidarti?

E anche al supermercato: in teoria, sei tu. In pratica, non riesci ad affezionarti a una commessa, tanto è il turn-over dei contratti a tempo determinato. Che importa, tanto tra qualche mese apre il nuovo iper.

venerdì, giugno 24, 2005

il film più proiettato dell'anno...

...a occhio, almeno dalle mie parti, mi sembra Le conseguenze dell'amore. Mi ricordo le locandine quest'inverno. Poi le ho riviste in primavera, dopo che il film aveva vinto un premio (un premio qualunque, che di solito non basta a spingere un film nelle sale per altri tre mesi). Da allora ho continuato a farci caso: scompare qua, riappare là, fa un giro in provincia, torna in Centro. Ed è luglio, ormai. A questo punto, mi sa che se la gioca con Guerre Stellari.

Magari è una questione di sovvenzioni. Magari lo proiettano solo in sale vuote. Magari è il film preferito da proiezionisti e maschere: "La prossima settimana dobbiamo tenere aperto anche se non verrà nessuno. Cosa mettiamo?" "Mah, vedo se c'è in giro una pizza di Conseguenze dell'Amore". Magari hanno stampato un sacco di pizze, chi lo sa.

(Come dev'essere il film preferito da maschere e proiezionisti? Battute che non stancano nemmeno al ventesimo ascolto. Un cinema ambient).

Magari, invece, è un bel film. Non so, quasi quasi lo vado a vedere.

martedì, giugno 21, 2005

Libero Stato d'Isteria

In uno Stato non dico normale, no, in uno Stato appena appena ragionevole, un giorno al Parlamento scappa votata una legge ottusa e oscurantista sulla fecondazione assistita. Cose che capitano, per carità! nelle migliori repubbliche.

Ma per fortuna c'è un'Opposizione compatta e ragionevole, guidata dai migliori cervelli della nazione, che nottetempo si riuniscono e decidono il da farsi. (Continua)

venerdì, giugno 17, 2005

time for fighting in the streets

E sì, devo ammetterlo, negli ultimi mesi il mio impegno politico si è dimolto ammosciato; certi bollettini sono stati colpevolmente lasciati sotto una pila di bollette estratti conto partecipazioni matrimoniali eccetera, ma da lunedì - se l'idea delle Primarie tiene fino a lunedì - io pensavo a un ritorno in grande stile.

Andrò in giro per le strade e per le piazze, raccogliendo firme, per Rutelli Leader. E anche per D'Alema Leader. Veltroni Leader. E Fassino, perché no Fassino? Io sono equidistante, ci tengo a tutti. Tutti devono gareggiare.
Lo so che loro non vorrebbero, si schermirebbero, la Leadership-di-Prodi-non-è-in-discussione eccetera; e invece no: occorre convincerli, piegare la loro proverbiale modestia e ritrosia. E spero che non sarò il solo, spero che molti mi seguiranno in questa nobile impresa di democrazia partecipativa: Primarie vere, Primarie serie. Con almeno 6 candidati pesanti.

L'aspetto positivo è che di quei 6, almeno 5 li trombiamo, finalmente, e per sempre. Dopodiché, io sono pronto a tenermi il sesto (chiunq sia), con gioia. What can a poor boy do.

ma sì, un po' d'ottimismo ogni tanto, perdìo

Ché qui, volendo, abbiamo risanato il bilancio.

giovedì, giugno 16, 2005

il meglio della settimana...

...naturalmente è questo blog. E cos'altro?

Io adoro Alan Moore, aprioristicamente, ormai. Però mi piace anche questo pezzo sulla sua stronzaggine.

Perché è così, davanti a una buona stroncatura non resisto, vado in giuggiole. Il pezzo del New Yorker su Star Wars III lo aveva già segnalato Luca Sofri ("Scaccolarsi con Guerre Stellari", mi pare fosse il titolo). Su Miic adesso ci sono dei pezzi in italiano. Vale il prezzo del biglietto (di Star Wars, ovviam).

...Tutti gli interni del Lucasworld sono inni alla vita pulita, tranquilli come un obitorio, senza nessuno di quei fastidi e di quelle imperfezioni che danno un senso al processo noto come esistenza in vita. L'illuminazione non è data dalla luce solare, ma da un deprimente bagliore artificiale, come se Lucas volesse ricoprire tutti gli affari privati - quelle piccole minacce alla sua parafascistica ossessione per l'ordine - di una patina protettiva. Solo all'esterno si rilassa, e il suo modo di rilassarsi è scatenare l'apocalisse.
.

A proposito: se fanno le primarie domattina voto Miic. La sua strategia post-referendaria mi pare la meglio:


Prima ancora che in parlamento si cominci a discutere della revisione della 194, ci si traveste da integralisti cattolici e si raccolgono le firme per abrogare non solo la 194, ma anche la legge sul divorzio. Meglio ancora, per abrogare alcuni punti apparentemente tecnici delle due leggi, tolti i quali però diventi praticamente impossibile abortire o divorziare. La Chiesa, tirata in mezzo, se la gioca e fa propaganda per il sì. Il papa come al solito non parla di politica ("mettete una croce sulla scheda del signore", dice soltanto, citando un mistico del Medioevo boemo). Grave imbarazzo per partiti clericali e atei devoti (tra i loro elettori divorziati e donne che hanno abortito non mancano di certo), che quindi non si sbilanciano troppo. I partiti laici possono abbandonare ogni remora e puntare più o meno apertamente all'astensione (non si mettono in discussione diritti radicati da almeno trent'anni nella coscienza civile degli italiani eccetera eccetera).
Loro, gli italiani, continuano beatamente a fottersene e ad andare al mare. Salta il quorum, trionfa la laicità dello stato.


Ora, un piccolo gioco per noi happy few. Vi mando su un blog nuovo e mi dovete dire chi è l'autore. Ladies & Gentlemen, Misterghiro:

la globalizzazione, si sa, ha reso tutti un po’ più uguali. Gli autobus tardano anche qui, il 45% dei bambini non trova posto nei nidi pubblici, il tasso di inquinamento dell’aria è tra i più alti d’Europa ma anche quello delle case in proprietà (70% circa, ma per gli altri 30 gli affitti sono vere e proprie rapine da 800 € a monolocale). Nella mia civile città succede anche che ci sono vigili urbani tra i più fetenti del mondo. Sembra di voler generalizzare a tutti i costi ma è la verità.


Infine, l'apertura dello splendido portale neocone mi ispira ad aprire una sottorubrica di cui mi pentirò: il post più cretino che ho letto in settimana. Senza dubbio questo. Alla prossima.

venerdì, giugno 10, 2005

Ma astenersi non significa "No"

(Al massimo significa: "Non so")

Mi costa un po' ammetterlo, ma domenica andrò a votare.
Mi costa perché, in materia di referendum, io sono un astensionista convinto, e rivendico la mia appartenenza alla frangia dell'astensionismo democratico. Da non confondere con l'astensionismo qualunquistico di chi alla fila davanti alla cabina elettorale preferisce un più rilassante ingorgo sull'Autostrada del Sole. No. Rispetto i qualunquisti, ma il mio astensionismo ha un altro significato.
Il fatto è che io credo nel parlamento - non particolarmente nello scellerato parlamento che ci troviamo adesso, ma nell'idea di una democrazia parlamentare. Credo nel sistema della rappresentanza: credo che se il parlamento che ci ritroviamo fa schifo (e produce una legislazione schifosa) è semplicemente perché ce lo meritiamo. Lo abbiamo votato e ce lo teniamo: finché non impariamo a farci rappresentare meglio. Spero presto.
Perciò, in quanto sincero democratico, non mi perdo un'elezione. Legislative, amministrative, persino le europee. Ma i referendum, no. Avevo deciso di non votarli più. Per stabilire un principio: io non posso intendermi di tutto. Sì, va bene, mi informo, leggo i giornali (ma potrei anche non leggerli), ho studiato (ma potrei anche aver la III elementare): in ogni caso ci sono ancora tante cose che non so e non saprò mai. Non so se sia il caso di punire i giudici che giudicano male; non so se sia morale proibire il nucleare e importare energia dalle centrali francesi; non so distinguere un mattarellum da un proporzionale con sbarramento; nella fattispecie, non so quando l'embrione diventa un individuo (ma almeno so di non saperlo, e non è poco).
Tutte queste cose io non so, e ho diritto di non saperle. Non è qualunquismo: piuttosto, consapevolezza dei propri limiti. Sono un cittadino: lavoro, pago le tasse, e ogni tot cerco di eleggere rappresentanti che dovrebbero avere il tempo e la capacità di informarsi e decidere per me. Si chiama democrazia parlamentare, è imperfettissima, si sa, ma non si è ancora trovato di meglio.

Ci sono però in Italia minoranze agguerrite (e finanziate) che alla democrazia parlamentare non si rassegnano. Mandano pacchi di firme alla Corte Costituzionale più o meno ogni paio d'anni. Fosse per loro, il referendum non sarebbe una misura eccezionale: fosse per loro si voterebbe una volta all'anno, al mese. Ché di leggi schifose da abrogare non ne mancano, siamo d'accordo. Però: non è che il problema è alla sorgente? Non è che il problema è il parlamento schifoso che abbiamo votato, quattro anni fa? Non rischia di diventare, il referendarismo, un comodo alibi per convivere pacificamente con il parlamento e il governo osceno che ci troviamo? "Massì, votate la Cirami, votate la Gasparri, la Bossi-Fini, la Moratti; noi però ci riserviamo il diritto di abrogare qualche cosina ogni tanto". Quattro crocette per darsi un contegno. E intanto si trasmette l'idea che il corpo elettorale diventi per l'occasione legislatore: bella ipocrisia, chiamare il popolo ad abrogare questo o quel paragrafo, mentre al potere resta chi ha scritto la legge intera.

La legge, poi, secondo me è oscena, ma non più di tante altre. Forse il postero (e anche qualche nostro contemporaneo) avrà qualcosa da dire su un popolo che si scanna per il diritto dell'embrione a chiamarsi individuo e si dimentica dei diritti degli individui chiusi nei Centri di Permanenza. Centri di detenzione illegale, vergogna italiana che bisogna chiudere al più presto (lo ha capito anche Pisanu): però oggi in Italia non si parla di questo. Si parla di diritti degli embrioni e diritti delle madri. Questione importantissima, per carità. Però: chi ha deciso che era una priorità? Una piccola minoranza di raccoglitori di firme. Questo, secondo me, non è sano.

Tanto più che mettere un problema sotto i riflettori, in Italia, non equivale a risolverlo. Significa soltanto gettarlo in mezzo all'eterno campo di battaglia fra guelfi e ghibellini. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, ed è inquietante. Fino a un paio di mesi fa l'identità dell'embrione era solo materia di riflessione per occhialuti bioetici. Ma ecco arriva il Referendum! E tac, improvvisamente mezza Italia riconosce come articolo di fede che l'embrione è Vita. Magari poi il referendum lo vinceranno gli altri (personalmente lo spero): ma da questo punto di vista la frittata è fatta. L'embrione è arruolato nelle file di Santa Madre Chiesa. Magari chi sta dall'altra parte penserà a una vittoria del laicismo. Ma i laici veri lo sanno: da questi muro-contro-muro hanno tutto da perdere.

Detto questo, devo spiegare perché invece non mi asterrò. Per protesta, naturalmente.
Non nei confronti dei qualunquisti. Li rispetto, in fin dei conti non sono che un qualunquista più consapevole di loro. No. Protesto contro l'invasione di campo degli Embrionisti, cattolici, laici e Rutelli che siano. Hanno deciso di astenersi anche loro. Vogliono dare alla mia astensione un significato che proprio non ha.
Io volevo astenermi perché mi ritengo non qualificato ad abrogare questa legge; perché credo che il problema non sia la legge in sé, ma il parlamentaccio che l'ha votata: che per avere una legge migliore, occorre semplicemente votare rappresentanti migliori (cosa che, spero, faremo tutti l'anno prossimo). Dopodiché ce ne saranno, di brutte leggi da cambiare. Tra cui questa, che a me non piace.
Gli embrionisti, invece, mi stanno forzando la mano. Sostengono che l'astensione equivalga a quattro No, e che renda indistruttibile la legge, degna di restare immutabile di legislatura in legislatura. Come il divorzio e l'aborto. O il nucleare e la scala mobile. Ma scherziamo?
Astenersi non significa "No": significa semplicemente "Non so". Se vincerà l'astensione, gli italiani non avranno detto sì alla brutta legge 40: avranno semplicemente rifiutati di pronunciarsi, come è loro diritto. E il prossimo parlamento avrà tutto il diritto di disfare questa e altre leggi brutte e immonde. Con buona pace di chi domenica sarà andato al mare, di chi sarà andato in chiesa, di chi se la sarà spassata sul raccordo dell'Adriatica.
A me sembrava così ovvio: ma così ovvio, evidentemente, non è.
Così, per evitare il rischio di passare per un Astensionista Strumentalizzatore, domenica vado a votare. E consiglio di andarci anche a voi.
Ma - per quel che mi riguarda - giuro che è l'ultima volta. L'ultimo referendum, intendo. Non mi fregano più.

giovedì, giugno 09, 2005

dove son stato, cosa ho fatto mai

Interrompo il bel silenzio per avvisare che è uscito un pezzo mio su Vita su una faccenda di (forse) plagio già molto vecchia (ma del resto l'avevo scritto 15 giorni fa): Plagio o non plagio, i blog non perdonano. Spero che nessuno mi denunci, conosco solo avvocati alcolizzati (conosco solo alcolizzati).

Ed è uscito anche il nuovo numero di Sacripante!, sempre con un pezzo mio sulla semiosi creativa (cos'è? qualcosa che quella notte lì mi stava molto a cuore).

Poi, se a qualcuno interessa, io voto 4 sì: però il referendum è stato un errore. In generale ritengo un errore affidare qualsiasi cosa a Capezzone, compresa l'agenda politica di una nazione.

giovedì, maggio 19, 2005

il viso di Clementina Cantoni

Clementina Cantoni ha 32 anni. Quando il suo volto è passato in tv, io ho avuto paura: di conoscerla. Ho dovuto penare un po' per convincermi di non averla mai incontrata. Qualcosa del genere, in passato, mi era già successo con Simona Pari e Simona Torretta.

Sarà forse che queste cooperanti, nelle foto in cui sorridono, hanno davvero quell'aura qualunque della vicina di casa, della compagna di classe. L'idea che qualcuno le abbia rapite, che qualcuno possa deliberatamente farle del male, mi disturba nel profondo, più in profondo del solito fastidio del telespettatore sensibile alle tragedie del mondo. Naturalmente, ogni giorno in Iraq e in Afganistan (e altrove) muoiono decine centinaia di persone: ma non hanno il volto di una mia compagna di banco.

Ora mi tocca disseppellire una parola che odio ma è inutile girarci tanto intorno: generazione. In un senso più lato ma neanche troppo lato Simona Torretta, Simona Pari, Clementina Cantoni, sono davvero mie compagne di classe o pianerottolo. Appartengono alla mia generazione. Ho questa illusione forte, di capire esattamente perché sono lì e perché fanno quel che fanno. Se le sento parlare, mi sembra di aver chiacchierato con loro a lungo anche troppo a lungo, finché erano loro a voltare il sacco a pelo e buonanotte, domattina c'è molto da fare.

Anche Enzo Baldoni mi era in qualche modo familiare: amava cose che io amavo, traduceva i miei fumetti preferiti, aveva motivazioni forse un po' stravaganti che però riuscivo a capire. Anche Giuliana Sgrena. E sì, anche Fabrizio Quattrocchi, per quel poco che ho imparato di lui, si lasciava identificare con un certo tipo di italiano che conosco. Ma quelli, appunto, erano pubblicitari, giornaliste, avventurieri: storie già sentite, ma che non erano la mia. La mia (pensavo) è ancora tutta da scrivere.

Con queste tre donne è diverso. Le chiamo donne, perché è giusto: e quindi, siccome ho esattamente la loro età, io sarei un uomo.
Queste donne, dicevo, dai visi ordinari, con notevoli competenze e ammirevole incoscienza, stanno scrivendo la pagina più interessante della loro generazione. Io, intanto, sto in Italia e scrivo di blog. Cosa scrivo? Rumore di fondo.

(il pezzo intero è su Vita)

domenica, maggio 15, 2005

working for the rat race

Io non me n'ero accorto, ma è così: ilderattizzatore è tornato! Dopo due anni, mi pare.

Il suo autore è lo stesso del Diario da Cuba, che a due anni di distanza continua a essere uno dei blog più belli mai scritti in Italia. A quel tempo faceva appunto il derattizzatore, una professione molto interessante e utile di cui si parla colpevolmente poco.

Oggi non fa più quel mestiere, ma ne fa uno ugualmente interessante, io trovo. E sarebbe bello sentirlo raccontare altre sue esperienze professionali, credo che riuscirebbe con poco sforzo e molta soddisfazione a creare un personaggio simpatico e acchiappante. Un po' come il Mickey Mouse anni '30-'40, che in una storia faceva l'idraulico, in un'altra il boscaiolo, in un'altra l'aviatore alla guerra mondiale, e intanto raccontava l'america: ecco, io Pocobene lo vedrei bene in quei ruoli lì.

(Invece di fare sempre il verso a Christian Rocca, che palle).

venerdì, maggio 13, 2005

la scrematura, appunto

"...una scrematura fisiologica (oggi circa il 60 per cento dei blog è costituito da diari personali) eliminerà la fuffa e premierà i weblog più utili, quelli di servizio, consolidandoli su livelli di alta professionalità"

Carlo Formenti, dicembre 2002 (in un'intervista all'Espresso, io l'ho rintracciato su Wittgenstein)

"Cari lettori,
Dopo ventinove mesi di attività (Dicembre 2002 - Maggio 2005) Quinto Stato sospende le pubblicazioni. [...] Purtroppo i progetti che avrebbero dovuto finanziare il salto di qualità non sono andati in porto, il che ci ha indotto a diradare il numero degli articoli e ad abbassare gli standard di qualità che eravamo riusciti a garantire nei primi due anni di vita del sito".
Carlo Formenti, maggio 2005
Niente da aggiungere (che non sia già scritto su Vita, intendo).

venerdì, maggio 06, 2005

ma indymedia è sotto sequestro? Sì? No?

Non ancora, direi. Il pezzo su Vita.

Un principio del giornalismo serio (non quello dei blog, per intenderci) è che i fatti riportati debbano sempre essere verificati. Il che non è sempre facile: ma quando il 'fatto' in questione avviene su internet, la verifica è spesso semplicissima e alla portata di tutti.

Per esempio, se stamattina il Corriere scrive che "Il sito Indymedia, una voce della sinistra antagonista italiana, è stato posto sotto sequestro", tutti possono andare a guardare su italy.indymedia.org e accorgersi subito che non è vero: Indymedia Italia è sempre là...

martedì, maggio 03, 2005

storie della mia Vita

Visto che non è moltissimo facile trovarli, penso di fare cosa non sgradita a segnalarvi i miei pezzi su Vita.

La truffa di Ratzingerboy

Prego, Europa.

Dossier Calipari: un blog è arrivato primo.

E poi è uscito anche un mio pezzo sul terzo numero di Sacripante!, che naturalmente vi consiglio tutto. E direi che avete da leggere per una settimana.