lunedì, novembre 18, 2013

Perchè Vendola si deve vergognare



Dice Leonardo: non è vero che abbia riso dei morti di tumore.
E infatti è assolutamente evidente che le ragioni per cui deve vergognarsi nulla hanno a che vedere con un titolone scandalistico e poco pertinente del Fatto Quotidiano

Dice Leonardo: siete poco attenti, queste intercettazioni le aveva pubblicate il Giornale un anno prima
Sì, ma aveva pubblicato le trascrizioni, non l’audio. E sentire l’audio o leggere le trascrizioni non è esattamente la stessa cosa. Chi è intellettualmente onesto ne converrà e ammetterà quindi  che lo scoop di FQ un valore aggiunto lo porta. Ma non è certo questa la questione centrale

Dice Leonardo: Vendola è il presidente della Regione e doveva mediare con la proprietà, che c’è di male se telefona al responsabile delle relazioni istituzionali ILVA ? E’ o non è il suo naturale interlocutore ?
Niente di male, ovvio. Come pure è ovvio che Archinà fosse il suo naturale interlocutore

E allora perché deve vergognarsi Vendola ?
Vendola deve vergognarsi perché:

1.       Il video a cui fa riferimento non fa assolutamente ridere, anzi è una vera schifezza. Se è stato “un quarto d’ora a ridere” dopo averlo visto c’è di che preoccuparsi del suo buon gusto e di quello del suo capo di gabinetto.

2.       Blandisce, sdilinqua, slecchina, sruffiana il gran corruttore della famiglia Riva. E questo, per arrivare alla fine a dire “dica che il presidente non si è defilato”,  non era decisamente necessario

3.       “Quella faccia di provocatore (…) per me che le ho fatte veramente le battaglie per la difesa della vita e della salute”.
Eh sì, come si permette quel parvenu provocatore ? Innanzitutto non si è mai iscritto a SEL, come deve fare chiunque vuol veramente portare avanti le battaglie per la difesa della salute. Poi non è mai andato a concordare con Vendola la strategia da tenere nei confronti dell’ILVA, come deve fare chiunque vuol veramente portare avanti le battaglie per la difesa della vita e della salute. Infine non si è mai sparato quelle cinquemila ore di riunione di segreteria regionale per sviscerare la tattica più opportuna da seguire nei confronti dei Riva, come farebbe chiunque  volesse veramente portare avanti le battaglie per la difesa della vita e della salute.
No, questo si presenta e banalmente chiede conto a Emilio Riva delle morti di tumore causate dall’ILVA. Così, come se fosse semplice semplice.  Per giunta mettendolo in imbarazzo. E la tattica ? E la strategia ? Ma questo qui lo sa che la politica è come una partita a scacchi ? No ? Ah ma allora gli manca l’A B C, allora è un anarcoide analfabeta.  Ma questo qui l’ha mai visto San Michele aveva un gallo dei fratelli Taviani? Ma nemmeno sa chi erano i fratelli Taviani, questa faccia di provocatore.

4.       E veniamo al vero motivo per cui Vendola deve vergognarsi e mica poco.
“A prescindere dai procedimenti, le cose, le iniziative, l’ILVA è una realtà produttiva a cui non possiamo rinunciare”.
No signor presidente della Regione Puglia. Qui, a mio parere, è in grave errore. Provo a riformulare le frasi che mi sarei aspettato da lei o da chiunque altro ricopra la sua carica:
“A prescindere dai procedimenti, le cose, le iniziative, l’ILVA è una realtà produttiva a cui non possiamo rinunciare fino a che non pregiudica l’incolumità di nessun essere umano abitante su questo pianeta. Ma se le emissioni dell’ILVA - anche dopo i necessari interventi di riqualificazione tecnologica - dovessero mettere a rischio fosse pure una sola vita, allora lei dott. Archinà sa che io, in quanto titolare di una primaria carica pubblica, dovrei prioritariamente quella vita tutelare. Certo dott. Archinà, mi rendo conto che la chiusura dello stabilimento – o anche solo la sua limitazione in termini produttivi - porrebbe gravi problemi di natura economica e occupazionale. Sicuramente si registrerebbero anche notevoli preoccupazioni di ordine pubblico. Sì dott. Archinà, forse la cosa comprometterebbe definitivamente la mia stessa carriera politica. Ma cerchi di capire: se io non sapessi esattamente quali sono i miei primi doveri istituzionali, se non avessi innanzitutto un orizzonte etico a guidare le mie azioni di uomo politico e se credessi che la politica, intesa come l’arte del possibile e della trasformazione della realtà, non sia in grado nemmeno di riqualificare l’economia di una città, allora avrei sprecato la mia vita in interminabili e inutili riunioni di partito, cianciando solo di tattica e di strategia."

mercoledì, ottobre 30, 2013

1975, Lou Reed in Italia

Sugli unici due quotidiani italiani che hanno un archivio storico online, La Stampa e L’Unità, il nome di Lou Reed compare per la prima volta nel 1973, ad avventura coi Velvet Underground già conclusa da quasi tre anni (il nome dei Velvet Underground, pure, compare solo nel 1973, la prima volta sull’Unità). A segnare l’esordio è un articolo di Lietta Tornabuoni sulla Stampa, intitolato “Le nuove mode d’America .

Nel febbraio 1975 invece Lou Reed arriva in Italia in carne, ossa e voce per una tournee di quattro tappe che dovrebbe toccare, nell’ordine, Roma, Torino, Milano e Bologna. A fargli da spalla, Angelo Branduardi. A Roma il concerto salta subito a causa di uno sciopero del personale del Palasport. Si passa a Torino, dove Reed terrà la sua prima e unica esibizione italiana di quella stagione, davanti a 3500 spettatori

Lo aspettavamo in tenuta nazi, con occhiali neri, i capelli biondi cortissimi, lo sguardo alla McQueen e invece troviamo un ragazzetto tranquillo, ricciuto, che di profilo assomiglia a Capello, il giocatore della Juventus. (…) esecutore modesto ma seducente di ipnotiche « ballades » (Stampa Sera, 13/2/1975)

Il giorno dopo, a Milano, lo aspettano invece i situazionisti (la definizione è della Stampa, nda), che distribuiscono volantini contro l’organizzatore del concerto, David Zard, torturatore nelle forze di Moshe Dayan.  

Dopo l'esibizione di Angelo Branduardi, verso le 22, si è scatenato il finimondo. Gruppi di teppisti con la faccia coperta da fazzoletti, armati di spranghe e bastoni, hanno invaso sala e palcoscenico inveendo e colpendo all'impazzata; altri intanto lanciavano bulloni, pietre, bottiglie, lattine di benzina, sacchi di plastica pieni di liquidi vari, ed altri oggetti. Due persone ferite, impianti sonori spaccati, sedie e scene devastate, strumenti musicali rotti. (La Stampa, 15/2/1975)

A Roma, dove si torna per recuperare il concerto saltato, va peggio. Il gruppo radicale di Stampa Alternativa incita alla disobbedienza civile al pagamento del biglietto e distribuisce volantini contro “i padroncini della musica”. Ci sono tafferugli e scontri già all’entrata, Branduardi inizia tra i fischi poi, quando sta per salire Lou Reed, dall’alto delle gradinate comincia a piovere di tutto. A quel punto a salire sul palco sono i carabinieri, che iniziano a sparare grappoli di lacrimogeni sul pubblico. Panico e fuggi-fuggi generale

Polizia e carabinieri hanno caricato a più riprese con le jeeps all'interno del Palasport e fuori. Gli scontri sono continuati fino alle prime ore di domenica. Il direttore di «Stampa Alternativa», Marcello Baraghini, ha chiesto al magistrato di turno che vengano eseguite analisi delle orine di agenti e carabinieri nell'ipotesi che, a loro insaputa, fossero loro state somministrate «sostanze psicostimolanti». Stamane alla manifestazione radicale per l'aborto sono state raccolte firme per una denuncia penale contro i responsabili del commissariato di zona «per tentativo di omicidio, tentativo di strage e manifestazione sediziosa». Un telegramma è stato inviato al ministro dell’Interno Gui, per chiedere la sospensione dei dirigenti del commissariato e del questore di Roma (…)
Chi sono i provocatori? «Il Messaggero» di oggi parla di neofascisti riconosciuti. Il «Tempo» li indica come «sedicenti di sinistra». Lo stesso giornale osserva, poi, che l'opera della polizia e dei carabinieri è censurabile e discutibile: sparare lacrimogeni dall'alto contro una platea di seimila-settemila persone accalcate in basso ha provocato panico e scene di terrore. I danni al Palasport superano i cento milioni. (La Stampa, 17/2/1975)

Se a Roma lo slogan è prendiamoci la musica, a Milano il gruppo situazionista (o “spontaneista”, sempre secondo le definizioni della Stampa) che è uscito da pochi mesi dalla rivista Re Nudo, accusata di moderatismo e di essersi venduta agli interessi dei discografici, se la ride:

Quelli che scavalcano i cancelli e "sfondano" non capiscono che non hanno conquistato nulla: la musica proposta è una mistificazione, è falsamente progressista, serve a non far pensare e a far guadagnare le case discografiche. (…) La verità è che diciamo no alla musica e basta» (…)
« Se qui a Milano e a Roma non si faranno più concerti — dicono a " Re Nudo " — li faremo noi, alternativi e autogestiti». Ma con quale capacità rispetto alle organizzazioni collaudate e favorite dalle case discografiche? Ci hanno provato più volte ma hanno dovuto battere la strada del concerto politico. Radicali e extraparlamentari hanno riscoperto la formula collaudata dal Pci per i « festival dell'Unità ». Ma a queste riunioni i cantanti affermati non vanno. (La Stampa, 21/2/1975)

martedì, ottobre 29, 2013

Un Leone Magno c'è già stato

Di Luigi Magni su youtube c'è tanta roba (anche l'integrale di State buoni se potete, se ricordo bene). Io comincerei da questa cosa demenziale e serissima.

domenica, settembre 01, 2013

Ora so che aveva ragione

"Mi spazzo il culo con le tue poesie"
(sì mi disse colei
che è fulcro e perno dei pensieri miei):

"Le lacrimevoli tue porcherie

cagar mi fanno assai,
ch'io credo non avere letto mai in-
sulsaggini sì inutili e stantie".

"Più le rileggo, più lo

deggio confermar: ci spazzo il culo".

(1992)

martedì, marzo 05, 2013

Di Argentina e peronismo



La prima cosa è la differenza tra come il Paese si percepisce, rispetto a come viene percepito dalle nostre parti. Se uno si legge gli articoli sull’Argentina pubblicati negli ultimi mesi dal Post (1, 2, 3, 4, 5), ad esempio, ha l’impressione di un paese diretto verso il baratro a passi lunghi e ben distesi. Nulla di tutto questo. 
L’Argentina di oggi, almeno nella sua larga maggioranza, si percepisce come un paese in crescita, con diritti sociali in aumento, pensioni in aumento, povertà in calo, un sentito problema di corruzione ma anche una grande lezione impartita al mondo sui diritti umani. Più o meno tutto il contrario dell’Europa

Il governo Kirchner viene descritto sui nostri media come un esecutivo in grave crisi di consenso, messo in difficoltà dagli scioperi e forse coi giorni contati. Ancora una volta l’impressione è che le cose non stiano proprio così. Cristina Kirchner (CFK, come acronimamente si dice) si sarà pure fatta diversi nemici, primo fra tutti ilgruppo editoriale Clarìn, ma gode di un consenso tuttora notevole e il primo tentativo di mobilitazione contro di lei pare essere andato a vuoto. Perché dunque questa differenza tra come stanno le cose e come ci vengono raccontate ? Forse l’Argentina fa notizia solo quando crolla o sembra crollare ?

I saccheggi del dicembre scorso, per dire, hanno allarmato e sorpreso anche gli argentini ma, a detta di tutti, sono totalmente altra cosa dai saccheggi del 2001 e sono legati più a situazioni contingenti a livello locale e a fenomeni di emulazione che a una reale emergenza economica, che non c’è. Questo se si trascurano le teorie del complotto, diffusissime anche là, con peronisti e radicali che si accusano vicendevolmente di aver tramato nell’ombra per destabilizzare il Paese.

Poi c’è il peronismo. Confesso di essere andato in Argentina con un’ignoranza pressoché abissale su quella storia nazionale, sia passata che recente. Il peronismo è una cosa difficilissima da capire per un europeo. Il peronismo “è un fenomeno complesso”, per usare una frase fatta e rassicurante.

Per avvicinarsene ecco l’abc, un glossario minimo veramente minimo:

Nell' "Università de Las Madres", BA
Madri di Plaza de Mayo (Associacion)  Le madri sono divise in due associazioni distinte dal 1986. Quelle della Associacion, che fa capo a Hebe de Bonafini, si considerano una sorta di organizzazione rivoluzionaria con simpatie per Chavez, Castro, gli zapatisti, ecc. Ma soprattutto sono kirchneriste, cioè filo governative, a livelli imbarazzanti. Nel loro pantheon Maradona, Che Guevara, Nestor e Cristina Kirchner, Carlos Gardel, Eva Peron.  Eva Peron ? Sì. Ma dai .. . Vi metto la foto. 

Movimento Peronista Montonero  Ufficialmente fu un organizzazione guerrigliera dell’estrema sinistra peronista, però i fondatori venivano tutti dall’estrema destra. Si autodefiniva “un’avanguardia armata, cattolica e nazionalista”, ditemi voi. Poi però venne influenzata dalla teologia della liberazione, o meglio dalla sua variante argentina, il Movimiento de Sacerdotes para el Tercer Mundo, e perseguì una via nazionale al socialismo. Dopo aver ucciso il generale Aramburu, autore del colpo di stato che mandò Peron in esilio e aver lottato per il ritorno in patria del proprio beniamino, si accorsero che questi preferiva loro la destra reazionaria dei Lopez Rega. E fu l’inizio della fine. I Kirchner in gioventù appartenevano a un’organizzazione universitaria legata ai montoneros. In quel periodo l’organizzazione, nata in clandestinità, era rientrata nella legalità.

Partito Comunista Argentino: si dichiarò favorevole al colpo di stato militare del 1976 e non venne messo fuori legge. In occasione del 30° anniversario del golpe farà autocritica dicendo di avere “sopravvalutato le contraddizioni interne ai militari”. Cosa aggiungere ?

Peròn (Juan Domingo) Era un militare, fu complice di un colpo di stato e grazie a questo fece carriera. E’ noto che fosse un ammiratore di Mussolini e che a lui si sia ispirato per i suoi discorsi dal balcone della Casa Rosada. Fu sempre lui ad accordarsi col Vaticano per far arrivare i nazisti in fuga dall’Europa in Argentina e, quando fu a sua volta vittima di un colpo di stato, si rifugiò nella Spagna franchista.  Ditemi se non è la biografia di un fascista. Per qualcuno no
Per guadagnare la dignità di  –ismo, cioè di ideologia, Peròn diceva di cercare una terza posizione tra il capitalismo americano e il comunismo sovietico. Ora: Terza Posizione da noi era il nome di un gruppo, guardacaso neofascista, che si rifaceva alle teorie del peronismo. Ditemi voi se questo non è un fascista. Per qualcuno no. Anche la storia delle concessioni sindacali del peronismo me la sono sempre immaginata come un mantra ripetuto allo sfinimento per dimostrare la bontà di un prodotto immangiabile, tipo la bonifica delle paludi pontine per i fascistelli nostrani. Ma in Argentina non la pensano così.

Peròn (Isabelita): ex ballerina di night, terza moglie di Juan Domingo, vice Presidente dell’Argentina quando Presidente era suo marito, Presidente dopo la sua morte. Da tutti descritta come un fantoccio nelle mani di José López Rega, fu rovesciata dal colpo di stato militare del 1976. Sapevate che è ancora viva ?

Peronismo Tutto e il contrario di tutto. Per noi europei è sinonimo di populismo destroide e si liquida in tre righe sui libri di storia. In Argentina è un po’ diverso. Peronista era il fondatore delle squadre paramilitari della Triple A, Alianza Anticomunista Argentina, José López Rega; peronista era l’organizzazione guerrigliera di sinistra radicale Movimento Peronista Montonero. E infatti la Triple A ammazzava più montoneros che comunisti. Peronista era il liberista Menem, peronisti gli “statalisti” Kirchner. La storia dell’Argentina contemporanea è in gran parte una storia di regolamenti di conti tra peronisti. Come a Ezeiza, l’aeroporto internazionale di Buenos Aires. Il 20 giugno 1973 ad attendere il ritorno di Peròn dall’esilio vengono stimate tre milioni di persone. La destra peronista tiene il palco. Quando un gruppo di montoneros, alcuni dei quali  pure armati, cercano di occupare i posti più vicini i cecchini fanno fuoco, rimangono sul terreno 13 persone e oltre trecento sono i feriti. 

Peronismo (Contributo italiano al) Licio Gelli, ad esempio, ha sempre rivendicato di aver avuto un ruolo di primo piano nel riportare Peròn in patria dall'esilio spagnolo. Ammettendo però che il merito è da spartire con Giancarlo Elia Valori. In effetti sia López Rega che i militari del colpo di stato ’76 erano iscritti alla P2. Secondo il giudice spagnolo Garzon, poi, anche Stefano Delle Chiaie  ha fatto la sua parte. A Ezeiza, tra i cecchini.


Rodolfo Walsh periodista e scrittore. In Italia non lo conosce nessuno, in Argentina un mito. Militante montonero, fondatore dell’agenzia di stampa Prensa Latina a Cuba, insieme a Gabriel Garcia Marquez. Pare che a lui si debba la scoperta, casuale, del piano di invasione dell’isola che passò alla storia come Baia dei Porci.  Il 24 marzo del 1977, in occasione del primo anniversario del colpo di stato militare, inviò a tutti i quotidiani nazionali e al governo stesso la Carta Abierta de un Escritor a la Junta Militar  (qui la versione integrale in italiano ), con la quale quale denunciava le sparizioni e le torture ma anche la politica economica dei militari, asservita alle richieste del Fondo Monetario Internazionale, che impoveriva le classi meno abbienti .  La lettera terminava con la frase “senza aspettarmi di essere ascoltato e con la certezza di essere perseguitato”. Ebbe ragione, d’altronde all’epoca viveva già in clandestinità. Intercettato da un gruppo di militari mentre si allontanava da una cassetta postale, pare abbia iniziato con loro un conflitto a fuoco con il preciso intento di non farsi prendere vivo. Riuscendoci. Non riuscì invece a far pubblicare la sua lettera  da nessun quotidiano ed è difficile immaginare che lo sperasse. Nel 1999 il suo racconto “Esa Mujer  fu giudicato da una giuria di critici letterari il miglior racconto argentino del XX° secolo. 

martedì, febbraio 26, 2013

ll buonumore di Michele

Questo blog non ha mai fatto appelli di sorta, ma in questo caso faccio un'eccezione: c'è qualcuno tra i lettori che sia vicino di casa di Michele Serra ? Se sì, potrebbe scattargli una foto domani? Un primo piano del viso, per favore. Poi chiederei di inviarcela o postarla sul proprio blog, muoio dalla voglia di vedere il buonumore di un imbecille

lunedì, febbraio 18, 2013

Sotto la doccia


Non ricordo chi, tra altri nomi, mi segnalò un bocconiano di bella speranza che faceva da assistente-segretario all' imprenditore più innovativo del momento, Silvio Berlusconi. In città si diceva che Urbano Cairo era tra i pochissimi a condividere la vita quotidiana del suo capo, nella palazzina di via Rovani, dove allora abitava anche la futura moglie e first lady, Veronica Lario. Un rapporto di fiducia totale che Cairo non ha mai tradito. Entusiasta mi raccontò come era arrivato a Berlusconi sfiancandolo di telefonate e la fortuna di lavorare accanto a un simile personaggio. Anche sotto la doccia mi confessò (anni dopo però l'ha negato) ripensava agli insegnamenti del suo maestro. Una spugna. Travolta da cotanta ammirazione ammetto che giudicai il giovane Cairo un aspirante clone, un tantino ridicolo. 

Cairo, Bocconiano tenace 
Chiara Beria D'Argentine, La Stampa 08/09/2005