Al sabato ormai mi sveglio presto come tutti gli altri giorni, però se avessi il tempo per stirarmi un po', aprire le finestre, constatare che piove, tornarmene a letto, stirarmi ancora, ripensarci, ecco, in un sabato d'aprile mi piacerebbe avere una sveglia che fa partire The Rain Song in automatico. La canzone più spudoratamente languida mai composta, una sonata di sette minuti tutta costruita intorno a un semplice accordo che slitta di un semitono, da-daaaan, l'equivalente musicale dei muscoli che si rilassano dopo l'enorme sforzo di stirarsi tra i cuscini, o sbadigliare. Da-daaaaan. E tutto intorno arpeggi, violini, la minor-drop progression sviluppata con tutto il tempo che serve, Plant che si sgola, Bonham che si scuote come la mamma che è venuta a darti una spinta, sveglia, ma tutto comunque ritorna a quell'accordo slittante, da-daaaan, a proposito di dissonanze primaverili.
(Adesso ci sono i tutorial per suonarla, che invidia).
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