Dopo neanche mezz'ora ho cominciato a pensare che in realtà Tra le nuvole io lo avessi già visto. Una specie. E in effetti, ragionandoci, se prendi Volevo solo dormirle addosso e lo fai girare al regista di Thank You For Smoking, il risultato è Tra le nuvole. Con Clooney al posto di Pasotti, che mi sembra un bel guadagno - però mi è sembrato un po' più legnoso del solito George, più prevedibile nelle sue 2 o 3 smorfiette, saranno tutti quegli spot sul caffè, l'effetto Manfredi, boh.
Ma soprattutto è il paragone con Thank you che lo schianta. Perché è un bel film, sofferente, non banale, d'accordo, sì, ma io continuavo a pensare alle omologhe sequenze di Thank you e a pensare quanto erano più briose, più originali, sgarzoline. A partire dai titoli. Vi sono piaciuti i titoli? Beh, quelli di Thank you erano molto meglio. Guardate un po'.
Stavo quasi per tirare giù il testo (Pump! Pump! Pump! While you smoke yourself to death).
In entrambi i film c'è un personaggio simpatico che fa una professione orribile. Ma la professione del protagonista di Thank You è, se possibile, più orribile (racconta bugie per Big Tobacco), e il suo entusiasmo è molto più smaccato. Insomma, i colori sono più vividi, c'è più gusto per il grottesco, che evidentemente è la tonalità che preferisco.
Prendi il momento motivazionale. In entrambi i film c'è una scena in cui il protagonista in pochi minuti deve convincere una persona a fare un gesto che lui stesso non condivide. Clooney scapolo alato che convince il cognato a sposarsi non è male. Ma Aaron Eckhart che manipola Marlboro Man è in un'altra categoria.
Anche nel finale (spoiler) entrambi tornano alla situazione iniziale. Ma il finale di Nuvole mi è sembrato un po' meccanico, mentre quello di Thank You mi sembrava la conclusione ideale a tutto il film. Insomma, qui abbiamo un regista che ha i numeri, e che per piacere a un pubblico più vasto (e magari portarsi a casa un Oscar) rinuncia a tutte le trovate più eclatanti, per mantenere il film in un'aurea mediocritas che dopo un po', secondo me, stanca. Sì, è un film un po' stanco secondo me. C'è di buono che esci dalla sala ringraziando il Dio che ti ha fatto impiegato statale.
domenica, febbraio 28, 2010
Povere piccole olimpiche
Per queste olimpiadi ha cominciato a prendere piede una nuova giustificazione, ovviamente utilizzabile solo per le gare femminili: le nostre le prendono perché sono donne. Non bisogna lasciarsi ingannare dal fatto che anche le loro avversarie in apparenza sono donne: in realtà sono mostruosi automi privi di emozioni e di affetti. Le nostre invece sono innanzitutto mamme, fidanzate, organismi traboccanti di femminilità fragile e sognante.
mercoledì, febbraio 24, 2010
L'Italia in quanto bambola gonfiabile
Che poi io sarei uno vivi e lascia vivere, cioè, perché dovrei avercela pure con quelli che amano l'Italia? La trovo una passione come un'altra, rispettabile come un'altra, nel suo genere anche abbastanza spassosa.
Alcuni li ho anche studiati, mi appassionava questo fatto che a un certo punto della loro vita avessero deciso di innamorarsi di un'estensione territoriale lunga approssimativamente milleduecento chilometri, si capisce che dietro c'è un enorme bisogno di effetto che nessuna provincia, nessuna regione (per quanto autonoma a Statuto Speciale) potrà mai colmare. Devi proprio amare una nazione tutta intera.
Prendi Marinetti per esempio - un esempio a caso, eh, si sa che io pesco sempre da una cornucopia di esempi - lui semplicemente l'Italia da bambino non l'aveva mai vista: quindi l'amava. I provenzali avevano un'espressione, credo si dicesse amor de lonh (speriamo che non ci siano filologi romanzi su friendfeed). In seguito la cosa diventa pesante, FTM scrive lettere compromettenti che lo portano a combattere una guerra allucinante per quattro anni nel fango delle trincee e poi nel piombo delle autoblindo e tutto questo per spostare la frontiera di qualche centinaia di chilometri alla propria amata; milioni di morti per un'operazioncina di chirurgia estetica, ed è così che nel fuoco e nel piombo dell'offensiva finale Marinetti se la sogna proprio quest'Italiona mora e procace, sbattuta a fondo sul fondo della sua autoblindo, nel capitolo saliente dell'Alcova di Acciaio che se vi piace il genere è un romanzo quasi divertente.
Emanuele Filiberto non m'ispira la stessa simpatia: non ha fatto guerre (in effetti non ha fatto molto in generale), però sempre di amor di lonh si trattava: qualcuno ha fatto una riga per terra e ha detto "Qui non puoi passare per colpa di tuo bisnonno". Son cose che da bambino ti segnano, è chiaro che qualsiasi contadinotta coi baffi diventa nella lontananza una bella moracciona procace da portarsi il pianista e il tenore sotto la finestra a far la serenata.
Questi innamorati dell'Italia si fa sempre fatica a farli razionalizzare, l'amore, si sa. Cioè, cosa vuol dire che la ami tutta? In che modo ami il Ticino solo fino a Como, da Chiasso in su non l'ami più? Ti diranno che amano la sua cultura. Cioè? Ma se l'avrai sentita chiacchierare due volte al bar (parlava del Grande Fratello Dieci). Ami la sua religione. Ma va là. La sua religione. No no, tu ami i suoi riccoli. La sua supponenza. Quando le dicono di non costruire condomini sulle faglie e lei lo fa perché Nessuno Deve Dirmi Cosa Non Posso Fare. Quei giorni in cui scopre uno scandalo, pianta un casino enorme e dopo mezz'ora non si ricorda nemmeno il perché. Quando frana a valle per due giorni di pioggerellina. La ami perché non fa che accompagnarsi con dei perfetti stronzi. Perché ogni chilometro quadro del suo corpo geologico urla Qualcuno Mi Protegga Da Me Stessa, e questo ti fa sentire così superman. Così principe. Così duce.
Questi che amano l'Italia io me li immagino sempre un po' come il San Francesco della Cavani, Mikey Rourke in fase mistica che si abbrancola eroticamente a un crocefisso, ecco, me li immagino mentre si strusciano contro la cartina politica Italia 1:100 000 (quella fisica no, sarebbe pornografia). Più o meno la zona baci è tra Milano e Venezia; lo sfregamento pelvico avviene tra casertano e avellinese (i campi Flegrei zona erogena?) e molto spesso sulla penisola salentina hanno allungato una mano mascalzona. Ci si potrebbe fare una bambola gonfiabile, anzi sarebbe proprio il caso di farla. Magari ci risparmieremmo qualche duce ogni tanto. Qualche guerra ogni tanto. Anche solo qualche canzone ogni tanto.
(Inutile che mi segnaliate refusi. Purtroppo Blogger ha problemi, si lascia scrivere ma non correggere).
lunedì, febbraio 22, 2010
Istevene Maravilia
Puoi essere bravo, o bello, o principe, ma quando si tratta di Giudizio Popolare Sanremese mi pare che ci siano alcuni fattori che fanno semplicemente la differenza. Per esempio, una volta essere ciechi era il massimo. Ultimamente funziona molto la sardegnità (forse perché il televoto ha un risvolto etnico, che ne so). E quindi in generale direi che il Vincitore di Sanremo Perfetto è un sardo cieco. Quindi, amici sardi, se tra le vostre conoscenze c'è un cieco un po' (appena un po') intonato, sapete cosa dovete fare (e io non vi ho detto niente).
giovedì, febbraio 18, 2010
Vedi gli irringraziamenti
Unacknowledgements: This work is ostensibly supported by the the Italian Ministry of University and Research under the FIRB program, project RBIN047MH9-000. The Ministry however has not paid its dues and it is not known whether it will ever do. (Via Asphalto, retroscena accademici internazionali e foto di donne nude in un solo pratico sito).
domenica, febbraio 14, 2010
Il Paesone Rifatto
Forse non lo avete capito, forse lo avete capito benissimo e la cosa vi lascia indifferenti, ma questi sono giorni che vivranno nell'infamia per la moda italiana, e per quella città (Milano) che ci prova da secoli a fare la capitale, e ogni volta non fa che dimostrare il suo status internazionale di Paesone Rifatto.
In breve: quell'Icona Internazionale della Moda che è Anna Wintour (non in base alle cifre che movimenta, ma semplicemente perché le hanno fatto un film e da allora tutte le sciampiste sanno più o meno chi è Anna Wintour) a venire a Milano si rompe. Perfettamente comprensibile, eh? Milano trasuda così tanta simpatia che persino l'aeroporto lo hanno messo in un'altra provincia.
Ci sarebbe il piccolo problema che a Milano, due volte l'anno, ci sono le sfilate. E che Anna Wintour, ancorché promossa a deità delle sciampiste di tutto il mondo, rimane in soldoni una giornalista di moda. Quindi se non vuole venire a Milano sarebbero problemi unicamente suoi. Immaginatevi un giornalista sportivo che non vuole andare alle invernali di Vancouver perché fa freddo. No, peggio: immaginatevi un giornalista sportivo che siccome a Vancouver fa freddo, comincia a telefonare a tutti gli atleti e in breve li convince a spostare le olimpiadi di qualche giorno. Perché Anna Wintour, dea dello sciampismo, è riuscita in questo miracolo: quest'anno la Settimana della Moda di Milano durerà tre giorni, così Anna Wintour non si annoia.
Rifletteteci bene, perché qui siamo di fronte a una rivoluzione copernicana: fino a qualche anno fa le sfilate si facevano per mostrare i vestiti, e i giornalisti importanti (se volevano continuare a essere importanti) accorrevano da tutto il mondo. Adesso la sfilata la fanno per mostrare alle sciampiste che in prima fila hanno la giornalista Anna Wintour, quella del DiavoloVestePrada. I vestiti, poi, cosa vuoi mai, i vestiti sono il meno: alle sciampiste vendi i profumi, una magliettina, magari un paio di mutande, i vestiti a questo punto proporrei di lasciarli perdere: fate sfilare direttamente Anna Wintour, magari vestita esattamente come il suo alter ego nel DiavoloVestePrada, sennò qualche sciampista potrebbe anche non riconoscerla.
Naturalmente non tutti i protagonisti del prêt-à-porter italiano partecipano a questo harakiri collettivo con lo stesso entusiasmo. Della Valle, per esempio, ha detto che è una vergogna, che a Parigi non sarebbe mai successo, ecc. ecc.. Ha perfettamente ragione, ma bisogna dire che lui non sfila. Venerdì invece si è espresso Giorgio Armani, e la sua dichiarazione merita di essere letta per intero, perché è finalmente una fiera difesa dell'orgoglio del Made in Italy, che non dovrebbe cedere a nessun diktat... scritto da uno che ha appena ceduto al diktat. Per dirla con un milanese, adelante Pedro! Con juicio.
In breve: quell'Icona Internazionale della Moda che è Anna Wintour (non in base alle cifre che movimenta, ma semplicemente perché le hanno fatto un film e da allora tutte le sciampiste sanno più o meno chi è Anna Wintour) a venire a Milano si rompe. Perfettamente comprensibile, eh? Milano trasuda così tanta simpatia che persino l'aeroporto lo hanno messo in un'altra provincia.
Ci sarebbe il piccolo problema che a Milano, due volte l'anno, ci sono le sfilate. E che Anna Wintour, ancorché promossa a deità delle sciampiste di tutto il mondo, rimane in soldoni una giornalista di moda. Quindi se non vuole venire a Milano sarebbero problemi unicamente suoi. Immaginatevi un giornalista sportivo che non vuole andare alle invernali di Vancouver perché fa freddo. No, peggio: immaginatevi un giornalista sportivo che siccome a Vancouver fa freddo, comincia a telefonare a tutti gli atleti e in breve li convince a spostare le olimpiadi di qualche giorno. Perché Anna Wintour, dea dello sciampismo, è riuscita in questo miracolo: quest'anno la Settimana della Moda di Milano durerà tre giorni, così Anna Wintour non si annoia.
Rifletteteci bene, perché qui siamo di fronte a una rivoluzione copernicana: fino a qualche anno fa le sfilate si facevano per mostrare i vestiti, e i giornalisti importanti (se volevano continuare a essere importanti) accorrevano da tutto il mondo. Adesso la sfilata la fanno per mostrare alle sciampiste che in prima fila hanno la giornalista Anna Wintour, quella del DiavoloVestePrada. I vestiti, poi, cosa vuoi mai, i vestiti sono il meno: alle sciampiste vendi i profumi, una magliettina, magari un paio di mutande, i vestiti a questo punto proporrei di lasciarli perdere: fate sfilare direttamente Anna Wintour, magari vestita esattamente come il suo alter ego nel DiavoloVestePrada, sennò qualche sciampista potrebbe anche non riconoscerla.
Naturalmente non tutti i protagonisti del prêt-à-porter italiano partecipano a questo harakiri collettivo con lo stesso entusiasmo. Della Valle, per esempio, ha detto che è una vergogna, che a Parigi non sarebbe mai successo, ecc. ecc.. Ha perfettamente ragione, ma bisogna dire che lui non sfila. Venerdì invece si è espresso Giorgio Armani, e la sua dichiarazione merita di essere letta per intero, perché è finalmente una fiera difesa dell'orgoglio del Made in Italy, che non dovrebbe cedere a nessun diktat... scritto da uno che ha appena ceduto al diktat. Per dirla con un milanese, adelante Pedro! Con juicio.
giovedì, febbraio 11, 2010
Fine del maschio italiano
A me Bertolaso, al di là di ogni considerazione sulle capacità organizzative (al di sopra della media della cricca berlusconiana standard, senz'altro) mi era sempre parso soprattutto un gran figo. Senza bisogno di affittare un'omoaffettività che non è nelle mie corde, trovavo in lui un positivo esempio di virilità contemporanea: l'uomo un po' segnato dagli anni, ma ancora nel pieno del vigore, che arriva e risolve i problemi, soccorre le vedove, salva gli orfani, mai e poi mai mi sarei sognato che un tipo così avesse bisogno di prenotarsi per scopare.
E' una cosa che mi butta giù. La corruzione, la concussione, sì vabbè. Ma uno che chiama il centro benessere per preallertare Francesca "perché so che è sempre molto occupata..." come un qualsiasi vecchietto calvo con la dentiera, ma allora che senso ha lottare. Se neanche i maschi alfa al giorno d'oggi scopano gratis.
E' una cosa che mi butta giù. La corruzione, la concussione, sì vabbè. Ma uno che chiama il centro benessere per preallertare Francesca "perché so che è sempre molto occupata..." come un qualsiasi vecchietto calvo con la dentiera, ma allora che senso ha lottare. Se neanche i maschi alfa al giorno d'oggi scopano gratis.
mercoledì, febbraio 10, 2010
Il segreto dello scotch
Scriverò un pezzo sul whisky (sullo whisky?) (sull'whisky?) (sul whiskey?) Scriverò un pezzo sullo scotch che mi farà apparire un uomo molto più vissuto di quanto non sia e farà sì che mia madre si domandi, una volta in più, dove ha sbagliato. E' tutto ok, mamma. Va tutto alla grande.
E' solo che arriva il giorno, il giorno qualunque dell'anno, in cui finisce una bottiglia di whisky, e la cosa continua a sorprenderti come la prima volta. Quel flacone conteneva quasi un litro di una cosa che non c'è più. Evaporata? L'avrai offerta a? Amici? Idraulici? Eventuali amanti di tua moglie? Sarebbero comunque astemi. No, la risposta è dentro te. Sei stato tu. Ne hai finita una bottiglia intera, di quel veleno per fegati. Come ci si sente?
Ci si vergogna. Dovrai attendere il calar della sera per raggiungere la campana di vetro e smaltire l'onta all'insaputa dei vicini. E dire che non ti piaceva. Una volta. Poi?
Accade per il whisky quel curioso fenomeno per cui la bottiglia nuova non è mai buona. Bisogna educare il palato, dicono: e tu pensi: "cazzata", ma è così. Arrivi al supermercato, squadri tutte le marche famose, poi opti per un'etichetta assolutamente sconosciuta che viene penultima in ordine di prezzo, perché è inutile avvelenarsi con stile. La porti a casa. Qualche giorno dopo sviti il tappo giusto per sentire: mio dio, che schifo, è orribile, non ne berrò più. Perfetto. Missione compiuta. Passa un anno e c'è da tornare alla campana del vetro.
La cosa curiosa è che le rare volte che uscendo ti capita di ordinare un whisky (uno whiskie?) (un bourbon), dicevo, la cosa curiosa è che ovviamente opti per una di quelle marche famose che a casa non bevi, e il risultato è sempre quello: mentre sorseggi il superalcolico ambrato pregiato e reclamizzato, ti viene una gran nostalgia di quel succo di malto di discount che tieni a casa. E' un vero mistero, che si può spiegare così: bisogna educare il palato, la lingua preferisce la cosa pessima che conosce già alla cosa migliore che ancora non conosce, ecc. ecc. ecc.
Se hai mai conosciuto veramente un barista, c'è un'altra spiegazione, ovvero: la bottiglia del superalcolico ambrato pregiato e reclamizzato è stata vuotata da tempo, e vi è stato travasato l'unico succo di malto che al discount costava meno del tuo.
Fine del pezzo. A proposito: benché abbia qualche ridicolo e localizzatissimo effetto analgesico sul mal di denti, il whisky non rappresenta una valida alternativa a nessun tipo di farmaco. Non è mai stato prescritto da nessun dottorone col cognome tedesco, quindi ciccia.
E' solo che arriva il giorno, il giorno qualunque dell'anno, in cui finisce una bottiglia di whisky, e la cosa continua a sorprenderti come la prima volta. Quel flacone conteneva quasi un litro di una cosa che non c'è più. Evaporata? L'avrai offerta a? Amici? Idraulici? Eventuali amanti di tua moglie? Sarebbero comunque astemi. No, la risposta è dentro te. Sei stato tu. Ne hai finita una bottiglia intera, di quel veleno per fegati. Come ci si sente?
Ci si vergogna. Dovrai attendere il calar della sera per raggiungere la campana di vetro e smaltire l'onta all'insaputa dei vicini. E dire che non ti piaceva. Una volta. Poi?
Accade per il whisky quel curioso fenomeno per cui la bottiglia nuova non è mai buona. Bisogna educare il palato, dicono: e tu pensi: "cazzata", ma è così. Arrivi al supermercato, squadri tutte le marche famose, poi opti per un'etichetta assolutamente sconosciuta che viene penultima in ordine di prezzo, perché è inutile avvelenarsi con stile. La porti a casa. Qualche giorno dopo sviti il tappo giusto per sentire: mio dio, che schifo, è orribile, non ne berrò più. Perfetto. Missione compiuta. Passa un anno e c'è da tornare alla campana del vetro.
La cosa curiosa è che le rare volte che uscendo ti capita di ordinare un whisky (uno whiskie?) (un bourbon), dicevo, la cosa curiosa è che ovviamente opti per una di quelle marche famose che a casa non bevi, e il risultato è sempre quello: mentre sorseggi il superalcolico ambrato pregiato e reclamizzato, ti viene una gran nostalgia di quel succo di malto di discount che tieni a casa. E' un vero mistero, che si può spiegare così: bisogna educare il palato, la lingua preferisce la cosa pessima che conosce già alla cosa migliore che ancora non conosce, ecc. ecc. ecc.
Se hai mai conosciuto veramente un barista, c'è un'altra spiegazione, ovvero: la bottiglia del superalcolico ambrato pregiato e reclamizzato è stata vuotata da tempo, e vi è stato travasato l'unico succo di malto che al discount costava meno del tuo.
Fine del pezzo. A proposito: benché abbia qualche ridicolo e localizzatissimo effetto analgesico sul mal di denti, il whisky non rappresenta una valida alternativa a nessun tipo di farmaco. Non è mai stato prescritto da nessun dottorone col cognome tedesco, quindi ciccia.
martedì, febbraio 02, 2010
La via dell'inferno è lastricata di citazioni alla cazzo
Gli psichiatri mi hanno sempre prescritto medicine potenti, che mi facevano star male. Avercene invece di antidepressivi come la cocaina. Fa bene. E Freud la prescriveva.
(Persino quando si autodistrugge, Morgan deve fare namedropping. Naturalmente se dopo aver letto la sua intervistina un centinaio di fans proverà a curarsi il mal di vivere col crack sarà tutta colpa della Scuola e delle loro Famiglie).
Per la cronaca: Freud condusse esperimenti sull'uso terapeutico della cocaina, ci perse un amico, e concluse che era meglio di no.
(Persino quando si autodistrugge, Morgan deve fare namedropping. Naturalmente se dopo aver letto la sua intervistina un centinaio di fans proverà a curarsi il mal di vivere col crack sarà tutta colpa della Scuola e delle loro Famiglie).
Per la cronaca: Freud condusse esperimenti sull'uso terapeutico della cocaina, ci perse un amico, e concluse che era meglio di no.
lunedì, febbraio 01, 2010
Diritto di replica
Ho trovato questa cosa, che mi fa un po' impressione. Qualcuno (un giornalista di Gente Veneta) ha fatto il mio nome a Gian Antonio Stella durante un'intervista:
Comunque il risultato di tutto questo pattugliamento è frustrante: non trovi Malvino, non trovi Lia, non trovi Bettty Moore, niente che somigli da lontano a un contenuto di qualità. Pattugli, pattugli, e alla fine trovi solo qualcuno che scrive a Bossi "paralitico di m.".
Il che, come tutti sanno, purtroppo è impreciso.
Bossi non è paralitico.
Leonardo ********, su "l'Unità", ha scritto che nel suo libro vi è un'immagine marginale del mondo web, paragonando la sua visione degli internauti a una "visione da grattacielo". Ossia, Stella giudica il web dall'alto scranno del "Corriere"...Preciso che il libro non l'ho letto, e che nel mio pezzo mi riferivo semplicemente a un suo breve editoriale. Comunque l'immagine di Stella che "pattuglia tutta internet" mi fa un po' impressione. Magari è vero. Io su Internet ci sto parecchio, e mai e poi mai mi sognerei di affermare che sto "pattugliando internet". Mi chiedo quante ore giornaliere richieda il pattugliamento di internet: cinque, sei? Mi chiedo anche se esiste un'espressione inglese analoga a "pattugliare internet"; se un qualsiasi giornalista anglosassone degli ultimi cinque o sei anni l'abbia potuta coniare senza rischiare il ridicolo.
Non è vero, passo molto tempo in internet. Per fare questo libro ho pattugliato tutta internet in modo sistematico, frequentando poco i siti "ufficiali", come quelli dei quotidiani. Visto che siamo in argomento, sono contrario ai bavagli preventivi delle comunità online. Ci sono già le leggi, basta applicarle. Se uno dice in un forum "paralitico di m." a Bossi, deve essere condannato, perché non è una semplice opinione.
Comunque il risultato di tutto questo pattugliamento è frustrante: non trovi Malvino, non trovi Lia, non trovi Bettty Moore, niente che somigli da lontano a un contenuto di qualità. Pattugli, pattugli, e alla fine trovi solo qualcuno che scrive a Bossi "paralitico di m.".
Il che, come tutti sanno, purtroppo è impreciso.
Bossi non è paralitico.
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