Per quel che posso ricordare, questo è il primo pezzo di Beniamino Placido che ho letto in vita mia. Ed è fantastico.
Notare come regge bene il tempo, soprattutto con quell'incipit, formidabile: tra quarant'anni ci sarà ancora qualcuno che comincia un pezzo così: "Radio radicale" sta per chiudere. Come descriva già, nel 1986, con precisione millimetrica lo stesso sentimento che tanti di noi (ma noi chi? ex lettori di Placido?) provano tuttora per i radicali. La scioltezza con cui passa da un capoverso all'altro da "froci!" "puttane!" ad André Malraux.
Notare infine come accanto alla citazione dotta ci sia lo spazio per una notazione sociologica mica di poco conto ("la ricerca del nemico"), ma che quello che fa veramente lievitare il pezzo siano i dettagli; il realismo balzacchiano dello "specialista in malattie urogenitali". E il classico finale in cui torna un dettaglio iniziale, le dieci lire: Placido era un maestro in Ringkomposition. Sicché alla fine quello che ti resta è un piccolo racconto: Placido che va a trovare i giovani radicali, loro che gli spiegano un po' di cose (nota anche questo: Placido è uno che racconta come impara le cose), Placido che se ne torna a casa rimasticando Malraux con 10 lire in tasca.
Tutto questo nel 1986, e insomma, io avevo 13 anni. Beniamino Placido era di gran lunga la cosa più intelligente che potessi trovare su un pezzo di carta stampata. Mi manca tantissimo, mica da oggi. Le vecchie dieci lire non hanno più prezzo.
Il pezzo:
SONO andato a far visita a quelli di "Radio radicale". E' una visita che mi ripromettevo di fare da tempo. "Radio radicale" sta per chiudere. Me ne dispiace: come a tutti. "Radio radicale" ha fatto cose importanti. Ha registrato dibattiti e processi importanti. Che possono essere utili agli studiosi. L' ho sempre rimandata, questa visita, per timore che diventasse una visita di maniera: un adempimento convenzionale. Ma anche - lo confesso - perchè non è facile raggiungere "Radio radicale". Non che stia in capo al mondo. Tutt' altro. Sta proprio nel centro di Roma, dalle parti della Stazione Termini. Ma sta anche al quinto piano. E' servita da un ascensore che funziona ancora (pensate un po' ) con dieci lire. E chi l' ha più vista, ultimamente, una moneta da dieci lire? Chi ce l' ha più? La prospettiva di farsi cinque piani a piedi, nella Roma di questi giorni, con trentacinque gradi all' ombra, è avvilente. Tuttavia non ho potuto proprio rimandare oltre. Quello che è accaduto (e sta accadendo ancora) in questi giorni è di qualche interesse. "Radio radicale" ha messo le sue quattro segreterie telefoniche, e poi il suo microfono, a disposizione di chiunque volesse telefonare: per sessanta secondi. Con le conseguenze che ormai conosciamo tutti. Le abbiamo lette e viste commentate - variamente - sui giornali. COSI' MI SONO FATTO CORAGGIO. Mi sono anche procurato - sia pure avventurosamente - una moneta da dieci lire e sono andato a trovare quelli di "Radio radicale". Vivono (lavorano, bivaccano) in uno di quei lugubri palazzi che i piemontesi costruirono intorno alla Stazione, quando arrivarono a Roma. Nell' ingresso c' è l' insegna di un albergo: modesto. Di una pensione: modesta. E di due medici. Uno specialista in "malattie urogenitali". Uno specialista in "sessuologia". E' giusto che sia così. I radicali hanno rivalutato il "privato". Ci hanno rammentato che la notte è importante quanto il giorno, nella nostra vita. E di notte riemergono problemi che fanno capo - quando irrisolti - a quel tipo di specializzazione medica, più o meno raffinata. Trovo uno sciame di ragazzi curvi sulle segreterie telefoniche. Che intanto stanno ribollendo. Ieri sono arrivare poco meno di duemilacinquecento telefonate. E questa è ormai la media quotidiana. Quei ragazzi - volontari - registrano e trascrivono tutti i messaggi. Mi regalano un bel pacco di trascrizioni, che poi leggo e annoto con calma. Confermano quello che sappiamo dai giornali. Esiste un' Italia attraversata da sordi rancori e furenti conflitti: fra Nord e Sud; fra "fascisti" e "comunisti" (o sedicenti tali); fra laziali e romanisti; fra uomini e donne ("froci!", "puttane!"). MA SE VAI A CONSIDERARE BENE, mi dice Paolo Vigevano (è con lui che parlo, e con Valeria Ferro) vedrai che la motivazione fondamentale è la ricerca di un nemico: dovunque, comunque. Perchè è un nemico che ti fa sentire vivo. E' un nemico che ti regala uno straccio di identità. E' giusto che sia così. Per anni i radicali si sono impegnati fortemente nella ricerca di un nemico. E hanno anche creduto di trovarlo. Nei mass-media, che li perseguitavano, secondo loro. Naturalmente, non li perseguitavano affatto. Però mi rendo conto che sto dicendo, sui radicali, delle cose involontariamente aggressive. E' anche giusto che sia così. Ho, come tutti, un atteggiamento contraddittorio nei confronti dei radicali. Almeno tre volte al giorno li troviamo simpatici. Ed altrettante, nella stessa giornata, antipatici. Però è anche giusto dire un' altra cosa che fa onore ai radicali, e che rinvia al segno veramente distintivo della loro presenza. LO SCRITTORE FRANCESE ANDR MALRAUX ha scritto una delle frasi più belle di questo secolo: "La vita umana non vale niente, ma niente vale quanto una vita umana". Che la vita umana non valga niente, lo sappiamo bene. E lo tolleriamo anche, con sonnolento cinismo. I radicali ci hanno ricordato sempre, in questi anni, che è vera anche la seconda metà della frase. E' vero anche che niente vale quanto una vita umana: quando si spegne per fame in Africa; ma anche quando si esprime - con rabbia furore frustrazione - a "Radio radicale". Anche queste sono vite che andrebbero ascoltate: qualche volta anche rispettate; certo, studiate. Forse è una posizione prepolitica, questa radicale. Di cui però ogni politica dovrebbe tener conto. Quando mi congedo, i radicali mi regalano una moneta da dieci lire: "per la prossima volta". Ecco: "Radio radicale" è l' unico posto di Roma, forse d' Italia, dove dieci lire valgono ancora qualcosa. Ma quanto valgono dieci lire, in concreto? - di BENIAMINO PLACIDO
oh, ma da quando collabori con l'Unità il meglio lo metti qui, com'è?
RispondiEliminaIn effetti bello, conciso, diretto. Poche considerazioni personali, molti "fatti" concreti su cui riflettere. Un modo dimenticato di fare giornalismo. Purtroppo.
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