sabato, gennaio 30, 2010

Per un pugno di segale

Devo essere onesto: io Salinger praticamente non lo conosco. Per esempio, Catcher in the Rye non l'ho letto. Ho letto il Giovane Holden, che non è esattamente lo stesso libro (ma poi non è detto che sia peggio). E anche quello l'ho letto forse tardi, quando la molla immedesimazione non scattava più - ma poi chi l'ha detto che debba per forza scattare la molla immedesimazione. Anzi. Mi sembrò, quando lo lessi, un ragazzino pieno di paura che scopre la Disperazione quasi per gioco, come ci si diverte a volte a quell'età a sporgersi dalle balaustre, e in realtà si stanno ponendo serie basi per la depressione e la nevrosi e tutta quell'impoetica infelicità che sarà poi l'età adulta (che a volte uno poi pensa: avessi letto qualche libro in meno, avessi invitato fuori un paio di ragazze in più, mah, chissà, magari ora non sarei in trattamento farmacologico). E' un'opinione come un'altra, forse un po' da bastian contrari, ma perché poi dovrebbe starci per forza simpatico Holden Caulfield.

Anzi voglio condividere un sospetto: magari non stava simpatico nemmeno a Salinger. Può darsi che la sua intenzione fosse ritrarre un giovane che studia da cretino, mentre compie tutti i passi cruciali che lo trasformeranno in un perfetto cretino disadattato. Può darsi che Salinger l'avesse inteso in questo modo, e che il successo lo abbia spiazzato, spingendolo a concludere che erano cretini anche i lettori, cretino l'universo, e andatene affanculo tutti quanti (e no, non ve li vendo i diritti).

Non ho prove ovviamente. Però quella famosa citazione, una delle più banali, quella in cui dice che dopo avere letto un libro gli piacerebbe telefonare allo scrittore a qualunque ora della notte, ecco: se ci pensi bene, è un cretino che ragiona così. Se non già un cretino fatto e finito, comunque un cretino molto promettente. Non si telefona agli scrittori, come può venirti in mente un'idea così... loro quel che potevano dirti lo hanno già messo nero su bianco, non c'è niente da aggiungere, e non sono tuoi amici. Io la penso così, più o meno; ma il mio parere non è che conti molto. Conta molto di più il fatto che anche Salinger la pensasse così. Altroché se la pensava così. In pratica ha passato la vita a difendersi dagli holdenoidi che telefonano agli scrittori. Non so, magari è un'osservazione banale che hanno fatto già in centinaia. Poi chi l'ha detto che bisogna fare osservazioni originali.

E comunque non ce l'ho con nessuno, sono convinto sia un ottimo libro, e se avete amato Holden, vi do questo consiglio: provate a rileggerlo col presupposto che sia un aspirante cretino. Garantisco che è bello lo stesso. I classici sono fatti così.

18 commenti:

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  2. E' un ragazzino. I ragazzini hanno il diritto di essere (almeno un po') cretini: quante volte al giorno te lo ripeti in classe?

    tibi

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  3. Davvero pensi che essere infelici equivalga ad essere cretini? Opinione come un'altra. Per quanto mi riguarda, devo essere stato molto cretino allora nella mia vita. E di cretini in giro ne vedo diversi.

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  4. l'ho letto circa un mese fa (in italiano).
    la prima domanda che mi sono posto è se quella lingua idiota - da matusa alleato del governo contro i ggiovani - è un crimine commesso da salinger o da adriana motti, la traduttrice.

    nel complesso un libro schifo, pieno di seghe mentali schife, metafore schife, salti schifi di palo schifo in frasca schifa.

    poi ho concluso che quel libro, senza averlo mai letto, l'avevo letto mille volte, in tutti gli emuli, che hanno tutti fatto meglio dell'originale. sempre che non venga fuori che il libro è bellissimo e adriana motti s'è divertita a violentare ogni parola.

    riguardo al cretino: noi conosciamo i pensieri di holden, mentre di solito gl'infelici paiono tanto geniali quando tacciono.

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  5. ma qualcuno qua ha mai letto qualcosa di salinger che non sia la traduzione italiana del suo libro più famoso?

    no così, per capire di cosa si sta parlando.

    bah

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  6. Beh, visto che stiamo parlando esclusivamente del suo libro più famoso, averne letto la traduzione italiana non è poi così male. Anche se sappiamo tutti più o meno che la versione inglese è un'altra cosa.
    Comunque non si fa un giudizio di merito (o meglio: si fa, ho scritto che è bello). E' una questione d'interpretazione: anche se Holden fosse un personaggio negativo resterebbe un bel romanzo. Il capitano Achab è un personaggio negativo: dirlo non equivale a stroncare Moby Dick.

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  7. a volte i tuoi post mi provocano del piacere fisico. non so se sia grave.
    j.

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  8. Non ho le prove ovviamente ma ho il sospetto che il Giovane Holden e The catcher in the rye siano esattamente lo stesso libro, al netto della comune radice etimologica tra tradurre e tradire e delle libertà della traduttrice. Libertà che peraltro ho il sospetto si siano presi decine di traduttori, magari non tutti intervistati da Luca Sofri.

    E, sempre senza averne le prove, ho anche il sospetto che avere letto il giovane Holden significhi, non certo conoscere Salinger ma almeno la parte più significativa della sua opera.

    La tesi del post la trovo invece bislacca ma qui le prove non servono.

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  9. Beh, mi sembra quasi un 2+2: da una parte c'è un personaggio che vuole telefonare agli scrittori, dall'altra c'è uno scrittore che non rispondeva al telefono; due più due... No, vabbè.

    Al giorno d'oggi nessun traduttore si prenderebbe le libertà che si prendevano i traduttori della generazione della Motti. Era un mondo diverso con mentalità e standard molto diversi. La sua traduzione ha un valore in sé (e in effetti non credo che ci siano altre versioni in italiano, e comunque non hanno avuto successo), perché un tratto stilistico di Salinger era l'iterazione, mentre la Motti preferiva variare. L'Holden italiano ha una gesticolazione linguistica molto diversa da quello inglese: è più estroso e forse meno musone.

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  10. ma l'iterazione era un tratto stilistico di Salinger o una caratteristica della lingua inglese?

    L'altra accusa singolare, che però non hai fatto tu, rivolta sia a Salinger che alla traduzione della Motti, è di usare espressioni giovanili che oggi fanno ridere, tipo quella che viene tradotta con "marpione sfessato". Ma mi pare evidente che lo slang giovanile abbia una velocità di invecchiamento pari a quella della generazione che lo usa e dunque usarlo in un libro significa inevitabilmente datarlo. Ma non si può fare diversamente. E il valore letterario dell'opera mi pare rimanga comprensibile anche a chi ha letto gli emuli prima dell'originale. Che tra l'altro spesso sono ottimi, come il Jack Frusciante di Brizzi. Al netto di chi storce il naso naturalmente.

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  11. cragno: senz'altro; io in italia nel '51 non c'ero, quindi non so se c'erano i marpioni sfessati (anche se spero di no) e se le cose erano così schife.

    questo è, appunto, il mio dubbio, se quello slang è vero o finto; se è vero, fine, se è finto fa cagare e basta.

    ho letto il giovane holden quasi quindici anni dopo aver letto jack frusciante è uscito dal gruppo; chissà, probabilmente se non avessi mai letto il secondo e avessi letto il primo all'età giusta, esprimerei un giudizio diverso.

    ma nel mio caso è quasi tutta colpa dell'aspettativa, erano anni che mi ripetevano leggi il giovane holden e poi muori, e per questo m'ha deluso.

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  12. Credo che si capisse già dall'intervista: la Motti lo slang se lo inventava alla grande. Proprio per questo ha creato immagini memorabili (su tutte il verbo "stantuffare").
    Non riesco a capire perché uno slang debba piacere solo se è vero. A me quello del Giovane Holden piace proprio perché è sistematicamente finto (a differenza di The Catcher, dove comunque ce n'è meno). Se dovessi scrivere un romanzo su dei giovinastri mi inventerei tutto alla grande: proprio perché mi piacciono i romanzi, non i documentari giovanilisti che potete benissimo scaricare sul canale video del Corsera.

    Comunque gente che ti dice "leggi il giovane holden e poi muori" mi sa che è morta dentro. Prima o dopo averlo letto. Non fa tanta differenza.

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  13. veramente a me pare che la Motti nell'intervista dicesse proprio il contrario, cioè che all'epoca lo slang era in uso e lei chiedeva ai suoi nipoti per essere informata. E dire che non c'è neanche una traduzione di mezzo a confondere le idee

    Giorgian: ti capisco benissimo, mi pare piuttosto ovvio che tu e io sentiamo più vicino un tardoadolescente della Bologna anni 90 rispetto a un 17enne della new york di fine anni 40. Ma qui entrerebbe un discorso che Leonardo fece qualche tempo fa sulle chitarre di certi tizi che suonano in un certo modo dieci anni prima degli altri (http://leonardo.blogspot.com/2009/03/se-pagliacci-non-ridesse-piu.html)
    Però alla fin fine, come dicevo, il valore dell'opera mi pare ancora abbastanza comprensibile e anche la piacevolezza del leggerlo non mi pare così compromessa.
    In altri casi va molto peggio: io ad esempio sono rimasto basito dopo aver visto "Zero in condotta" di Jean Vigo, capolavoro universale per tutti i critici del mondo. Ma poi da qualche parte ho anche letto "si fa fatica ad afferrare oggi l'importanza dell'opera vista la quantità di emuli che ha avuto" e allora mi sono detto: aahhhh ecco.

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  14. @leonardo: "Non riesco a capire perché uno slang debba piacere solo se è vero."

    non ho assolutamente detto questo: a clockwork orange, di anthony burgess, è scritto nel '62 ma non sentirà mai il peso degli anni (la traduzione in italiano non l'ho letta, ma i dialoghi italiani del film non sono male).

    se bisogna piazzare slang in un libro, o s'inventa (e s'inventa bello) o si piglia quello vero.

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  15. non un cretino, un malato.

    Salinger non controllava a pieno la sua mente e ha scritto sempre di quello. Tutti i suoi personaggi perdono il controllo della loro mente. Ha conosciuto (forse di persona) lo "shell shock" durante la seconda guerra mondiale e il d-day.
    Molti dei personaggi finiscono per uccidersi o soffrono per il suicidio di familiari. Nei nove racconti le storie sono spesso fra bambini ed adulti dissociati ed evitano l'equivoco sull'adolescenza e la formazione. Salinger non ha mai voluto scrivere di nessuna delle due, ma solo del momento in cui la mente ti abbandona, per caulfield il momento arriva durante l'adolescenza e in un istituto psichiatrico ci finisce un adolescente.

    Era un malato, scriveva di malati, ma ha disegnato quelle storie in maniera meravigliosa, toccando corde che chi legge non sa di avere in testa, ma da qua sapresti scriverne meglio tu di me, innamorati di Nine stories, per favore : )

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