La gente della mia età, dovete capire, è nata cresciuta e maturata con Raimondo Vianello all'orizzonte. Statuario senza essere ingombrante, stava lì e non dava noia a nessuno; era parte del paesaggio; ed era sempre anziano. Pensare che sia stato bambino, ragazzo, che tra Salò e Badoglio abbia scelto Salò, che sia stato in prigione con Ezra Pound, sono cose che danno la vertigine. Lui era un uomo di mezza età che battibeccava con la moglie in tv; erano meno giovani dei nostri genitori, quindi erano vecchi.
A dir la verità una possibilità di vedere Vianello giovane l'avevamo anche noi, ed erano i vecchi film in bianco e nero con cui la Rai tappava ancora qualche buco di palinsesto. Erano farseschi e divertenti, ma a un certo punto non si sono visti più. Come è noto (ma non è mai stato chiaro il perché), l'innocuo sketch su Gronchi spezzò il duo Tognazzi-Vianello irreversibilmente; il primo scelse definitivamente il cinema, il secondo la tv. Tognazzi è diventato uno dei volti più importanti della Storia del cinema italiano, Vianello dopo le farse in bianco e nero è praticamente sparito dal grande schermo. È una cosa molto strana, perché era bravo e popolare. Ma era un po' pigro, e aveva fisime tutte sue: per esempio, apprendo che non fece Amici Miei perché non gli piacevano le scene di nudo.
Mi chiesero di lavorarci, ma io rifiutai. Perché? Mah... io non sono tanto amico delle comitive, dello spirito cameratesco delle comitive, e invece loro, Monicelli, Ugo, gli altri, mi dicevano: «Dai, vieni, abbiamo già prenotato le trattorie, facciamo delle mangiate indimenticabili...» e la prospettiva non mi sorrideva tanto. Un po' questo, un po' perché lessi la prima scena che dovevo fare, e, non che io sia tanto prude, ma dovevo essere nudo, con una donna nuda, e mi sembrava un po' troppo... insomma, dissi di no. Lo fece Del Prete, il personaggio, in un film Del Prete e negli altri Montagnani.
Tra i ricordi sbiaditissimi della tv in bianco e nero della mia infanzia, c'è uno di quei film tappabuco troppo assurdo per essere vero, in cui Hitler non è morto, ma si nasconde! E Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello indagano. Per molti anni mi sono chiesto se l'avevo visto veramente, o se me l'ero sognato. Questo prima che esistesse google. Quando hanno inventato google, me ne sono dimenticato. E oggi finalmente ho scoperto che esiste. Si chiama Le Olimpiadi dei mariti (1960), e, vi chiederete, cosa c'entrano le Olimpiadi di Roma con Hitler. Ovviamente nulla. La genesi del canovaccio delirante è trascritta qui.
Eravamo partiti con l'idea di fare una parodia della Dolce vita; e non era affatto una parodia facile o corriva, anzi, il copione di Scarnicci e Tarabusi era assai ben scritto; iniziava, come il film di Fellini, con il trasporto in elicottero di una grande statua... però quando Fellini seppe della parodia non gradì, e lo fece sapere al nostro produttore, che era in stretti rapporti di lavoro con i produttori di Fellini, e non ebbe altra scelta che abbandonare il progetto. Però la troupe era già scritturata, e mancavano pochi giorni all'inizio delle riprese. Che fare? Per fortuna, c'erano le Olimpiadi a Roma, e su questa felice coincidenza improvvisammo il film giorno per giorno. Ugo e io eravamo due giornalisti che vogliono darsi al bel tempo, e come scusa di copertura per le mogli s'inventano che a Roma c'è una cellula nazista sulla quale devono investigare. Naturalmente si scopre che la cellula c'è davvero. Francis Bianche, che aveva avuto un grande successo nel ruolo del comandante hitleriano in un film con la Bardot, rifece anche lì il nazista pazzo; poi, sempre in cerca di spunti per questo copione improvvisato, ci chiedemmo: «E adesso come si finisce?». Allora io dissi: «Facciamo che passa Hitler». Conoscevo un esule russo, persona assai civile, che per sbarcare il lunario rivendeva a un drugstore molto chic di via Veneto certi dolci russi che sapeva fare solo lui. L'esule era praticamente identico a Hitler: lo scritturammo e lo facemmo apparire. Era il surrealismo dei bisognosi...
Non so se ho voglia di rivederlo.
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