Invece io al Festival ho visto l'ultimo filosofico film di David Lynch, INLAND EMPIRE, scritto tutto in maiuscolo perché i cinefili in fin dei conti hanno la stessa sensibilità dei ragazzini che scrivono i nomi dei gruppi sullo zainetto, mi piace MARYLIN MANSON e ho visto pure INLAND EMPIRE, e tu non ne saresti capace, tiè. Perché ci vuole resistenza.
Penso che quando sei adolescente, e non sai ancora distinguere le cose belle dalle puttanate, spesso l'unica opzione a tua disposizione è la resistenza. Quindi MARYLIN MANSON è meglio dei Beatles, perché per ascoltarlo ci vuole più resistenza, e di conseguenza INLAND EMPIRE è uno dei capolavori della cinematografia mondiale, perché durante la tre ore di proiezione tutti se ne vanno via e alla fine resto sono io, che sono tostissimo.
Penso che molti cinefili, perlomeno quelli cresciuti nelle notti di Raitre, alla fine hanno questa sindrome qui, che potrei chiamare Adolescenza, che un tempo ho avuto anch'io e che forse mi piacerebbe avere ancora.
(Incidentalmente penso che Ghezzi è al suo posto da millanta anni, ha più ore di trasmissione alle spalle di Pippo Baudo, ha meno capelli di Baudo e sprigiona meno energia vitale).
Poi vorrei chiedere a questi cinefili, che immagino tutti estasiati di fronte a tre ore di brutto materiale onirico in digitale, vorrei chiedergli perché solo Lynch ha il diritto di beffarsi dello spettatore con rozze provocazioni. Perché lui sì e Lars Von Trier no. Oppure perché Lynch sì e gli ultimi Greenaway no. La risposta probabilmente c'è, ma contiene sintagmi astratti ed equazioni di quarto grado, per cui faccio finta di non averla sentita e dico la mia: perché le uniche provocazioni che vi piacciono sono quelle che salvano il vostro status di spettatori adolescenti.
Greenaway nelle Valigie di Tulse Luper fa vedere le prove di casting. Fa vedere la stessa scena con tre ciak diversi. Questo irrita il cinefilo medio, perché gli suggerisce che il cinema sia una finzione, un lavoro, persino un lavoro noioso certe volte. Comunque un'attività che si può anche pervertire, che si può sposare allegramente ad altre arti visive o no. Il cinefilo trova tutto questo poco filmico.
Von Trier si disfa della scenografia. Arriva al punto di lasciare un robot dietro la macchina da presa (che magari ha una presa più salda della sua). E poi ci tiene tanto al Messaggio. Vuole sempre usare il cinema per dire delle cose che stanno fuori dal cinema. Il cinefilo medio, fuori dal cinema ha paura.
Lynch ormai se ne fotte di tutto quanto. Ha delle storie, gira delle scene, poi si dimentica dove voleva andare a parare, oppure il finanziatore si stanca, oppure telefonano da Venezia che vogliono dargli un premio alla carriera e se non ha per caso un film pronto per l'occasione, anche tre ore di immagini montate alla cazzo vanno bene. E c'è sempre un cinefilo pronto a gridare al capolavoro, alla summa. Ma la summa de che?
Vogliamo essere un po' cinici sul materiale onirico? Trattasi perlappunto di materiale di scarto. Se qualcuno volesse trasferirli in un film, otterrebbe un film incoerente e assai noioso. Come volevasi dimostrare, toh.
Poi, siccome si tratta di adolescenti che invece hanno pagato (e quindi devono crederci), c'è sempre la possibilità di scrivere tesi di laurea sulle interpretazioni delle porte e degli scalini, dei faccioni che colano come maschere su una lampadina, delle teste di coniglio e di quant'altro. Ma non serve a niente. Lynch sembra veramente contare su quello spettatore puberale che va a vedere Donnie Darko senza capirci un cazzo, e poi cerca sui siti internet la Teoria dei Viaggi del Tempo. Ma se si tratta di mitologie, preferisco quelle di Tolkien che almeno stanno scritte nero su bianco. Le trovo più serie delle vostre derive interpretative.
Anche perché Tolkien si può condividere con milioni di persone nel mondo, mentre Lynch ha solo dei sogni privati da ricostruire. Però la sua fiducia nel mezzo cinematografico è davvero commovente. Questo piace al cinefilo: i giochini di Lynch mettono tutto in discussione, tranne il mezzo, tranne il cinema. Il cinema come passione, il cinema come sogno, il cinema come state zitti e bevetevi tutto quello che ho da dire, plebaglia. Greenaway o Von Trier strizzano l'occhio allo spettatore, vogliono farlo crescere: Lynch invece vuole solo fargli strabuzzare gli occhi. E' disonesto come qualsiasi regista di teatro off, che sa che lo spettatore in una sala vuota si terrorizza con niente. Basta una scala, una porta, un urlo, un coniglio, un cacciavite. E allora vai di porte, vai di cacciaviti. In tre ore Lynch vuole solo dirci che noi siamo in Suo Potere. Questa è la sua idea di cinema. Al cinefilo sta bene. Deve solo rilassarsi, ostentare Resistenza, e rassegnarsi a introiettare il materiale onirico di scarto del Grande Maestro.
Alla fine si è con Lynch o contro Lynch, secondo il dilemma dettato dal Divino Marzullo: la vita è un sogno (un film), o i sogni (i film) aiutano a vivere meglio? I cinefili hanno scelto la prima. Invece quelli tipo me, che al cinema ci vanno in cerca di qualche idea per vivere meglio una volta fuori, da film del genere non ci cavano fuori un bel niente. C'è una donna in pericolo? Che si fotta. Un fantasma vuole entrare? Cazzi suoi, tanto nella mia vita i fantasmi non esistono. C'è molto più succo in una puntata dei Simpson. Anche in quella che fanno al cinema adesso.
Di buono c'è che l'ho visto gratis. Massimo rispetto ai poveracci che hanno speso sette euro in quel modo.
Inland Empire Aggregator (C'è da sbellicarsi).
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