domenica, settembre 30, 2007

idioland

Caro imprenditore veneto, che vai in tv e ti lamenti perché paghi troppe tasse e fuori è pieno di delinquenti, e niente polizia, e in tutta la provincia di Treviso ci sono solo due volanti.

Caro imprenditore che si è fatto da solo, che non sei andato troppo a scuola perché eri troppo occupato a farti da solo, che tanto il tuo mestiere lo sapevi e il resto del mondo si sarebbe adeguato.

Caro te che quasi piangi, quando spieghi che ti han derubato il cantiere sei volte, sei volte! Tanto che stai pensando addirittura di pagare un vigilante, caro imprenditore, sai una cosa?

Sei un mona.

La crisi italiana ha tante ragioni, tra cui questa, di cui nessuno parla mai: che la classe imprenditoriale è composta in buona parte d'imbecilli. Ti devono derubare sei volte prima che ti venga in mente di pagare un custode? Te li meriti, i ladri. Son meglio organizzati di te. Probabilmente hanno fatto studi migliori. Tu sei lì che chiagni-e-fotti, ti rendi conto? Nel momento della verità, reagisci come un terrone. Ma credevi davvero che l'ignoranza ti avrebbe sbarcato a gratis nel terzo millennio? Il miracolo del 1960-1980, per cui qualsiasi mona con un po' di voglia di lavorare era in grado di farsi un'impresa e una villetta, è finito.

Manda, manda pure a Roma e a Bruxelles tutti i mona che vuoi, a ingozzarsi alla buvette e cianciare di rivolte fiscali. Quelli sì che son voti e soldi bene spesi. Intanto il mondo gira: ed è un mondo pieno di gente che lavora più di te e meglio di te.
Sei talmente mona, che se ti dicono di non gicoare più al superenalotto, lo farai. Bravo. E' giusto che le vincite vadano tutte ai terroni. Tu sei veramente troppo mona.

mercoledì, settembre 26, 2007

la pubblicità è importante

Nessuno lo mette in dubbio.
Però certe volte è davvero inutile e importuna. Cliccare sui disordini in Birmania e trovarsi bloccati su un completo di Gucci non ha molto senso.

martedì, settembre 25, 2007

Far male ad Alex (se lo merita)

Per ora la visione in tv di Arancia Meccanica non sta destando in me pensieri ultraviolenti. Non quanto la prefazione di Infascelli, perlomeno.

Invece la visione di Infascelli (non i suoi film, proprio la sua faccia) mi suscita nausea, vomito, esterofilia, e anche una vaga voglia di menarlo, che devo ancora ben razionalizzare. Sarò un rosicone? Se la piantasse lui, di rosicare la lingua italiana mentre parla?

c'è anche un coniglio che muore perché è obeso

Se la vita vi sembra avara di belle sorprese, potete sempre consolarvi andando a vedere La ragazza del lago, che è un bel film con Toni Servillo.

In questo film (WARNING SPOILER!!!) un minorato mentale, che vive da solo con un padre paralitico in provincia di Udine, trova in riva al lago una ragazza annegata con un tumore al cervello. La ragazza era la baby sitter di un bambino con disturbi comportamentali gravi. Per fortuna c'è un commissario con una dermatite atipica che indaga. Che altro c'è? Ah, giusto: sua moglie soffre di una forma grave di Alzheimer.

Insomma, tutta la sfiga che uno grande schermo può mostrarti in un'ora e mezza, tranne forse la lebbra e l'epilessia - ma probabilmente nel director's cut vedremo che il fidanzato di lei ha una crisi e gli cascano le dita per terra. Anche così comunque è un buon film. Ti mette di buonumore.

sabato, settembre 22, 2007

Lorenzetto il magnifico

Confesso che è stata una rivelazione leggere l’articolo col quale Panorama presenta il libro del patron di Esselunga, Bernardo Caprotti, Falce e Carrello (Marsilio editore). Perché, prima ancora della sostanza (che merita di essere trattata in separata sede), a colpire è la forma. Tutto merito dell’autore, Stefano Lorenzetto, pluripremiata firma dell’italico giornalismo. Finora mi era sempre sfuggito il suo valore, mea culpa, ma da questo momento non più

Qui di seguito alcuni passaggi, per chi non ha la fortuna di possedere la versione integrale, nei quali il soggetto è sempre lui: Bernardo Caprotti (i titoli sono miei)

Un uomo da prendere in parola
Pranzammo insieme alla mensa aziendale di Limito (Milano), dove ogni giorno Caprotti prende un vassoio e si mette in fila con operai, autisti, impiegati e dirigenti. Jamon iberico (“Pata negra, senta che prosciutto”), pizza margherita, pennette al pomodoro e basilico, “niente di diverso da quello che mangiano i nostri clienti, qui fuori abbiamo la più grande cucina del continente, 28 mila metri quadrati”. Disse proprio del continente, non d’Europa. Magari in Inghilterra ce n’è una più grande, chissà.

Un romanziere prestato al capitale
Non credevo ai miei occhi: con prosa nervosa, in bilico fra Ottocento e Duemila, i verbi coniugati alla maniera di Ippolito Nievo e Carlo Emilio Gadda (“ebbimo”, “fecimo”, “diedimo”) e lo slang di chi ha imparato il mestiere tra Texas, Maine e Massachussetts, si dipanava un j’accuse implacabile (…)

Me la cavo con le lingue (ma mai quanto Lorenzetto con quella felpata)
Proveniva da un droghiere che mi parlava della synopsis come una tecnica irrinunciabile per un saggio del genere, “se vogliamo che anche il tassista lo capisca, non si può presentare questa roba come fosse Guerra e Pace, che ho letto solo due volte, purtroppo non in russo, perché il russo non lo so”: da un monsieur con i suoi ottant’anni di francese, settanta d’inglese, otto di latino e cinque di greco, abituato a gustarsi il Machbeth, Mark Twin, P.G. Wodehouse, Molière, Stendhal, Maupassant, nelle lingue originali.

Dio che bambina fortunata
E’ uscito ma non doveva neppure uscire Falce e carrello. Il proprietario dell’Esselunga ci ha lavorato esattamente un anno. Il tempo che la nipote Sofia spegnesse a Londra, lo scorso 13 giugno, la sua prima candelina della torta, con una cara amica dei genitori, Madonna, che le cantava Happy birthday tenendo per mano i propri figli.

Come fu che salvai un best seller
Gli ho risposto: “un libro quando è scritto, è scritto. Non può in alcun modo essere ricacciato dentro l’anima, né rinchiuso in un cassetto. Va lasciato libero di andare. Sta commettendo uno degli errori più grandi che un uomo della sua età possa fare: abbandonare il campo. Non è da lei”. Non l’ha abbandonato.

martedì, settembre 18, 2007

l'impero ombelicale

Invece io al Festival ho visto l'ultimo filosofico film di David Lynch, INLAND EMPIRE, scritto tutto in maiuscolo perché i cinefili in fin dei conti hanno la stessa sensibilità dei ragazzini che scrivono i nomi dei gruppi sullo zainetto, mi piace MARYLIN MANSON e ho visto pure INLAND EMPIRE, e tu non ne saresti capace, tiè. Perché ci vuole resistenza.

Penso che quando sei adolescente, e non sai ancora distinguere le cose belle dalle puttanate, spesso l'unica opzione a tua disposizione è la resistenza. Quindi MARYLIN MANSON è meglio dei Beatles, perché per ascoltarlo ci vuole più resistenza, e di conseguenza INLAND EMPIRE è uno dei capolavori della cinematografia mondiale, perché durante la tre ore di proiezione tutti se ne vanno via e alla fine resto sono io, che sono tostissimo.

Penso che molti cinefili, perlomeno quelli cresciuti nelle notti di Raitre, alla fine hanno questa sindrome qui, che potrei chiamare Adolescenza, che un tempo ho avuto anch'io e che forse mi piacerebbe avere ancora.
(Incidentalmente penso che Ghezzi è al suo posto da millanta anni, ha più ore di trasmissione alle spalle di Pippo Baudo, ha meno capelli di Baudo e sprigiona meno energia vitale).

Poi vorrei chiedere a questi cinefili, che immagino tutti estasiati di fronte a tre ore di brutto materiale onirico in digitale, vorrei chiedergli perché solo Lynch ha il diritto di beffarsi dello spettatore con rozze provocazioni. Perché lui sì e Lars Von Trier no. Oppure perché Lynch sì e gli ultimi Greenaway no. La risposta probabilmente c'è, ma contiene sintagmi astratti ed equazioni di quarto grado, per cui faccio finta di non averla sentita e dico la mia: perché le uniche provocazioni che vi piacciono sono quelle che salvano il vostro status di spettatori adolescenti.

Greenaway nelle Valigie di Tulse Luper fa vedere le prove di casting. Fa vedere la stessa scena con tre ciak diversi. Questo irrita il cinefilo medio, perché gli suggerisce che il cinema sia una finzione, un lavoro, persino un lavoro noioso certe volte. Comunque un'attività che si può anche pervertire, che si può sposare allegramente ad altre arti visive o no. Il cinefilo trova tutto questo poco filmico.

Von Trier si disfa della scenografia. Arriva al punto di lasciare un robot dietro la macchina da presa (che magari ha una presa più salda della sua). E poi ci tiene tanto al Messaggio. Vuole sempre usare il cinema per dire delle cose che stanno fuori dal cinema. Il cinefilo medio, fuori dal cinema ha paura.

Lynch ormai se ne fotte di tutto quanto. Ha delle storie, gira delle scene, poi si dimentica dove voleva andare a parare, oppure il finanziatore si stanca, oppure telefonano da Venezia che vogliono dargli un premio alla carriera e se non ha per caso un film pronto per l'occasione, anche tre ore di immagini montate alla cazzo vanno bene. E c'è sempre un cinefilo pronto a gridare al capolavoro, alla summa. Ma la summa de che?
Vogliamo essere un po' cinici sul materiale onirico? Trattasi perlappunto di materiale di scarto. Se qualcuno volesse trasferirli in un film, otterrebbe un film incoerente e assai noioso. Come volevasi dimostrare, toh.

Poi, siccome si tratta di adolescenti che invece hanno pagato (e quindi devono crederci), c'è sempre la possibilità di scrivere tesi di laurea sulle interpretazioni delle porte e degli scalini, dei faccioni che colano come maschere su una lampadina, delle teste di coniglio e di quant'altro. Ma non serve a niente. Lynch sembra veramente contare su quello spettatore puberale che va a vedere Donnie Darko senza capirci un cazzo, e poi cerca sui siti internet la Teoria dei Viaggi del Tempo. Ma se si tratta di mitologie, preferisco quelle di Tolkien che almeno stanno scritte nero su bianco. Le trovo più serie delle vostre derive interpretative.

Anche perché Tolkien si può condividere con milioni di persone nel mondo, mentre Lynch ha solo dei sogni privati da ricostruire. Però la sua fiducia nel mezzo cinematografico è davvero commovente. Questo piace al cinefilo: i giochini di Lynch mettono tutto in discussione, tranne il mezzo, tranne il cinema. Il cinema come passione, il cinema come sogno, il cinema come state zitti e bevetevi tutto quello che ho da dire, plebaglia. Greenaway o Von Trier strizzano l'occhio allo spettatore, vogliono farlo crescere: Lynch invece vuole solo fargli strabuzzare gli occhi. E' disonesto come qualsiasi regista di teatro off, che sa che lo spettatore in una sala vuota si terrorizza con niente. Basta una scala, una porta, un urlo, un coniglio, un cacciavite. E allora vai di porte, vai di cacciaviti. In tre ore Lynch vuole solo dirci che noi siamo in Suo Potere. Questa è la sua idea di cinema. Al cinefilo sta bene. Deve solo rilassarsi, ostentare Resistenza, e rassegnarsi a introiettare il materiale onirico di scarto del Grande Maestro.

Alla fine si è con Lynch o contro Lynch, secondo il dilemma dettato dal Divino Marzullo: la vita è un sogno (un film), o i sogni (i film) aiutano a vivere meglio? I cinefili hanno scelto la prima. Invece quelli tipo me, che al cinema ci vanno in cerca di qualche idea per vivere meglio una volta fuori, da film del genere non ci cavano fuori un bel niente. C'è una donna in pericolo? Che si fotta. Un fantasma vuole entrare? Cazzi suoi, tanto nella mia vita i fantasmi non esistono. C'è molto più succo in una puntata dei Simpson. Anche in quella che fanno al cinema adesso.

Di buono c'è che l'ho visto gratis. Massimo rispetto ai poveracci che hanno speso sette euro in quel modo.
Inland Empire Aggregator (C'è da sbellicarsi).

sabato, settembre 15, 2007

Incipit memorabili/2

Signor ministro adesso mi ascolti e non mi stia lì in cagnesco
Lettera di Alberto Manzi, maestro elementare, ad Aristide Gunnella, ministro della Pubblica Istruzione

Il Festival della filosofia dedica una bella mostra al conduttore di "Non è mai troppo tardi", maestro di scuola, pedagogo appassionato e inventore di Orzowei.
Si trova a Carpi e Leonardo,inspiegabilmente, non ne ha ancora parlato.

lunedì, settembre 10, 2007

Dall’Arabia con amore


C’è molta attesa per il nuovo episodio della saga di Al Qaeda che uscirà martedì 11 in mondovisione. Da quello che si è visto finora nel trailer, però, il nuovo Bin Laden non convince: è diventato un fighetto che si tinge la barba e parla di tutto, come un politicante qualsiasi. Mi sembra un po’ come quando Sean Connery lasciò il posto di 007 a George Lazenby e fu un flop. Qui si rischia altrettanto.
(persino Christian Rocca ha qualche dubbio)

sabato, settembre 08, 2007

Qui Modena - siamo pronti a tutto

Oggi è la festa della Protezione Civile. Tende da campo e ambulanze in ogni piazza. Forse si aspetta un terremoto durante le esequie, l'ultimo do di petto del Maestro dall'aldilà. Mah

venerdì, settembre 07, 2007

Coccodrilli/2 - Sbatti il refuso in prima pagina

Coccodrilli/1 - Ciao Giorgio


Parlar male dei morti a cadavere ancora caldo è ovviamente un dovere, specialmente se si tratta di un tuo concittadino. Almeno per cercare di narcanizzare l’overdose di ipocrite melensaggini che ci tocca e ci toccherà sorbire ancora per qualche giorno. E poi, nel caso di Pavarotti, per punirlo di quel giorno all’anno in cui ci rendeva infrequentabile il parco Novi Sad (che a dispetto del nome è in realtà un parcheggio), solitamente tranquillo luogo di spaccio e malaffare, portandoci la Carlucci assieme a Dolce, Bono, Gabbana & friends.

Sul leggendario cattivo gusto che lo portava a duettare con Zucchero o Jovanotti o a tingersi le sopracciglia di nero corvino c’è poco da aggiungere. Degli sprechi e delle miserie del dietro le quinte dell’iniziativa “benefica” riferirei solo cose apprese per interposta persona, quindi no grazie.

Quello che forse invece non tutti sanno è che il nostro è stato anche il dimenticato protagonista del musical/ film commedia Yes, Giorgio (1982, regia di Franklin J. Schaffner) nel quale interpreta la parte del tenore italiano Giorgio Fini, cantante con la fobia del Metropolitan e che, pur sposato, si innamora della dottoressa che ha in cura la sua preziosa ugola.
Battuta cult: quando lei si stupisce di tutti i privilegi e gli onori di cui gode come cantante lirico la sua risposta è: “Lei è forse comunista ?”. Essendo girato in inglese, in italiano Pavarotti è doppiato. Provate a dire da chi ? Da Ferruccio Amendola, quindi parla come Stallone, Al Pacino e De Niro. Devo aggiungere altro per convincervi a vederlo ?

lunedì, settembre 03, 2007

La sinistra in mezzo alla strada

Mi chiedo, mi capita di chiedermi, di tanto in tanto, il perché un adulto assolutamente ordinario come me, uno che lavora e paga l’affitto, tranquillo e integrato nel sistema e quant’altro, debba continuare a farsi passare per un estremista - pur senza naturalmente essersi mai sentito tale. E una delle spiegazioni più convincenti che so darmi è: però guarda quegli altri. Quelli tra i normali che sono apparentemente più vicini a te. Ascolta le loro posizioni e dimmi se possono stare in piedi.

Qualche tempo fa scrissi un post su quelle che mi parevano le contraddizioni più evidenti della sinistra radicale riguardo al tema dei Cpt. Invocai allora il maestro Miyagi, quello di Karate Kid. Quello di “se stai di qua dalla strada va bene, se stai di là dalla strada va bene ma se stai in mezzo ti schiacciano” perchè secondo me esprimeva bene un concetto che questi qua non riescono ad assimilare.

Ora: il lavoro della sinistra è di essere critica col mondo, quello della sinistra radicale di esserlo molto. Ma poi, sentendosi in dovere di governare questo mondo, ha un disperato bisogno di trovare una sintesi di posizioni coi moderati che hanno i voti.

Il risultato è che dopo aver detto peste e corna di tutto l’esistente, la sx radical crede di poter recuperare la pragmaticità necessaria ad esercitare il governo dell'esistente gettando sul tavolo un tanto di fantasia spicciola. E’ convinta che le sue proposte “pragmatiche” possano salvare capra e cavoli spostandosi un po' più vicino al centro, cioè alla realtà.

Quello di cui non si rende drammaticamente conto è che cercare la sintesi di posizioni non sintetizzabili, invece di spostarti al centro, ti sposta semplicemente in mezzo alla strada. Nel caso che tiene banco in questi giorni, quello dei lavavetri, in senso letterale.

L’altro giorno mi è toccato sentire per radio un’intervista al capogruppo dei comunisti italiani alla Camera, Pino Sgobio, che nell’ambito della generale levata di scudi di fronte alle ordinanze fiorentine invocava l’albo dei lavavetri. L’albo dei lavavetri !!?

Cioè: non un lavoro decente, legale, salubre per tutti. Non la libertà per chiunque di potersi stabilire e vivere legalmente in qualsiasi luogo, tanto è assurda e vergognosa l’idea che questo possa esserti impedito con la forza. No. Queste sono le idee dei massimalisti.

L’albo dei lavavetri sarebbe, secondo questa sinistra, la sintesi che tutela ragionevolmente i più deboli senza per questo dover fare la rivoluzione. Che è pur sempre una gran fatica.

Quello che se ne ricava, al di là della totale inapplicabilità della cosa, della poca serietà di chi la propone, autocondannandosi peraltro ad un eterno ruolo di subalternità, è che per la sinistra radicale contemporanea tutelare i deboli significa mandarli (anzi: lasciarli, dato che è capace solo di proposte conservatrici) agli incroci a respirare merda e ad essere pericolosi per se e per gli altri. Un tempo questo si chiamava pietismo ed era considerato l’espressione della cattiva coscienza dei cattolici e della destra. Adesso è la proposta più avanzata di chi vuole guidare l’assalto al cielo.
Ma per piacere. Molto più autorevole l’opinione della Cupola.