(Dal nostro inviato speciale)
L'Avana, 9 agosto. Nell'aprile dell'anno scorso, Fidel Castro era in visita
negli Stati Uniti, partecipava a banchetti e ricevimenti, teneva prolissi
discorsi alla televisione e nelle università. Gli americani, che lo avevano
aiutato con armi e denaro a rovesciare la dittatura di Batista, lo accolsero
come un trionfatore. Per l'aspetto romantico, quarantottesco, egli piacque
soprattutto alle donne americane, che nei supplementi domenicali del loro giornale
leggevano con intensi brividi di emozione la spietata guerriglia che egli aveva
condotto sulla Sierra Maestra. In quel periodo Fidel Castro non aveva cariche
di governo, era un vittorioso capo rivoluzionario cui gli americani tributavano
molti onori, ma non fu ricevuto alla Casa Bianca. Egli non dimenticò quel fin
de non recevoir e nella campagna contro i monopoli nordamericani a Cuba non
fu estraneo il risentimento personale del barbuto guerrigliero. Tuttavia, in
quel periodo egli era dell'opinione che l'appoggio degli Stati Uniti era
indispensabile a Cuba e poiché non ignorava che il più grosso spauracchio degli
americani era il comunismo, ad un pranzo offertogli dalla società nordamericana
editori di giornali a Washington egli dichiarò: «
Rispetto al comunismo posso affermare che io non sono comunista, né i comunisti
hanno forza sufficiente per diventare fattore politico determinante nel mio
Paese ». Da quel giorno, molte cose sono mutate a Cuba. Come lo avevano aiutato
a cacciare Batista, gli americani erano disposti a finanziargli anche la
riforma agraria purché la realizzasse con metodi economici democratici. Ma
Fidel Castro non era in quell'ordine di idee e non lo era soprattutto Ernesto
Guevara, che è la vera mente organizzatrice della rivoluzione cubana. Giovedì
sera, aprendo il primo congresso della gioventù latino-americana, il presidente
della Banca Nazionale signor Ernesto Guevara disse testualmente: « A chi mi
domanda se la nostra è una rivoluzione comunista, posso rispondere che per
esperienza diretta abbiamo scoperto le vie tracciate da Marx. Recentemente, il
ministro sovietico Mikopan mi confidò che la rivoluzione cubana è un fenomeno
non preveduto da Marx » Teorizzando sul comunismo, Marx non pensava certo a
Cuba, ma ci ha pensato Kruscev, il quale ha trovato nell'azione antiamericana
di Fidel Castro la inopinata, insperabile possibilità di penetrare attraverso Cuba
in tutta l'America Latina. I dirigenti sovietici, però, non hanno molta fiducia
in Fidel Castro, lo considerano necessario per convogliare il favore delle
masse proletarie che credono in lui, ma lo reputano inadatto al ruolo di capo
comunista. L'uomo nuovo del Cremlino nel Mar dei Caraibi è Ernesto Guevara,
dette Che (i cubani pronuncianoTvè), argentino, marxista integrale,
rivoluzionario di professione, ricercato dalle polizie di molti Paesi
dell'America Latina per la sua attività sovversiva, che controlla ormai tutta
l'economia cubana attraverso la Banca Nazionale che egli ha creato, importatrice
unica di tutti i generi di consumo. Sui pesos di carta egli firma Che, col suo
nome partigiano. Si dice che Fidel Castro sia un rassegnato succubo dell'amico
argentino il quale, dopo tanto fuggire, ha finalmente trovato a Cuba la
piattaforma ideale per realizzare la sua missione, diffondere il comunismo in
tutta l'America Latina, ma anche se così non fosse la realtà della situazione
non muterebbe. Non ancora quarantenne, Ernesto Guevara applica nella sua
attività politica il biblico consiglio: “Sii candido come colomba, freddo come
il serpente” con diligenza esemplare. Con una serie di interventi machiavellici
ha portato Cuba al comunismo senza che l'opinione mondiale se ne rendesse
conto. Il dramma cubano è esploso in tutta la sua evidenza quando Ernesto
Guevara, e non Fidel Castro, ordinò alle società petrolifere estere di
raffinare il grezzo importato dalla Russia. In quel momento tutti si resero
conto che i sovietici erano già saldamente installati a Cuba. Un intero
albergo, il Rosita de Hornedo, è stato messo da Guevara a disposizione dei
tecnici russi, cecoslovacchi e cinesi che lo consigliano nella attuazione del
collettivismo marxista a Cuba ed a preparare la rivoluzione comunista in tutto
il Centro e Sud America. L'organizzazione del primo congresso della gioventù
latinoamericana è stata curata, e finanziata in parte, dai sovietici che di
questo genere di raduni hanno fatto una lunga esperienza in Europa. Il migliaio
di congressisti, già imbevuti di teorie marxiste, ritornando ai loro paesi
troveranno altre migliaia di orecchie disposte ad ascoltare le realizzazioni
sociali della rivoluzione cubana ed il movimento fidelista, incanalato da
Guevara sulle vie del comunismo internazionale, non tarderà a fare adepti. I
metodi sono sempre gli stessi, il nazionalismo esasperato ha la chiave più
sicura per penetrare nello spirito romantico e ribelle dei giovani. Durante il
viaggio alla Sierra Maestra, ho sentito più di una volta la delegazione
messicana al congresso giovanile, gridare con irosa veemenza: « Viva la
California libera, viva il Texas libero, viva il Nuovo Messico libero»
annunciando un irredentismo che quelle regioni degli Stati Uniti nemmeno
sognano, ma che fa comodo agli agitatori per installare nei messicani l'idea di
rivendicazioni assurde su quelle regioni perdute dal Messico nella guerra
contro gli Stati Uniti. Come fiancheggiatori dei giovani congressisti agiscono
in molti paesi dell'America Latina gli agitatori clandestini, solitamente
nascosti nelle ambasciate cubane. Dieci giorni fa, la polizia argentina ha
fermato ed aperto il corriere diplomatico dell'ambasciatore cubano e vi ha
trovato materiale propagandistico, istruzioni per organizzare cellule rivoluzionarie,
radio trasmittenti da campo. L'altro giovedì, la polizia venezuelana ha
scoperto una cellula clandestina cubana a Caracas e Andrea Covas,
l'organizzatore, è stato ucciso. L'attività sovversiva dei rivoluzionari cubani
in molti paesi dell'America Latina non è più un segreto per nessuno, come non è
un segreto che dietro agli attivisti di Ernesto Guevara agiscono gli esperti
sovietici che pagano le spese non indifferenti della massiccia azione iniziata
per rovesciare i governi dell'America centrale e meridionale. I risultati di
tanta attività non si vedranno a breve scadenza, gli esperti prevedono che nel
prossimo decennio, se non vi, come la terza guerra mondiale, tutta l'America
Latina sarà sconvolta da sommosse sediziose e guerriglie d'ispirazione
sovietica. Il terreno sudamericano è quanto mai fertile per seminare il verbo
marxista, milioni di uomini che conducono un'esistenza miserabile, arretrata di
un secolo rispetto al progresso odierno, sono le falangi dei futuri
rivoluzionari che il comunismo, celandosi dietro al vago messianesimo di Fidel
Castro, riuscirà ad attrarre sotto le sue bandiere se le riforme sociali già
iniziate in molti Stati non daranno risultati concreti. Questi uomini abbrutiti
da una miseria secolare non sanno e non possono fare distinzioni fra il
benessere che può offrire la democrazia con una lenta, sicura evoluzione e le
promesse, che non saranno mantenute, di chi offre tutto e subito. In seguito,
quando la realtà delle cose s'impone, avvengono i ripensamenti, come già si
avverte a Cuba dove la classe piccolo-borghese che ha partecipato alla
rivoluzione incomincia a distinguersi dalle masse proletarie che ancora
sorreggono Fidel Castro ed il non più celato comunismo di Ernesto Guevara il
quale, con gesto d'imperio, ha nominato importatrice unica di tutti i generi
indispensabili all'esistenza la Banca Nazionale che egli stesso dirige. Ciò
significa la rovina economica per decine di migliaia di persone che vivevano
sul commercio all'ingrosso e al dettaglio, ed è immaginabile il loro stato
d'animo contro un governo che ha statalizzato il commercio di scarpe, camicie,
medicinali, spille da balia, alberghi, ristoranti, collettivizzando persino i
night clubs e le case da gioco oltre alle case ed alle terre confiscate ai
ricchi. Il malumore contro Fidel Castro, ma soprattutto contro Guevara è
abbastanza diffuso nelle classi toccate dalla riforma sociale, ma è impensabile
che un movimento interno possa rovesciare la dittatura. Molti osservatori
pensano, o sperano, in un intervento dall'esterno organizzato da cubani in esilio.
Tutti sanno che in un paese del centro America agisce la “rosa bianca”,
un'organizzazione diretta dall'ex-ministro batistiano Diaz Bàlart, fratello
della ex-moglie di Fidel Castro, ma è un'organizzazione screditata con la quale
nessun democratico vuole avere rapporti. Tra gli esuli cubani i democratici
sono numerosi e soltanto costoro potrebbero organizzare un serio movimento
controrivoluzionario. In Sudamerica non è difficile organizzare un movimento
clandestino, quello di Fidel Castro può insegnare molte cose. Salvato dalla
moglie batistiana dopo il fallito assalto alla caserma Moncada, Fidel Castro
andò in esilio, prima negli Stati Uniti, poi in Messico e qui incontrò il
colonnello Alberto Bayo, condottiero di partigiani nella guerriglia spagnola.
Insieme, i due istituirono una scuola di guerriglia in una grossa azienda
agricola messicana dove un'ottantina di giovani si addestravano a lanciare
bombe, a sparare dalle automobili in corsa, a tendere agguati, a devastare
centrali elettriche e telefoniche. Tutto ciò Fidel Castro lo ha raccontato in
articoli ed interviste ed è chiaro che quanto ha fatto lui possono ripeterlo i
suoi nemici. Spinto da Ernesto Guevara egli ha lanciato la sfida a tutto iI
Sudamerica ed è comprensibile che i vari governi, per nulla rassegnati a vedere
i loro Paesi dominati dal comunismo, non rimangano inerti. Per la giornata del 26
luglio, nessun governo del Centro e Sudamerica ha inviato la sua adesione alla
festa nazionale cubana, Fidel Castro ha ricevuto telegrammi soltanto da
Kruscev, Mao Tse-tung, dai governi dei Paesi d'oltre cortina e da Nasser.
Persino Tito, cui andavano le simpatie di Fidel Castro, ha preferito ignorare
la solennità rivoluzionaria cubana. Probabilmente è per causa dell'isolamento
cui si sente condannato che durante il suo discorso del 26 luglio Fidel Castro
ha minacciato di trasformare la Cordigliera delle Ande in una inespugnabile
Sierra Maestra, cioè in una sede di feroce guerriglia comunista. Forse egli ha
già la certezza che in qualche paese affacciato sul Mare dei Caraibi, in
un'azienda agricola nascosta ai curiosi, gruppi di cubani anticomunisti si
addestrano, come faceva lui sette anni addietro, a sbarcare nell'isola ed
iniziare la controrivoluzione ed ha fretta, prima di andarsene, se mai se ne
andrà, di lasciare un segno della sua presenza in tutti i Paesi dell'America
Latina che lo hanno condannato.
Francesco Rosso
La Stampa - 10/08/1960
Francesco Rosso
La Stampa - 10/08/1960