Avevo mandato questo pezzo all'inserto Saturno del Fatto Quotidiano di venerdì scorso, ma dato che oggi è l'11/11/11 mi sembra opportuno recuperarlo. Andate al festival, occupate Piste - Brigate Leonardo.
Potrà sembrare una questione un po’ oziosa, rispetto ai problemi più urgenti che deve affrontare il multiforme movimento di protesta formatosi in questi mesi in tutto il mondo. Ma in effetti una domanda posta qualche giorno fa dal New York Times può fare riflettere, da una parte, sul grado di consapevolezza che lo stesso movimento riesce a trasmettere e, dall’altra, sulle condizioni in cui oggi versano band e cantanti quando si tratta di libertà d’espressione. Occupy Wall Street, e così tutta la generazione che sta manifestando in decine di nazioni, non possiede un proprio inno, una di quelle classiche “canzoni di protesta” che passano alla Storia, la raccontano e la spingono al tempo stesso. Dove sono i Woodie Guthrie, i Bob Dylan, i Clash del 2011? Dov’è la nuova “Give Peace A Chance”? Eppure l’elenco dei musicisti transitati a Zuccotti Park a New York è nutrito: da Jeff Mangum dei leggendari Neutral Milk Hotel, con un’esibizione acustica a dir poco commovente, al passaggio “da turista” di Kanye West, che non ha proferito parola dietro ai suoi occhiali scuri da centinaia di dollari. Dal rap di Talib Kweli, alle parole incoraggianti del veterano Micheal Franti, all’ironica cover di Material Girl di Madonna suonata da Sean Lennon e Rufus Wainwright: tutto molto bello, direbbe qualcuno. Ma poi? Perfino il chitarrista Tom Morello, già nei Rage Against The Machine, band che di militanza e furore se ne intendeva parecchio, è rimasto invischiato in una ridicola iniziativa di MTV, che lo ha insignito del “Premio per il miglior live a Occupy Wall Street”, qualunque cosa sia. D’altra parte, si può ribaltare la domanda iniziale: perché questi ragazzi dovrebbero aver bisogno di un inno? Facebook, Twitter e YouTube sono più veloci e universali nel diffondere messaggi. Nell’epoca della musica dissolta, a cosa serve una canzone, anche una di quelle che guidavano cortei?
In Italia, un tempo patria di cantautori di protesta, le cose non sono molto diverse. Però i più attenti alle vicende della scena indipendente avranno notato un energico comunicato che sta circolando: “in giorni in cui ogni luogo di potere, ogni piazza, ogni monumento viene occupato simbolicamente in segno di protesta, l'11 novembre 2011 le etichette indipendenti prenderanno possesso di decine di club distribuiti su tutta la penisola”. www.111111festival.blogspot.com: 11 palchi in 11 città (più 3 all’estero), un evento “per sua natura, irripetibile (se non tra un secolo, va da sé) con una fruizione limitata da parte del pubblico, che ovviamente assisterà solo a un undicesimo delle esibizioni. Un aspetto che simboleggia le occasioni perse da parte dell'ambiente culturale italiano e anche la difficoltà di esibirsi da parte di artisti italiani di assoluto valore, ma non allineati”. Cercate in Rete il programma di 11/11/11, vi sorprenderà. E anche se non sembra esistere una sola musica per chi oggi occupa, resta ancora da occupare la musica e con essa il territorio, per creare nuove mappe alternative: “la musica in Italia non è esclusiva di dinosauri da palasport e figliocci dei talent show”.
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