domenica, aprile 29, 2018

Perché i fiori, è roba deperibile

Vi ho portato delle caramelle
perché i fiori sono deperibili...
E poi le caramelle sono così buone
– anche se i fiori sono più presentabili,
soprattutto quando sono dei bei boccioli...
ma vi ho portato delle caramelle.



Spero che potremo fare una passeggiata,
che vostra madre non avrà niente da ridire.
Andremo a vedere passare i treni,
alle otto in punto vi riaccompagnerò a casa.
Che bella domenica per questa stagione!
Vi ho portato delle caramelle.

(Youtube andava inventato per metterci tutte le esibizioni note e ignote di Jacques Brel. Di solito la versione migliore è quella in cui suda di più).

Se voi sapeste quanto sono fiero
di vedervi a braccetto con me.
La gente mi guarda di traverso,
ce n'è anche che mi ride dietro.
(Il mondo è pieno di imbecilli).
Vi ho portato delle caramelle.


(Sudava perché si ostinava a restare in giacca e cravatta. Dopo un po' probabilmente non percepiva più il mondo esterno, non vedeva più il pubblico, scompariva nel personaggio. Quelle sono le esibizioni migliori. Altre volte invece continuava a vedere gli spettatori, cercava di reclamare l'attenzione, esagerava con le boccacce; non stava sudando abbastanza).

Eh sì, Germaine non è come voi,
eh sì, Germaine è meno bella.
È vero che ha i capelli rossi,
è vero che è anche un po' crudele.
Avete mille volte ragione:
vi ho portato le caramelle.

Ed eccoci in piazza grande,
sul chiosco suonano Mozart...
ma ditemi, è per caso
che è proprio qua il vostro amico Léon?
Se volete che gli ceda il posto...
Vi avevo portato le caramelle.

Ma buongiorno signorina Germaine!
Vi ho portato delle caramelle,
perché i fiori sono deperibili.
E poi le caramelle sono così buone,
anche se i fiori sono più presentabili...

sabato, aprile 28, 2018

Easy, ready, willing, overtime

Easy, ready, willing, overtime:
where does it stop? Where do you dare me
to draw the line?



(A volte sento l'esigenza di una parola italiana per smooth; come se non ce ne fossero in realtà finché ne voglio. Possibili traduzioni di smooth in italiano: liscio, regolare, morbido, dolce, levigato, facile, tranquillo, calmo, piano, mellifluo, untuoso, sdolcinato).

A volte noti che continuano ad approfittarsene e ti domandi: a che punto arriveremo? Stanno aspettando di vedere se combini un disastro? O se impari a dire di no? Ma come fai a dire di no in un modo il più possibile liscio, regolare, morbido, dolce, levigato, facile, tranquillo, calmo, piano, mellifluo, untuoso, sdolcinato?

Io, uo-oh-oh, farei qualsiasi cosa che vorresti tu, uh uh uh
sai che io, oh oh oh, di' qualsiasi cosa che vorresti tu, uh uh uh, ma...
questo proprio no!
(oh no?)
Non posso, no.
Questo proprio no!
(oh no).
Non credo.
Questo proprio no!
(oh no).
Non posso no.
Questo proprio no, ma proprio no, ma proprio no, ma proprio no...

venerdì, aprile 27, 2018

Peace up north, peace down south

Let there be peace in the east, peace in the west
You roots, you radicals and all the rest
Peace up north, peace down south
Peace in the ghettoes all round about



We are all in a one and one in all
So throw away the guns and the war's all gone
So throw away the hunger and the war's all gone
So throw away the fighting and the war's all gone
So throw away the grudges and the war's all gone

(Magari non dura: una ragione in più per festeggiare subito, no?)

giovedì, aprile 26, 2018

O povo é quem mais ordena

Grândola, città dei Mori
terra di fratellanza
è il popolo che più comanda
dentro di te, o città.




Non sapeva che stava scrivendo la Storia, José "Zeca" Alfonso, quando scrisse Grândola vila morena. All'inizio era soltanto un omaggio a un circolo culturale clandestino sorto in una cittadina dell'Alentejo. Finché – la storia è nota – i reparti dell'esercito che stavano organizzando la rivoluzione la scelsero come segnale per l'insurrezione generale. Si infiltrarono in una radio cattolica di Lisbona e la misero in onda alla mezzanotte e venti minuti del 25 aprile 1974.

A ogni angolo un amico,
su ogni volto l'uguaglianza
Grândola città dei Mori
terra di fratellanza
terra di fratellanza,
Grândola città dei Mori
su ogni volto l'uguaglianza,
è il popolo che più comanda.

Di tutte le rivoluzioni, quella dei Garofani è la più sinistramente simile a un golpe militare. José Alfonso non poteva saperlo, eppure componendo Grândola gli venne naturale scandirla su un passo di marcia inesorabile. La libertà che guida il popolo ha un passo più marziale del solito: viene da lontano, dalle guarnigioni di Angola e Mozambico stanche di guerra, e non sgarra di un battito. Un popolo insorto non marcia così. O dovrebbe?

Ed all'ombra d'una sughera
che non sa più quanti anni ha
giurai d'aver per compagna,
Grândola, la tua volontà.

Grândola, la tua volontà
giurai d'aver per compagna
all'ombra d'una sughera
che non sa più quanti anni ha.

mercoledì, aprile 25, 2018

Questa canzone fa impazzire i fascisti?

C'è una canzone di Bruno Lauzi, su una balalaika che nelle steppe si annoia a suonare sempre le solite fredde canzoni e alla fine riesce a convincere un suo amico Flauto ad assumerla nell'orchestra Bolscioi. Come a Balalaika riesca questa opera di convincimento, Lauzi non lo spiega, siccome è una canzone per bambini; ma da lì in poi pende sulla protagonista come un sospetto di scarsa serietà che le strofe successive effettivamente non dissolvono. Una volta approdata su un palcoscenico internazionale, Balalaika non tarda a perdere la testa per un Mandolino che se la porta a Napoli: addio Bolscioi, addio mie steppe.

La musica ovviamente segue l'evoluzione della storia, senza neanche troppo affaticarsi: balalaike e mandolino non è che suonino tanto diversi. Che è forse il motivo per cui i russi, con la loro pur straordinaria cultura musicale, appena riuscirono a captare sulla tv sovietica il Festival di Sanremo impazzirono. È come se la melodia italiana fosse kryptonite per loro. Ma la musica russa, agli italiani, che effetto faceva?

Il ragazzo nicchiava, una fiera, tarchiata e grinning figura. Da intorno e sotto aumentarono le insistenze e quello allora intonò «Fischia il vento, infuria la bufera» nella versione russa, con una splendida voce di basso. Tutti erano calamitati a quel podio, anche gli azzurri, anche i civili, ad onta della oscura, istintiva ripugnanza per quella canzone così genuinamente, tremendamente russa. Ora il coro rosso la riprendeva, con una esasperazione fisica e vocale che risuonava come ciò che voleva essere ed intendere, la provocazione e la riduzione dei badogliani. L’antagonismo era al suo acme sotto il sole, il sudore si profondeva dalle nuche squadrate dei cantori. 



Poi il coro si spense per risorgere immediatamente in un selvaggio applauso, cui si mischiò un selvaggio sibilare degli azzurri, ma come un puro contributo a quell’ubriacante clamore. Qualche badogliano propose di contrattaccare con una loro propria canzone, ma gli azzurri, anche la truppa, erano troppo nonchalants e poi quale canzone potevano opporre, con un minimo di parità, a quel travolgente e loro proprio canto rosso? Disse Johnny ad Ettore che aveva ritrovato appena fuori della cintura rossa: - Essi hanno una canzone, e basta. Noi ne abbiamo troppe e nessuna. Quella loro canzone è tremenda. È una vera e propria arma contro i fascisti che noi, dobbiamo ammettere, non abbiamo nella nostra armeria. Fa impazzire i fascisti, mi dicono, a solo sentirla. Se la cantasse un neonato l’ammazzerebbero col cannone. (Fenoglio, Johnny).

Nell'estate '44 Johnny nelle Langhe ascolta ancora i partigiani della Garibaldi cantare Katyusha in russo. A cento km di distanza, nel savonese, la canzone ha già un suo testo in italiano, opera del comandante partigiano Felice Cascione. La canzone l'aveva portata dalla Russia un effettivo del Genio Pontieri, Giacomo Sibilla. Sulla musica che Sibilia aveva sentito cantare nelle retrovie dai ragazzi e dalle ragazze russe, Cascione aveva riadattato un testo scritto pochi mesi prima, quando ancora studiava medicina a Bologna. Il vento, la bufera, le scarpe rotte, tutto l'apparente realismo della composizione, Cascione lo stava immaginando, né avrebbe avuto molto tempo per goderselo: in febbraio era già morto in un conflitto a fuoco.

Per una meravigliosa coincidenza, la lirica russa comincia con un'immagine primaverile ("Meli e peri erano in fiore") e quella italiana col furore dell'inverno: fischia il vento, infuria la bufera. L'originale è una canzone d'amore, a modo suo: Katyusha è un eroina tanto quanto il bel soldato, lui custodirà la patria tanto quanto lei custodirà il suo amore (il che è altrettanto eroico, evidentemente), insomma, tutti facciano il loro dovere e la vittoria non tarderà. Il che non impediva alle ragazze russe di cantare agli italiani nelle retrovie. Fischia il vento sfoggia un romanticismo completamente diverso: il fiero partigiano è votato alla morte, non ha donne a casa che lo aspettano o comunque non deve pensarci, il che lo rende tremendamente sexy: ma le donne devono contentarsi di donargli un sospir. Fischia il vento è molto più cattiva dell'originale, e in effetti se da bambino il nonno ti faceva sentire la versione italiana, quando ascolti certe versioni orchestrali russe ci resti di sasso a scoprire che l'inno della Garibaldi, in madrepatria, è una specie di Fin che la barca va. È un fantastico equivoco: un alpino ascolta una languida canzone d'amore stalinista e la porta in Italia dove le stesse note, le stesse arcane sillabe sembrano talmente minacciose da far impazzire i fascisti al primo ascolto. Balalaika e mandolino magari non sono fatti per capirsi, ma in amore è anche bello fraintendersi.

martedì, aprile 24, 2018

Lasciammo talvolta le carni strazziate



Col tempo doveva succedere che i due anniversari si confondessero; che la memoria (vissuta) del 25 aprile 1995 si sovrapponesse a quella (ricostruita) del 25 aprile 1945, e che insomma a un certo punto per noi ricordare i partigiani coincidesse col ricordare Mara Redeghieri che canta i Ribelli della montagna sul palco di Materiale Resistente.

Così il 25/4 è diventato qualcosa di cui abbiamo sinceramente nostalgia, un momento eccezionale in cui avevano senso cose che non l'avrebbero avuto né un momento prima né un momento dopo. Fatte le dovute proporzioni, cinquant'anni prima aveva un senso nascondersi in montagna e poi sparare ai tedeschi, prendere un municipio su una collina e proclamare una repubblica provvisoria; cinquant'anni dopo diventava improvvisamente naturale che le migliori basi trip-hop italiane arrivassero dall'Appennino reggiano, e sopra ci cantasse una ragazza un po' fuori chiave, con una dizzione tutta sua ma irresistibile.

Materiale Resistente è un disco che serviva a celebrare, e ora si celebra da solo. Quanto ad ascoltarlo,  era già abbastanza faticoso nel 1995, ed è molto difficile che col tempo sia migliorato (non ho voglia di controllare). Per alcuni partecipanti era un punto d'arrivo, per altri una partenza o ripartenza; qualcuno era sui monti perché ci credeva, qualcuno ancora non si era spiegato bene ma avrebbe voluto fondare una repubblica nel senso medievale del termine, coi castelli merlati e i cavalieri e soprattutto tanti cavalli; qualcuno era comunista, qualcuno non voleva restare indietro, qualcuno non si rendeva conto, qualcuno cercava di limitare i danni: qualcuno infine era Freak Antoni, ora e sempre contro tutto e contro tutti. Il gioco poteva avere un senso solo se durava poco e impediva alla miscela di esplodere: un po' come cinquant'anni prima (fatte le dovute proporzioni). Era tutto molto ingenuo, decisamente puerile, un po' troppo retorico e non abbiamo mai più avuto niente di meglio.

domenica, aprile 22, 2018

or do what you want, run on wild



Non riesco a ricordare qual è l'altro film i cui titoli di coda scorrono su Make Me Smile. Uno è Velvet Goldmine, ma ce ne dev'essere un altro dello stesso periodo. Per me tutti i film dovrebbero finire con i titoli di coda su Make Me Smile, e magari un'auto che sfila su una strada curva al tramonto. Perlomeno, non mi viene in mente nessun film che non migliorerebbe con dei titoli così. Anche 2001 Odissea nello Spazio.

Quando scopri la storia forse capisci il perché. Make Me Smile nasce come canzone vendicativa: Steve Harley era appena stato piantato in asso da tutti i membri della sua band, i Cockney Rebel. Proprio quando le cose cominciavano a girare, i dischi cominciavano a salire in classifica, la situazione era promettente, quei tre lo mollano perché sono stufi di suonare soltanto roba sua. Va bene, andatevene (dice Steve), fate quel che vi pare. Fatemi vedere. Fatemi ridere. Il brano che Harley andò a registrare ad Abbey Road era ancora un blues rancoroso. Il produttore, Alan Parsons, decide di stravolgerlo. Lo accelera. Inserisce coretti vagamente beatlesiani. È come spalancare una finestra all'improvviso e scoprire che è già primavera inoltrata: ogni rancore si dissolve al sole. Il nuovo chitarrista dei Cockney Rebel aggiunge un lungo assolo languido e spavaldo. La rabbia cede il passo a un rimpianto beffardo: è andata così, tanto vale riderci sopra. Make Me Smile è una canzone autoperformativa: doveva dimostrare che Harley aveva ragione a voler scrivere tutte le canzoni del gruppo, e in effetti vendette più di tutte le altre canzoni dei Cockney Rebels messe assieme. Il che è in effetti beffardo e triste, ma ormai tutto questo è dietro un sacco di curve, siamo parecchio lontani, ormai, ci sorridiamo su.

sabato, aprile 21, 2018

Meet me in another world, space & joy

Io Prince continuo a non essere sicuro di averlo capito nemmeno a grandi linee: però mi sento fortunato a essere cresciuto nel momento in cui in poteva uscire dall'oggi al domani con una canzone che sembrava diversa da tutto quello che aveva fatto prima, da tutto quello che avrebbe fatto dopo. Col tempo ho capito che molte di queste differenze erano effetti ottici, col tempo sono diventato più sgamato, col tempo non mi sorprende più niente e più nessuno e neanche Prince, fosse vivo, forse. Forse.

venerdì, aprile 20, 2018

On and on and on and on



È uscito al sole all'improvviso, e all'improvviso nostalgia di cose senza senso, brutti cavalcavia spalmati di sole che scendevo di corsa per tornare a casa e non c'era veramente nulla che mi avrebbe dovuto preoccupare. Nessun esame medico o universitario, nessun telegramma mi avrebbe mai portato nessuna cattiva notizia. Ero indistruttibile: se solo l'avessi saputo.

giovedì, aprile 19, 2018

"Quando la campanella suonerà l'una ci divertiremo un sacco assieme"



È molto probabile che il dilagare di video di studenti che molestano gli insegnanti derivi come al solito dall'emulazione: questi video circolano, mietono like, a volte finiscono pure su Repubblica o sul telegiornale → domani io faccio una piazzata al professore più tranquillo che abbiamo, tu mi riprendi e svoltiamo.

Tutto questo con la complicità di diversi prof, che comunque nelle riprese vengono sgranati e irriconoscibili: in ogni caso esibire una pubblica umiliazione diventa un modo per denunciare la triste condizione della classe docente eccetera.

Credono di trovarsi in una situazione win/win, studenti cafoni e professori (auto)umiliati, e non sospettano di fottersi a vicenda davanti a un pubblico annoiato che finisce per invocare quello che la scuola pubblica non può dare (ma la privata sì), ovvero il frustino.

martedì, aprile 17, 2018

Peccato che non ci fossi, Fulvio



Uno potrebbe anche pensare, ok, che ci vuole, è Morricone. Ma Morricone ci ha messo solo una tarantella, il punto è saperla usare. Guarda cosa ci fanno i Taviani, con una tarantella.

(E ogni volta pensare a Tarantino che si guarda il film, chissà cosa ci avrà capito).

lunedì, aprile 16, 2018

Dirindindin... ricordi?

"...Dopo un quarto d'ora avrei voluto fermare il vhs: basta, tutto questo non ha senso, mettiamoci a studiare le flessioni verbali (alle 21:30, con due classi di sconosciuti dalle occhiaie stanche di lavoro).
Poi Laura Betti, con sguardo incestuoso, si mette a cantare l'Uva Fogarina. E succede qualcosa. Trenta pachistani, dieci marocchini (che non sopportano i pachistani) e diversi sfusi si mettono a cantare “diridindindin”. Come se l'avessero sempre saputa. Gli arcani dell'inconscio collettivo. Avrebbero continuato col diridindindin per una settimana. Insomma, il film in un qualche modo stava facendo breccia. E cominciavo ad appassionarmi anch'io, volevo vedere come andava a finire.



In seguito ho avuto altre classi. Più o meno scalcagnate, più o meno galleggianti sulla soglia dell'alfabetizzazione. Non ho mai rinunciato a mostrare Allonsanfan. Col vhs, finché ha tenuto, poi lottai perché la videoteca si dotasse del dvd. Con la lavagna luminosa, con quella interattiva, con o senza sottotitoli. Malgrado quelle due scene di nudo da tagliare (è un film che parla anche di sesso, di quando i rivoluzionari smettono di farlo, di perché ricominciano). Purché ci sia la possibilità del fermo immagine, perché (come non manco di far notare) a ogni fermo immagine, Allonsanfan ti restituisce un affresco sulla parete. È un film fatto con un grande amore, che si vede, pochi soldi (e non si vedono): attori filodrammatici, bambini inquietanti, e Mastroianni immenso, che si regala per cento minuti..."

Per Vittorio Taviani (20/9/1929 – 15/4/2018).
(Cialtroni!)

domenica, aprile 15, 2018

Avvelenando i piccioni nel parco



(La prima e anche la dodicesima volta che la ascolti non ci fai caso, ma in seguito, conoscendo gli altri pezzi di Lehrer, non puoi fare a meno di immaginare che la coppietta che passa la domenica pomeriggio ad avvelenare i piccioni sia composta da un paio di scienziati – lo dice persino, che ha intenzione di portarsene un paio a casa "to experiment". Prende forma il sospetto che Lehrer sia stato davvero il primo a mettere a fuoco il cinismo dello scienziato moderno, quell'umor nero malcelante una sincera misantropia. Non era neanche il 1960, una vera e propria cultura nerd ancora non esisteva – forse sulle riviste di fantascienza? – e già Lehrer ci metteva in guardia. Avremmo potuto ascoltarlo. E anche i piccioni, avrebbero potuto cercare riparo – ma sono così buone le noccioline, anche pralinate al cianuro).

Spring is here
A-suh-puh-ring is here
Life is skittles and life is beer
I think the loveliest time
Of the year is the spring
I do, don't you? 'Course you do
But there's one thing
That makes spring complete for me
And makes every Sunday
A treat for me

All the world seems in tune
On a spring afternoon
When we're poisoning pigeons in the park
Every Sunday you'll see
My sweetheart and me
As we poison the pigeons in the park

When they see us coming
The birdies all try an' hide
But they still go for peanuts
When coated with cyanide
The sun's shining bright
Everything seems all right
When we're poisoning pigeons in the park

We've gained notoriety
And caused much anxiety
In the Audubon Society
With our games
They call it impiety
And lack of propriety
And quite a variety
Of unpleasant names
But it's not against any religion
To want to dispose of a pigeon

So if Sunday you're free
Why don't you come with me
And we'll poison the pigeons in the park
And maybe we'll do
In a squirrel or two
While we're poisoning pigeons in the park

We'll murder them all
Amid laughter and merriment
Except for the few
We take home to experiment
My pulse will be quickenin'
With each drop of strych'nine
We feed to a pigeon
(It just takes a smidgin!)
To poison a pigeon in the park

sabato, aprile 14, 2018

Confutatis maledictis

flammis acribus addictis, 
voca me cum benedictis. 



A Milos Forman, 18/2/1932–14/4/2014, da un mediocre benedetto e riconoscente.

venerdì, aprile 13, 2018

It is the springtime of my loving

Al sabato ormai mi sveglio presto come tutti gli altri giorni, però se avessi il tempo per stirarmi un po', aprire le finestre, constatare che piove, tornarmene a letto, stirarmi ancora, ripensarci, ecco, in un sabato d'aprile mi piacerebbe avere una sveglia che fa partire The Rain Song in automatico. La canzone più spudoratamente languida mai composta, una sonata di sette minuti tutta costruita intorno a un semplice accordo che slitta di un semitono, da-daaaan, l'equivalente musicale dei muscoli che si rilassano dopo l'enorme sforzo di stirarsi tra i cuscini, o sbadigliare. Da-daaaaan. E tutto intorno arpeggi, violini, la minor-drop progression sviluppata con tutto il tempo che serve, Plant che si sgola, Bonham che si scuote come la mamma che è venuta a darti una spinta, sveglia, ma tutto comunque ritorna a quell'accordo slittante, da-daaaan, a proposito di dissonanze primaverili.



(Adesso ci sono i tutorial per suonarla, che invidia).

giovedì, aprile 12, 2018

And who will have won when the soldiers have gone?

A proposito di canzoni che nascono stonate e in un qualche modo non se ne vanno più: quando vi leggo discutere di Siria, per una mera questione di associazioni mi viene in mente il Libano. Il Libano mi fa venire in mente i cedri, i Fenici e gli Human League. Così voi state ancora parlando di Siria e io sto canticchiando she dreams of Ninety Sixty-Nine before the soldiers came. E penso a com'erano strani gli Human League, a barcamenarsi tra new wave e neoromanticismo senza nessun vero equilibrio, in realtà, alternando spinte e controspinte, stiamo diventando troppo pop! che si fa? Togliamo le coriste? Scherzi? Le coriste ci hanno fatto svoltare, magari aggiungiamo le chitarre e l'impegno politico. Impegno politico nel 1982? Massì, guarda sul giornale, ci sarà ben qualcosa che non va, l'intervento in Libano? Scriviamo un pezzo sull'intervento in Libano.



Ecco quando parlate di Siria, io non posso farci nulla ma sto pensando alle coriste degli Human League (che probabilmente erano la cosa migliore del combo), coiffate e pittate come in un commercial L'Oréal che ce la mettono tutta, accennano una coreografia sui bombardamenti, sorridono ma non troppo, cercano di restare intonate alle chitarre anche se qualcosa evidentemente non sta funzionando, c'è qualcosa che stona e non se ne va (a differenza dei soldati).

mercoledì, aprile 11, 2018

Risulta peraltro evidente

...anche nel clima della distensione
che un eventuale attacco ai Paesi arabi
vede l'Italia in prima posizione.




(Tutti sanno tutto dell'inizio,
ma nessuno può parlare della fine).

martedì, aprile 10, 2018

Just because I love you, doesn't mean I love you

"Scusi è qui che si pubblica una canzone al giorno che riflette l'umore del giorno?"
"Ci proviamo".
"Avete una canzone per quei giorni di aprile in cui ti svegli in hangover anche se non hai bevuto?"
"Non ci capita mai, per sicurezza noi beviamo sempre".
"Quei giorni in cui tutto sembra andare a rallentatore, anche un po' fuori chiave, il ritornello in teoria non ha nulla che non vada, eppure suona stonato, drogato, forse è il polline".
"Gli antistaminici sono il peggio".
"Poi non si capisce se piove o c'è il sole, e questo ritornello stonato, rallentato, ti resta in testa tutto il giorno".
"È come se le dissonanze restassero più in testa, forse ci sono dei neuroni che reagiscono male e se la legano al nervo".
"Ce l'avete una canzone per un giorno così?"
"Ci faccia controllare".
"Mica roba in bianco e nero, eh? Cose contemporanee".
"La contemporaneità non esiste".

venerdì, aprile 06, 2018

avete visto per caso qualcuno con un immenso ammontare di amore nel suo interno?

In una città di sirene, castelli regine eccetera aspettano la primavera e quello che porterà
Era tutto luminoso e chiaro, un sole di aprile nel cielo di aprile, e qualcuno con immense quantità di amore al suo interno.

Iris primo fiore di primavera
Lei era uccello, lei era il vento
come un angelo vero, ma senza ali.
Avrei potuto tenerla tra le mie mani
perché era la più piccola di tutte
ma il suo cuore sarebbe cresciuto più grande del mio



Le stelle erano state mandate a fare la guardia alla piccola che cominciava a fare dei suoni coi suoi piccoli polmoni. Se solo fossi stata abbastanza vicina da sentirla respirare... Era tutto luminoso e chiaro, un sole di aprile nel cielo di aprile, e qualcuno con immense quantità di amore al suo interno.

Iris primo fiore di primavera
Era un uccello, era il vento
come un angelo vero, ma senza ali.
Avrei potuto tenerla tra le mani
perché era la più piccola di tutte
ma il suo cuore sarebbe cresciuto più grande del mio

(Anche Google Translate sta crescendo, tra un po' scriverà traduzioni più belle delle versioni vere).



giovedì, aprile 05, 2018

Ma non mi chiedere che penso di te

Quando piove, canzoni sulla pioggia ne trovi quante ne vuoi. Quando c'è il sole; quando sei triste, arrabbiato, innamorato, eccetera: non è mai un problema trovare una canzone.

Ma quando ti senti inadeguato anche se stai dando il massimo e preghi che vada tutto bene anche stavolta e tutta una serie di ingranaggi che stai oliando funzionino al momento giusto invece di incepparsi e trottolare a terra: ce l'hai una canzone per una situazione del genere?

I can't help about the shape I'm in
I can't sing, I ain't pretty and my legs are thin
But don't ask me what I think of you...



Oh Well (part1) è un pezzo miracolosamente sospeso tra improvvisazione e organizzazione. La parte strumentale è un meccanismo complesso in cui tutti devono fare la propria parte e non sgarrare di un trentaduesimo. Manca solo il cantato, e forse Peter Green aveva già capito che preferiva scrivere strumentali. Così a un certo punto il meccanismo si ferma, di botto, e Green canta da solo, mettendo a fuoco già a fine Sessanta la sindrome dell'impostore: non ce la posso fare. Qui tutti mi prendono per il nuovo Eric Clapton, ma anche il vero Eric Clapton non ce la potrebbe più fare. Si aspettano miracoli e ho solo una chitarra in mano. I can't sing, I ain't pretty and my legs are thin. (D'altro canto, sono pur sempre meglio di tutti voi coglioni messi assieme, ma non chiedetemelo, ok?)

Poi la band riparte, e deve spaccare il secondo. E se non ce la fa? Infatti nel video della BBC non ce la fa; Fleetwood sui tom-tom ha come un ripensamento. Green si sta quasi per mettere a ridere, ma riesce a completare la seconda strofa. La sua preghiera. Da recitare ogni mattina, e ogni volta che ti si inceppa qualcosa. Oh, bene.

Now, I talked to God, I knew He'd understand
He said, "Stick by my side and I'll be your guiding hand
But don't ask me what I think of you:
I might not give the answer that you want me to"

È fin troppo facile definire Oh Well (part1) un pezzo bipolare – così facile che non sono riuscito a evitarlo. Green preferiva la seconda parte, uno strumentale che al tempo doveva suonare diverso da tutto ma che oggi è più datato. Oh Well è la canzone da ascoltare quando pensi di te cose bruttissime e allo stesso tempo sai che non devi mollare proprio adesso, e anche Dio, Dio stavolta in te deve crederci. Hai dei crediti da riscuotere. Non chiedere il perché. Non chiedere troppo. Andrà Bene.

(Ne ho parlato con Dio, lui sa che sono stanco: "Guido la tua mano", ha detto, "sta' al mio fianco. Ma non chiedermi che penso di te: potrei dare la risposta che non vuoi da me).

mercoledì, aprile 04, 2018

King, where are your people now?

King, where are your people now ?
Chained and pacified.
Tried in vain to show them how.
And for that you died.
You had a dream of a promised land.
People of all nations walking hand in hand
But they're not ready to accept
That dream situation, yet.
King, where are your people now ?
Chained and pacified.
Tried invain to show them how.
And for that you died.



Il reggae, teoricamente così solare, caraibico, nei primi dischi degli Ub40 prende subito l'odore della pioggia sul cemento e sui mattoni, quell'odore che da noi è particolarmente aprile e a Birmingham magari è tutto l'anno. Martin Luther King, morto ammazzato mezzo secolo fa: un eroe così poco comprensibile fuori dal Nordamerica (e persino laggiù cede il passo a eroi più semplici, cinematografici, lui decisamente non lo era), per quattro minuti di canzone diventa l'eroe sbagliato di tutti gli irredenti, chained and pacified, bianchi e neri: a Birmingham che differenza vuoi che faccia quando piove. E il 4 aprile piove di sicuro.

lunedì, aprile 02, 2018

Got to be a chocolate Jesus

Don't go to church on Sunday
Don't get on my knees to pray
Don't memorize the books of the Bible
I got my own special way
But I know Jesus loves me
Maybe just a little bit more
I fall on my knees every Sunday
At Zerelda Lee's candy store



Well it's got to be a chocolate Jesus
Make me feel good inside
Got to be a chocolate Jesus
Keep me satisfied

(Pasquetta è il giorno in cui di tanta passione ti restano solo mezzi gusci di fondente).

domenica, aprile 01, 2018

Wake Up Dead Man

Jesus
Jesus help me
I'm alone in this world
And a fucked up world it is too.

Tell me
Tell me the story
The one about eternity
And the way it's all gonna be

Wake up
Wake up dead man



(È difficile trovare una canzone interessante sulla Resurrezione. Perfino nel canzoniere ecclesiastico non è che ce ne siano parecchie di buone, rispetto al Natale, soprattutto. È una storia più difficile da raccontare, anche nei Vangeli ruota tutto intorno a un'assenza, a un mistero. In uno dei momenti più discutibili della loro carriera, mentre giocavano a fare i divi, Bono ed Edge mettono giù la Pasqua più laica e disperata che io abbia sentito intonare, con una metafora splendida già passata di moda: if there's an order, in all of this desorder, is it like a tape recorder? Can we rewind it just once more?)