lunedì, ottobre 01, 2018

Poker (Charles Aznavour, 1924-2018)

Par trois gars de mon quartier
Je me suis laisser entraîner
Dans un tripot la semaine dernière
Dans une salle enfumée
Nous nous sommes installés
Autour d'une table de poker
On a enlevé nos vestons
Commandé force boissons
Puis la partie a commencé
Tell que je vais vous l'expliquer


On prend les cartes,
on brasse les cartes
On coupe les cartes,
on donne les cartes
C'est merveilleux, on va jouer au poker!

On prend ses cartes,
on regarde ses cartes
On s'écrie: cartes!
puis l'on écarte
J'en jette trois car j'ai déjà une pair

Quand tout le monde a son jeu
On se regarde en chiens de faïence
On essaie de lire dans les yeux
Du voisin plein de méfiance

J'ai pris trois cartes
et lui deux cartes
Vous combien de cartes?
moi juste une carte
Faut s'éfier y'a du bluff dans l'air...

"Je suis blind à toi de parler"
Dit au second le premier
Et ce dernier s'écrie: "Parole!"
Le troisième mise cent francs
Je dis: "tes cent, plus mille francs"
Les deux autres s'arrêtent au vol
Le troisième me dit: "voilà Tes mille francs! qu'est ce que tu as?
- Trois dames, j'ai gagné je crois
- Non, dit-il car j'ai trois rois!"

On prend les cartes,
on brasse les cartes
On coupe les cartes,
on donne les cartes
Je me dis qu'es-tu venu faire dans cette galères?
On reprend les cartes,
on regarde ses cartes
On s'écrie: carte!
puis l'on écarte
Je me dis maintenant va falloir se refaire

Pendant toute la partie je me faisais des reproches
Quand se termina la nuit je n'avais plus rien en poche

Avant que je ne parte,
je prend les cartes
Je déchire les cartes
Je jette les cartes
Et les piétine avec colère

Mais au moment de m'en aller
J'entends des coups de sifflet
Une descente de police
Les inspecteurs du quartier
Veulent tous nous interroger
Me voici devant la justice

Ils me disent: "mon garçon
Nous sommes bons et te donnons
Une minute pour t'expliquer"
Je leur ai dit affolé:
On prend les cartes,
on brasse les cartes
On coupe les cartes,
on donne les cartes
Je n'ai jamais rien eu de meilleur qu'une paire
On reprend ses cartes,
on regarde ses cartes
On s'écrie: cartes!
et l'on écarte
- Je vois très bien me dit le commissaire

On va vous emprisonner
Car du reste je m'en fiche
Mais on va vous affecter
Au département des fiches
On prend les cartes,
on regarde les cartes
On trie les cartes,
on range les cartes
En prison je suis devenu fonctionnaire

Tout ça parce qu'un jour
Un bien triste jour
J'ai voulu jouer au poker

lunedì, giugno 11, 2018

Let me in, immigration man

sabato, giugno 09, 2018

sabato, giugno 02, 2018

È un amico che diventa nemico e mi ruba la voce

La Signora è in lacrime, e si ferma ad ascoltare:
attraversa e si blocca a metà della strada,
un colpo di vento la fa continuare.
La Signora, quando tace, sembra una volpe:
va al cinema da sola, ma ha paura ad entrare.



La Signora ha molti figli, molti figli da educare.
Qualcuno lo va a trovare, ma tanti,
li lascia sulla strada senza mangiare.
La Signora non ha padre, è figlia d’un figlio
d’un terremoto o d’uno sbadiglio.

(Io per molto non ho saputo che Lucio Dalla aveva dedicato La Signora alla Repubblica italiana, e quando l'ho saputo sono rimasto un po' deluso, per me era un'immagine ancora più potente, una metafora di ancora più cose – oltre alla dimostrazione di che poeta incredibile fosse Dalla nei primi anni in cui si degnò di scriversi i testi. Però in effetti, riascoltandola, soprattutto il due giugno 2018, ecco).

La Signora la mattina sta male, si sente svenire,
il pomeriggio sparisce, ma la notte, la notte, mi viene a cercare.
È un amore bocciato che non può continuare,
come un cane in una stanza d’albergo mi sento solo.
Provo a far tutto quanto in orario, ma mi accorgo che è un gioco:
stan giocando alla radio e al telefono, qualcuno mi uccide a poco a poco.

La Signora è mio padre e mia madre quando alza la voce,
è una mano coi guanti che mi spegne la luce,
è una montagna di carte in un ufficio postale,
è un amico diventato nemico che mi ruba la voce.

La Signora è una fila di macchine da qui fino al mare,
la Signora ci stampa il giornale e ce lo fa comperare.
La Signora ha tanti nomi, tanti nomi,
così da nascondersi e non farsi trovare:
ma a volte si veste di luci e bandiere per farsi notare.

La Signora è mio padre e mia madre quando alza la voce,
è una mano coi guanti che mi spegne la luce,
è una montagna di carte in un ufficio postale,
è un amico che diventa un nemico e mi ruba la voce.

venerdì, giugno 01, 2018

Now I don't mind choppin' wood, and I don't care if the money's no good.

Non so bene cosa sarà di noi adesso, magari niente di particolare. Ci alzeranno l'iva per tagliare le tasse ai padroncini, magari ci pagheranno qualche mesata in carta straccia perché sai, la sovranità. Sciopereremo un po', qualcuno finirà mazzolato in piazza, ci siamo già passati?



Canzoni sulle sconfitte, comunque ne abbiamo. In realtà abbiamo solo quelle; le vittorie sono un po' imbarazzanti da cantare. E abbiamo gusto per le sconfitte di tutti; nelle sconfitte siamo tutti fratelli.

mercoledì, maggio 30, 2018

I nati nel '73 fanno i longform, quando va bene glieli linka un quotidiano

Quando leggo le cose di Raffaele Alberto Ventura, lo dico con molto affetto, mi viene in mente solo di andare in macchina e alzare Velleità dei Cani al massimo volume.



(Ci sarebbe tutto un discorso serio da fare ma credo di averlo già fatto nel 2011, o era il 2015, del tipo che a un certo punto a saperle gestire le velleità ti assicuravano comunque una quattordicesima mensilità; cacciala via; ma sarebbe un discorso lungo e io ormai discussioni gratis basta; la tariffa minima è venti euro all'ora, con cento vai tutta la notte).

martedì, maggio 29, 2018

My house is full of Seven

Quando avevi quattro anni, questo video ti piaceva tantissimo. Ma proprio che ridevi per tutto il minuto e mezzo e poi chiedevi subito di rivederlo. Mai capito il perché. I compleanni peraltro ti spaventano, e questo ha tutta l'aria di un compleanno, eppure.



Adesso ne hai sette e ancora te lo ricordi. Potremmo riascoltarlo, ti chiedo. Meglio di no. Dici che non vuoi vivere nel passato. Hai anche ragione tu. Sei una persona molto diversa e il video, davvero, è ancora lo stesso, mi sembra di averlo guardato ieri per la prima volta. Certe torte vanno mangiate alla svelta, e poi si passa ad altro.

giovedì, maggio 24, 2018

Never been near a university, never took a paper or a learned degree

...And some of your friends think that's stupid of me,
But it's nothing that I care about
Well I don't know how to tell the weight of the sun,
And of mathematics well I want none,
And I may be the Mayor of Simpleton,
But I know one thing and that's I love you.

When their logic grows cold and all thinking gets done,
You'll be warm in the arms of the Mayor of Simpleton



I can't have been there when brains were handed round
(Please be upstanding for the Mayor of Simpleton),
Or get past the cover of your books profound,
(Please be upstanding for the Mayor of Simpleton),
And some of your friends thinks it's really unsound,
That you're even seen talking to me
Well I don't know how to write a big hit song,
And all crossword puzzles well I just shun,
And I may be the Mayor of Simpleton,
But I know one thing and that's I love you

I'm not proud of the fact that I never learned much,
Just feel I should say,
What you get is all real, I can't put on an act,
It takes brains to do that anyway (And anyway...)
And I can't unravel riddles, problems and puns,
How the home computer has me on the run,
And I may be the Mayor of Simpleton,
But I know one thing and that's I love you

If depth of feeling is a currency,
(Please be upstanding for the Mayor of Simpleton),
Then I'm the man who grew the money tree,
(No chain of office and no hope of getting one)

Some of your friends are too brainy to see,
That they're paupers and that's how they'll stay
Well I don't know how many pounds make up a ton,
Of all the Nobel prizes that I've never won,
And I may be the Mayor of Simpleton,
But I know one thing and that's I love you
When all logic grows cold and all thinking gets done,
You'll be warm in the arms of the Mayor of Simpleton

(C'è un tempo per riconoscersi in qualsiasi canzone, anche in the Mayor of Simpleton, non l'avrei mai detto. No chain of office, and no hope of getting one).

sabato, maggio 19, 2018

Lo spazioporto si farà, conquisteremo pure il cielo!

La vita imita le canzonette, il presidente della Puglia nel 2018 imita Caparezza nel 2008



Una grande opera di importanza storica
Che questa nazione salverà
Per la grande opera tutti i sudditi in città
Grideranno viva sua maestà
Una grande opera macchina economica
Che i massoni rifocillerà
È la grande opera, stupido chi sciopera
Quante bastonate prenderà
Grandi opere che iniziano ma che non finiranno
Mai

Più che l'hobby dell'edilizia ho la lobby dell'edilizia, che infrange la legge come un bobby che ti sevizia. Assumo tutto, ma la gente minimizza perché arrotolo cartine che non si chiamano Rizla.
Edifico e scasso; va magra e non collasso; lo stemma della crew è una squadra col compasso. Parliamo in codice, talmente in codice che a volte nemmeno tra noi ci capiamo un clacson.

Palazzinari fieri, geometri, ingegneri e novizi iniziati con atti osceni. Li si traveste da Val di Susa e in una stanza chiusa se ne abusa penetrandoli coi treni. Non abbiamo premi per gare di salto in alto, ma premiamo per vincere le gare d'appalto. Siamo balene in un mare di tanto plancton: noi quelli dritti voi fritti come wonton.

(Nei cantieri se la cantano finché non gliela suoneremo)

Dall'oggi al domani noi loggia dei demani che intreccia legami da cui sbocciano denari. Capoccia e compari sloggiano i locali; abbiamo appoggi tali che non ci scocciano i legali.
Non ci fotti! Dacci dei corrotti, ma sappi che non ci abbatti, come a punta Perotti. Qui si punta a ponti da 3000 metri e rotti buoni come soffitti tenuti con i cerotti.

Esclusiva, la villa abusiva a riva. Se ti fidi di 'sta casta non ti si castiga. Il divino tomo dice che il condono arriva, noi bluffiamo solo se giochiamo la partita IVA. Viva la diga! Iddio la benedica... ma non tratterrebbe nemmeno la mia vescica. Noi devastiamo il fondale abusando della credulità popolare: tu non chiamare il CICAP

Uno spazioporto si farà, conquisteremo pure il cielo con...

Una grande opera (Una grande opera)
D'importanza storica (Ci conquisterà)
Che questa nazione salverà (E suonerà l'orchestra)
Per la grande opera (Hip hip hurrà)
Tutti i sudditi in città (In libertà)
Grideranno viva sua maestà (Nessuno può stroncare)
Una grande opera (Inarrestabile)
Macchina economica (Larga di maniche)
Che i massoni rifocillerà (La fonte di ogni bene)
È la grande opera (La nuova speme)
Stupido chi sciopera (Non gli conviene)
Quante bastonate prenderà (Che grande opera sarà)

Inarrestabile
Larga di maniche
La grande opera
La nuova speme
Inarrestopoli
La nuova stabile
Hip hip hurrà! Hip hip hurrà! Hip hip hurrà! Hip hip hurrà

Chissà se riusciranno a ritrovarsi mai

Forse all'Eurofestival dovremmo mandarci la canzone che vince lo Zecchino d'Oro.

Non è una battuta. A me onestamente sembra più internazionale lo Zecchino, e negli ultimi anni il livello è molto alto, per dire se le ascolti tutte e poi ascolti Una vita in vacanza cantata da loro (che la cantano meglio dello Stato Sociale) ti accorgi che è proprio come scendere diversi gradini.

Detto questo, La ballata dei calzini non ha vinto l'ultimo Zecchino e non mi sembra particolarmente eurofestivalabile, ma mi sta perseguitando tornandomi in mente ogni mattina mentre apro il cassetto dei calzini e così niente, a volte le canzoni le metto qui per liberarmene. Ora magari perseguiterà anche voi, persecuzione comune mezzo gaudio.

giovedì, maggio 17, 2018

È un macaco senza storia (dice lei di lui)

Ah e poi ho ascoltato la nuova canzone di Calcutta, paracetamolo, come si chiama, molto autoironica suppongo. Cuore a mille, gabbiani nelle mani, ecc.

Con un riff che resta veramente nella testa al primo ascolto, bravo Calcutta, davvero, meno male che ci sono ancora artisti che osano cose.



(Sì noi qua continuiamo a preferire il prodotto di marca al farmaco generico, perdonate questa vecchia pista di elefante stesa sotto il macadam).

mercoledì, maggio 16, 2018

Mangio tante caramelle ah ah ah ah ah ah ah

Soltanto grazie al fatto che sto troppo su Facebook, ho scoperto Young Signorino appena 48 ore prima che i miei studenti cominciassero a tirare fuori la lingua e ansimare qualcosa che, appena 48 ore prima, mi sarebbe risultato completamente incomprensibile.

E quindi salta fuori che Facebook per me è davvero un'importante fonte di informazioni che mi sono utili sul luogo di lavoro. Bene. Cioè, proprio bene bene no, ma insomma. Insegno alla scuola media, devo capire cosa dicono i miei studenti, se non ci fosse FB ne capirei persino meno.



Rimane il mistero: io la trap la devo ascoltare per aggiornamento personale, ma voi? voialtri invece perché guardate i video di Young Signorino su FB o altrove? Cosa vi spinge a tenervi aggiornati sui gusti osceni dei dodicenni problematici? Cioè diciottenni capisco, ma dodicenni non è un po' morboso? Magari pagano anche voi, in tal caso respect. Se invece non lavorate né nell'educazione né nell'intrattenimento, se insomma al fine della fiera nessuno vi paga, cosa vi spinge a maturare un'opinione sulla Trap, a volte persino positiva?

Cioè lo so che tutto merita di essere studiato, che tutto ha un senso, che qualsiasi fenomeno può servire a svelare un meccanismo sociale ecc. ecc. Però qui stiamo parlando di, come dire, ve lo ricordate lo skifidol? I trapper si muovono sullo stesso livello. Stessa qualità, stesso impatto, stesso target. Cioè è come se leggessi ogni tanto degli articoli che cercano di rivalutare lo skifidol, il suo significato sociale, il suo valore posizionale, lo skifidol come segno di riconoscimento e ansia di riscatto delle periferie, e poi ogni tanto ci mettono le mani e non è così schifoso dai (no guarda è schifoso, lo sanno anche loro che ci giocano: ci giocano apposta perché è schifoso).

sabato, maggio 12, 2018

The moment I wake up, before I put on my make up

Festa della mamma + 90simo compleanno di Burt Bacharach = I say a little prayer, non c'è neanche da pensarci due volte.



(La mamma è, per prima cosa, una persona che prega per te tutti i giorni, ancora prima di lavarsi la faccia. Tu non sai il perché, deficiente: lei sì).

Pop pop pop pop pop pop corn

C'è stato un tempo in cui "Popcorn" non era un irritante modo di dire internettiano, ma altre cose, ad esempio il titolo di un brano che era lo stato dell'arte della musica elettronica.

Il titolo, Popcorn, alludeva al suono scoppiettante delle note del moog che eseguivano il tema. Ho sempre pensato che si trattasse di un modo di valorizzare una caratteristica che all'orecchio dell'ascoltatore poteva suonare come un difetto: i primi sintetizzatori facevano un suono così, si prestava particolarmente ai riff un po' ipnotici (oppure rendeva ipnotico qualsiasi riff). Non ne ho mai suonato uno ma credo che più di tanto l'esecuzione non si potesse accelerare, il che doveva renderlo uno strumento in un certo senso democratico, ma frustrante per un virtuoso, che probabilmente aveva davvero la sensazione di maneggiare mais scoppiettante più che i solidi tasti di un organo convenzionale.

Comunque probabilmente mi sbagliavo su quasi tutto, perché avevo in mente la versione del 1972 degli Hot Butter e non l'originale di Gershon Kingsley, di ben tre anni precedente. Se la versione del 1972 ormai è entrata nel girone del vintage (ai miei coetanei ricorda, ancor prima del popcorn, una pubblicità di biancheria uomo donna bambino), l'originale del 1969 è un ascolto emozionante: il riff emerge da una specie di frastuono di fondo che è davvero il brodo primordiale della musica elettronica. Nei commenti al video la gente viene a dire quanto il pezzo assomigli al dubstep, alla techno, ogni generazione ha la sua etichetta e il suo prodotto, tutti frammenti ricomposti dello stesso big bang. C'è poi il piccolo particolare che il moog di Kingsley non scoppietta come mi aspetterei, ma alla fine me lo ricordo come scoppiettavano i popcorn in un tegamino, nell'era pre-microonde?




Il successo degli Hot Butter fu tale che un gruppo italiano, La Strana Società, ne pubblicò la versione "italiana": a quei tempi si faceva così con tutti i singoli di successo, quindi perché no? A riascoltarla si capisce che in effetti il moog non era così facile e democratico da suonare. Come il popcorn, che uno riesce a bruciare anche nel microonde, figurarsi al tempo (mi ricordo certi chicchi neri carbone).

giovedì, maggio 10, 2018

Non lasciamoci trarre in inganno dalla realtà

Deve esserci un accordo
se ci sta a cuore la salvezza del Paese:
salviamo ‘sto Paese?
Eh?

C’è bisogno di un’intesa!
Vogliamo tutti insieme
metterci a pensare seriamente alla ripresa?
Eh?
Economica?
Sì?



Bisogna lavorare sul concreto,
bisogna rimboccarsi le maniche per incrementare la produzione,
e assicurare uno stabile benessere sociale a tutti coloro ai quali
noi per il momento
abbiamo chiesto sacrifici
vogliamo uscire a testa alta dalla crisi?
Eh?
Salviamo ‘sto Paese?
Sì?

(Il problema con Gaber è che è troppo facile da citare, anche quando in realtà non è ficcante come sembra, ad esempio questo era un siparietto di Polli d'Allevamento che ironizzava sul fatto che alla fine di una crisi di governo nel 1978 ci si poteva trovare a palazzo Chigi gli stessi ministri del 1962. Il che alla fine era una semplificazione esagerata anche per quel tragico 1978, e senz'altro non c'entra molto con quello che sta succedendo 40 anni dopo. D'altro canto è così bravo che uno come fa a non farselo venire in mente tutte le volte che provano a rifare un governo?)

Eliminiamo il disfattismo
con della gente che in questa confusione
sappia mettere un po’ d’ordine,
eh?
Pubblico?
Si?

Bisogna che lo Stato sia più forte
organizzando anche un corpo adeguato e  se necessario addestrato,
– non come proposta di violenza! –
Ma per quel nobile realismo
la cui area si è allargata:
non puoi negare a certe zone di sinistra,
eh?
La buona volontà,
sì?

In questo clima di distensione
possiamo finalmente accordare la fiducia
a tutte le forze,
eh?
Democratiche?
Sì?

Bisogna far proposte in positivo
senza calcare la mano sulle possibili carenze.
Lasciamo perdere
il pessimismo, l’insofferenza generale dei giovani, i posti di lavoro, l’instabilità, gente che non ne può più, la rabbia, la droga,  l’incazzatura, lo spappolamento, il bisogno di sovvertire, il rifiuto, la disperazione.

Cerchiamo di essere realisti! Non lasciamoci trarre in inganno
dalla realtà.

Italia,
depressa ma bella d’aspetto,
è un bel paesotto che tenta di essere tutto
con dentro tanti modelli
che mischia confonde e  concilia
riesce a non essere niente, l'Italia
negli anni Sessanta fioriva,
la gente rideva e comprava la macchina nuova,
ma proprio in questi momenti si insinua uno strano rifiuto
e si contesta lo Stato, l’Italia.

Bisogna ridare all’Italia
la folle allegria del benessere sano di ieri
senza disordini né guerriglieri

Salviamo ‘sto Paese
salviamo ‘sto Paese
per essere felici e spensierati come nel Sessa-
come nel sessa come nel sessa come nel Sessa-
come nel Sessantadue.

mercoledì, maggio 09, 2018

Build the road of peace before us, build it wide and deep and long

Sapete che festa è oggi? Un aiutino senza googlare: Freude schoener Gotterfunken Tochter aus Elysium. Gioia, figlia dell'Eliso, dea dei campi, dea dei fior.

Sì vabbe'.

Oggi è la festa dell'Europa. Non interessa a nessuno. 61 anni dopo i trattati di Roma, nella stessa città in cui è nata l'Europa moderna due tizi hanno chiesto 24 ore per mettersi finalmente d'accordo su un governo; due tizi che hanno vinto le elezioni sussurrando che potrebbero uscire dall'Euro. Qualcosa è evidentemente andato storto, inutile adesso rivangare. Anche la Nona di Beethoven, che all'inizio come Inno sembrava una scelta obbligata, alla lunga in effetti stanca. Sarà l'averla imparata col flauto alle medie. Sarà che il tedesco non sfonda, niente da fare, non riusciamo ad amarlo, nemmeno Beethoven che è patrimonio dell'umanità e tutto quanto; c'è una diffidenza atavica che è precedente al nazismo e forse anche agli Asburgo. Ma se tutto fosse andato secondo i progetti, oggi gli studenti saprebbero Schiller a memoria. Anche in traduzione, caccia via. Il tuo genio ci conduce su sentieri di splendor. 

Il tuo raggio asciuga il pianto, sperde l'ira e fugge il duol!

Meglio di Mameli? Non lo so. Almeno non c'è nessuno che è pronto a morire e a irrigare di sangue i vessilli, quelle esagerazioni inquietanti tipiche di tutti gli altri inni ottocenteschi. Ugualmente, non riesco più ad ascoltarla. L'unica versione che ancora mi dice qualcosa è di un americano, pensate, un americano col banjo. Ovviamente lui.



Che ci posso fare: tutti i cori filarmonici del vecchio continente non mi muovono quanto questo finto povero che canta None shall push aside another, None shall let another fall. È appropriazione culturale bella e buona, è il sogno di una rivoluzione che non c'è stata, di un popolo che doveva irrompere nei teatri a riprendersi Beethoven ma non è successo, e a questo punto forse è tardi? Non lo so.

martedì, maggio 08, 2018

Sti atenti coe vostre bele pensade

Ho letto, indovinate dove, che Olmi all'inizio non aveva la minima idea di che musica usare per l'Albero degli Zoccoli, e arrivò a Bach per esclusione: ne provò tante, e le arie di Bach erano le uniche a non sembrare fuori contesto.

Quindi Bach è più popolare (nel senso di völkisch?) Questo io non lo credo. Verdi, forse, Vivaldi perché no, ma se Bach funziona bene con le scene dei contadini non credo che sia una questione di Volk. È che Bach esiste in natura, come la matematica: non si associa a niente in particolare, non trattiene nessun tuo ricordo, ti lascia quella sensazione di soddisfazione che ti dà un problema risolto.



Detto questo, l'unico momento musicale dell'Albero degli Zoccoli che mi ricordavo dopo tanti anni non è un'aria di Bach. Perlomeno non credo che lo sia: sembra molto più moderno (ma Bach non è né antico né moderno), una serie di accordi di pianoforte buttati lì, quasi ambient. Li suona il padroncino al pianoforte dopo aver annoiato gli ospiti con la Danza turca, mentre fuori comincia a nevicare. La natura si rilassa, i contadini dormono il sonno dei giusti ma il nonno esce a cospirare, vuole fare un esperimento col letame dei polli, il nonno ha dei calcoli che lo tengono sveglio di notte.

lunedì, maggio 07, 2018

Maio maduro Maio, quem te pintou? Quem te quebrou o encanto, nunca te amou

******, di cui qui si omette il nome, viene a salutarmi a Lisbona dov'ero ospite nella mansarda di °°°°°°°°. Adesso non ricordo bene, probabilmente aveva altri motivi per venirsene a Lisbona da Coimbra proprio durante la Queima das Fitas, che è il vertice dell'anno accademico, comincia nel primo venerdì di maggio e pare che si beva tutto il bevibile e ogni anno moriva annegato qualche studente nel Douro; ovviamente gli Erasmus partecipano.

****** arriva e bisbiglia qualcosa del tipo No vabbe' che roba, dovevo andare via sennò chissà come andava a finire e poi dorme per venti ore. Al risveglio prendiamo una corriera che grippa qualche km dopo Fatima. Io vedo un gran fumo nero spuntare dal fondo della corriera e ho una crisi di panico che tuttora non mi perdono. Ho dormito in mezzo ai terremoti, ho fatto il servizio d'ordine al G8 di Genova, ho respirato i fumogeni di Tsahal, a scuola affronto quotidianamente criminali di un metro e ottanta ma quel momento in cui lascio ****** in una corriera non se ne va via, è quasi l'unica cosa che mi ricordo delle vacanze portoghesi, quasi l'unica cosa che mi ricordo del 199*. Avevo paura che esplodesse. Avevo paure strane, non riesco più a spiegarmele.



****** mi raggiunge ridendo sul ciglio dell'autostrada e in un'ora siamo a Coimbra in autostop – strada facendo troviamo un'altra corriera col motore in fumo, stessa azienda, stessa tratta. Dalle strade di Coimbra sale un'odore di birra sporca che ti ammazza ogni romanticismo, c'è una specie di nettezza urbana in assetto antisommossa, in realtà non ricordo bene, ho ricordi appannati come quelli delle feste dell'asilo e non avevo ancora iniziato a bere. Non credo nemmeno di avere bevuto molto, bastava respirare. C'erano molti concerti, c'era anche un gruppo che in seguito mi sono convinto fossero i Mike Flower Pops. A un certo punto sono arrivati i Madredeus, ricordo anche un dibattito su quanto poco fossero pertinenti i Madredeus in quel contesto debosciato. Il ricordo del concerto è insieme limpido e sfuocato, furono impeccabili come un cd, fuori dal mondo anche nel maggio portoghese.

Non li ascolto più molto i Madredeus, a un certo punto il Portogallo come molte altre cose è passato di moda. Era una moda molto meno stupida di altre, ma sai com'è. In realtà mi fa piacere ritrovarli ogni tanto in qualche vecchio nastrone in cui cozzano con qualsiasi canzone a cui siano accostati, ma dopo un po' mi accorgo che mi vergogno. Di averli ascoltati perché piacevano alle persone che mi piacevano, di averli presi in superficie come qualsiasi altra cosa a vent'anni, ma anche trenta, quaranta. Di non essere una persona coerente, una persona che sceglie una strada quale che sia e la percorre fino in fondo senza farsi troppe storie. Di avere ammirato persone del genere, ma non abbastanza da non mettere davanti la mia sopravvivenza; di non averci fatto praticamente mai una gran figura; di essere scappato come un pollo per un po' di fumo in autostrada. Io poi comunque alla fine ascolto altre canzoni e sto a posto così. Ho anche figli. Spero non vadano troppo in Erasmus.

venerdì, maggio 04, 2018

The song is waiting for another, song

And when we saw what we were doing, wrong
We found the cause underwater, long



Stamattina mentre sto mettendo assieme una colazione e scrollo il telefono cercando di ignorare la catena del momento, i Dieci Dischi Che Ti Hanno Segnato non nel senso che tuo fratello te li ha lanciati al volo lasciandoti una cicatrice sulla fronte che ufficialmente ti sei procurato durante una manifestazione contro fratelli di forza pound, stamattina mentre pensavo a quanto avrebbe più senso la catena opposta, ovvero i Dieci Dischi Che Hai Segnato Di Più, per esempio a me una volta su un lato di Tommy cascò di peso una cassa del giradischi, roba che mio cugino aveva tirato fuori da un rottame d'autoradio, ma faceva il suo porco lavoro e comunque Underture in tempo dispari ci guadagna; stamattina, insomma, mentre controllo facebook invece di sbrigarmi ché le scuole non si aprono da sole, vengo a scoprire che chiude un blog di musica che seguo da qualche anno, Bastonate si chiama, ha anche vinto dei premi. Ora l'ambiente più o meno l'abbiamo frequentato un po' tutti anche se facevamo finta di essere lì per caso (a volte letteralmente fischiettando in un angolo) o perché c'era un'amica che voleva l'indirizzo di Enzo e non sta certo a me entrare nelle motivazioni che possono portare un blog a chiudere ad appena nove anni di età, ancora prima di mettere i peli e buttar via l'apparecchio dei denti, un'età che comunque è del cazzo per vari motivi: non si può dire che ti stanno soffocando nella culla, né che ti stanno buttando via con l'acqua sporca, ma nemmeno che sei nel fiore degli anni, nove anni? È un'età del cazzo e basta. Che musica ascoltavate a nove anni? Che Dischi Vi Hanno Segnato? Bimbomix vale, c'era la versione vinilica? Ce ne frega ancora qualcosa? A me un cazzo, a te no, viene una media di mezzo cazzo a testa, niente di cui adontarsi, ma neanche da. Posso mettere una riga di spazio? Mi viene l'ansia.

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A un certo punto Bastonate è stato per me il miglior blog di musica italiano non scritto da Enzo, poi è diventato il miglior blog di musica non scritto né da Enzo né da Maddeddu né da altri che nei commenti possono passare e avrò una parola buona per tutti voi ignoranti che credete che la biscroma sia una familiare Fiat che nessuno si è cagato, del resto probabilmente siete diventati sordi durante il tour dei My Bloody Valentine nel 1991 e questo spiega quanto tendenzialmente siano inascoltabili i vostri Dieci Dischi, roba che anche a Guantanamo dopo un po' li hanno tolti dal palinsesto perché dai, gli Slayer. Per tutto questo tempo Bastonate ha continuato a scrivere di musica che io non ascolterei neanche col bastone nello spazio profondo (dove non ti possono sentire urlare, tranne appunto se appoggi un bastone tra i caschi e le vibrazioni passano da lì, ma è poca roba). Questo sostanzialmente perché a me piace più leggere che ascoltare o vedere, per cui se ho capito come scrivere di cinema non è perché avessi visto cinque film in vita mia ma perché mi piaceva leggere le recensioni senza capirle e leggere Bastonate era un po' la stessa cosa, come sfogliare Rumore alla biblioteca Delfini e star lì a immaginare come suonasse certa musica che in quel momento non potevi raggiungere con un clic – David Byrne credo racconta di aver scritto The Overload dopo aver letto un pezzo sui Joy Division, immaginandosi la musica attraverso le parole e quindi se accostate The Overload a Uknown Pleasures avete più o meno un'idea di quanto sia fallibile il linguaggio quando si accosta al postpunk o forse alla musica in generale? Insomma Bastonate, col suo minimalismo grafico un po' del cazzo e meno link possibile era una bussola rotta e proprio per questo preziosa per disorientarsi in mezzo a dei nomi che potevano anche restare dei nomi su una mappa immaginaria e inascoltabile, i Pantera più che Tiziano Ferro. Con quell'approccio biografico che fa così tanto blog anni Zero, quelli della colonnina di Polaroid per capirci, ma dico guardatela quella colonnina, ormai è piena di sintagmi indecifrabili che rimandano a pagine 404 o in vendita, nei musei della Mesopotamia c'è roba più comprensibile.

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Potremmo anche chiederci se Bastonate lascia il web in lingua italiana migliore di come l'ha trovato, tipica domanda da scout cattolici che si risponde già da sola. Ha più senso inveire contro 'sti stronzi che decidono di mollarti un pugno sullo stomaco in prima mattina quando avrebbero benissimo potuto far finta di niente, diradare le uscite e morire lentamente come tutti sarebbe giusto morire. La tecnologia ci ha dato un posto pieno di difetti, ma dove almeno anche se resti lì in stato vegetativo non ti devono infilare nessun sondino, al massimo devi pagare due spicci di server per evitare che il tuo cadavere sia sostituito da una bisca uzbeka con donne nude e pillole blu di cui, scrivendo di musica su internet, nessuno di noi fin qui ha avvertito il bisogno. Si potrebbe anche scrivere un pezzo nel loro stile torrenziale per pigliarli per il culo, sarebbe un esercizio patetico e poi in realtà il loro stile non era così torrenziale e quindi alla fine anche il culo si piglierebbe da solo, che è poi il senso di tutto il pezzo: mi state lasciando solo, bastardi, devo essere l'unico link sul blogroll di Enzo che funziona ancora, la blogosfera italiana l'ultima volta che ho controllato eravamo una dozzina, adesso io ed Enzo, gennaio 2001, Enzo mi senti? mi avverti prima di gesti inconsulti?

One, never say you're sorry and two
Chicken little shouted at you.

giovedì, maggio 03, 2018

Go downtown put the drugs in my body

Maggio in teoria è il più dolce dei mesi, sono sempre stato convinto di questo: talmente soave che si fa fatica a mandarlo giù; talmente sublime che non riesci neanche a godertelo. Troppa vita, troppo amore, in pratica troppo polline. Maggio sarebbe il migliore dei mesi ma che ne so? Sono sempre drogato.



(Mi fanno impazzire i campionamenti di chitarra acustica, sono inquietanti come le smorfie degli androidi, e a parte questo: i campionamenti non vi mandano mai in paranoia? non cominciate ad ascoltare altre cose pensando: ma questo pezzo sarà campionato o no? Non l'ho già sentito? No? Sono l'unico che va in paranoia così? Vabbe').

C'è gente che butta giù gli antistaminici come caramelle. Per me, alla mia età, una volta riconosciuti e scartati quelli un po' tendenti al depressivo, a volte è ancora come infilare la testa nella boccia dei pesci e lasciarla lì tutto il giorno. Non è che non vi sento, se mi parlate. Non è che non vi capisco. Non è che non partecipo alle vostre gioie e ai vostri dolori. È solo che tra me e le vostre gioie e i vostri dolori c'è la boccia dei pesci, con l'acqua e il castello di plastica e i pesci stessi che ci guizzano dentro; a parte questo tutto ok. Alla mia età poi una scusa ufficiale per andare in giro un po' stonato è praticamente un privilegio. Maggio è il più drogato dei mesi e va bene così, step back up I'm the life of the party.

Non il solito obsoleto canto di protesta, ma un canto di amore

C'è stata una scissione violenta a un certo punto, è stata una delle vicende sociali più traumatiche della nostra vita, prima o poi qualcuno dovrà raccontarla. Noi l'abbiamo vissuta in diretta e, come accade, non ci abbiamo capito niente. Ce ne siamo ovviamente accorti quando era troppo tardi per fare altro che lamentarcene – io credo di aver cominciato a notare qualcosa a una manifestazione pre-vaffanculo del luglio del 2008, e quindi il mio racconto comincerebbe da lì. Oppure da migliaia di anni prima, per esempio dal secondo concertone CGIL-CISL-UIL, primo maggio 1991.



Il 1991, se me lo ricordo davvero, comincia con la guerra in Iraq che per me è anche l'occupazione del liceo. È appena nato il Partito Democratico della Sinistra – è anche nata Rifondazione Comunista, e se me l'avessi chiesto da quel momento nei 20 anni successivi ti avrei detto che la scissione è stata quella: massimalismo vs riformismo, niente di nuovo, ok. Però nel 1991 è nato anche Cuore, settimanale di resistenza umana diretto da Michele Serra, ed è nato per partenogenesi: da inserto dell'Unità si è staccato, e al primo lancio ha venduto 140.000 copie: erano numeri incredibili anche allora. Il primo disco di Elio e le Storie Tese nei negozi fa più o meno gli stessi numeri, che oggi sarebbero probabilmente eccezionali ma al tempo non bastavano a diventare mainstream, specie se indugi in due delle abitudini meno radiofoniche possibili: il prog e le parolacce. Al concertone infatti suonano nel primo pomeriggio.

I funzionari Rai sono già allertati perché il gruppo precedente, la Gang, ha sventolato una bandiera rossa e inscenato una specie di comizio. In scaletta c'è Cassonetto differenziato per il frutto del peccato, ma un Adinolfi in grado di indignarsi non è ancora in circolazione e così, inopinatamente, dopo quattro battute il gruppo passa a Ti amo, (da non confondere con Cara ti amo), il brano che viene usato per le improvvisazioni fiume – pochi mesi prima avevano tentato di entrare nel Guinness dei primati suonandolo per 24 ore. Sulla musica di Ti amo, Elio comincia a snocciolare una serie di nozioni ricavate dalla lettura di Espresso e Manifesto, e infatti riascoltandola il colpo al cuore ti viene per i nomi da prima Repubblica, i notabili socialdemocratici e lo scandalo Lockheed. Viene da pensare, davvero: tutto qua? Non è che la punta dell'iceberg. Esattamente. Mani Pulite è ancora il nome di un fascicolo aperto al tribunale di Milano da un magistrato ignoto ai più, tale Antonio Di Pietro. Viene anche un po' da simpatizzare per i funzionari Rai, che non hanno la minima idea di cosa possa mettersi a dire quel cantante che fa lo scemo, e così staccano il collegamento. Ma staccano anche gli strumenti. Elio si butta a terra ed esclama wow, come Jim Morrison. È uno scherzo, una bravata, un modo per valorizzare un'esibizione che sarebbe passata del tutto inosservata. È una variazione sull'ideologia Michele-Serriana, già fatta e formata 2018-1991=27 anni fa: la responsabilità del malaffare va equamente divisa tra il politico corrotto e l'elettore negligente. È una operazione più sofisticata di quanto può apparire: Elio ne dice tante ma non c'è niente di querelabile, e nessuno può accusarti di incitare all'odio mentre canti "Ti amo Nicolazzi". Qualche radio riprende la registrazione e io ho il netto ricordo di avere ascoltato "Ti amo" su K Rock Scandiano, molto prima che fosse pubblicata su CD. Ma devono essere comunque passati mesi, forse anni; sicuramente Mario Chiesa (febbraio 1992) deve essere stato fermato dalla polizia al Pio Albergo Trivulzio con una tangente di sette milioni in tasca.

C'è stata una scissione a un certo punto ma non è successa in un istante e nemmeno in dieci anni. È stato un movimento tellurico complesso, una serie di spinte e controspinte che dobbiamo ancora decifrare. Per molto tempo, mentre si staccavano le zolle sotto i nostri piedi, siamo riusciti a saltellare dall'una all'altra senza farci male. Ci siamo anche stesi sopra e fino a un certo punto non ci si stava neanche scomodi. Poi a un certo punto è entrato il Mar Rosso ma non è colpa di Elio, non è colpa di Mario Chiesa, non è colpa di Michele Serra, al massimo sarà colpa nostra: chi più, chi meno ma la pagheremo alla romana, come si fa sempre in questi casi.

martedì, maggio 01, 2018

'A campagna è sulamente rine rutt' e niente cchiù.

Con la pioggia o se esce il sole
chi è bracciante di San Nicola
con la sua bottiglia di vino
tutto il giorno va a zappare.

"Campagna, campagna,
com'è bella la campagna".



Ma è più bella per il padrone,
che si riempie le tasche d'oro
e per la signora sua padrona
che s'ingrassa sempre più.

Ma chi zappa questa terra
per un boccone di pane nero,
in campagna si ritrova
fradicio d'acqua e rotto in culo.

"Campagna, campagna
come è bella la campagna".

(C'è stato un momento brevissimo, in cui i lavoratori si ritrovarono in eredità la musica più complessa e ai ricchi toccavano le canzonette stupide. Forse fu solo un equivoco. Ma fu fantastico. Buon primo maggio).

Con la pioggia o se esce il sole
per tirare la carretta
pure il figlio del bracciante
insieme al figlio va a zappare.

"Campagna, campagna
come è bella la campagna".

È più bella per le figlie
del padrone del podere
che ci vengono soltanto
con gli amici a divertirsi.

Ma per il figlio del bracciante
la campagna è un'altra cosa
la campagna è solamente
schiena a pezzi e niente più.

"Campagna, campagna,
come è bella la campagna".

domenica, aprile 29, 2018

Perché i fiori, è roba deperibile

Vi ho portato delle caramelle
perché i fiori sono deperibili...
E poi le caramelle sono così buone
– anche se i fiori sono più presentabili,
soprattutto quando sono dei bei boccioli...
ma vi ho portato delle caramelle.



Spero che potremo fare una passeggiata,
che vostra madre non avrà niente da ridire.
Andremo a vedere passare i treni,
alle otto in punto vi riaccompagnerò a casa.
Che bella domenica per questa stagione!
Vi ho portato delle caramelle.

(Youtube andava inventato per metterci tutte le esibizioni note e ignote di Jacques Brel. Di solito la versione migliore è quella in cui suda di più).

Se voi sapeste quanto sono fiero
di vedervi a braccetto con me.
La gente mi guarda di traverso,
ce n'è anche che mi ride dietro.
(Il mondo è pieno di imbecilli).
Vi ho portato delle caramelle.


(Sudava perché si ostinava a restare in giacca e cravatta. Dopo un po' probabilmente non percepiva più il mondo esterno, non vedeva più il pubblico, scompariva nel personaggio. Quelle sono le esibizioni migliori. Altre volte invece continuava a vedere gli spettatori, cercava di reclamare l'attenzione, esagerava con le boccacce; non stava sudando abbastanza).

Eh sì, Germaine non è come voi,
eh sì, Germaine è meno bella.
È vero che ha i capelli rossi,
è vero che è anche un po' crudele.
Avete mille volte ragione:
vi ho portato le caramelle.

Ed eccoci in piazza grande,
sul chiosco suonano Mozart...
ma ditemi, è per caso
che è proprio qua il vostro amico Léon?
Se volete che gli ceda il posto...
Vi avevo portato le caramelle.

Ma buongiorno signorina Germaine!
Vi ho portato delle caramelle,
perché i fiori sono deperibili.
E poi le caramelle sono così buone,
anche se i fiori sono più presentabili...

sabato, aprile 28, 2018

Easy, ready, willing, overtime

Easy, ready, willing, overtime:
where does it stop? Where do you dare me
to draw the line?



(A volte sento l'esigenza di una parola italiana per smooth; come se non ce ne fossero in realtà finché ne voglio. Possibili traduzioni di smooth in italiano: liscio, regolare, morbido, dolce, levigato, facile, tranquillo, calmo, piano, mellifluo, untuoso, sdolcinato).

A volte noti che continuano ad approfittarsene e ti domandi: a che punto arriveremo? Stanno aspettando di vedere se combini un disastro? O se impari a dire di no? Ma come fai a dire di no in un modo il più possibile liscio, regolare, morbido, dolce, levigato, facile, tranquillo, calmo, piano, mellifluo, untuoso, sdolcinato?

Io, uo-oh-oh, farei qualsiasi cosa che vorresti tu, uh uh uh
sai che io, oh oh oh, di' qualsiasi cosa che vorresti tu, uh uh uh, ma...
questo proprio no!
(oh no?)
Non posso, no.
Questo proprio no!
(oh no).
Non credo.
Questo proprio no!
(oh no).
Non posso no.
Questo proprio no, ma proprio no, ma proprio no, ma proprio no...

venerdì, aprile 27, 2018

Peace up north, peace down south

Let there be peace in the east, peace in the west
You roots, you radicals and all the rest
Peace up north, peace down south
Peace in the ghettoes all round about



We are all in a one and one in all
So throw away the guns and the war's all gone
So throw away the hunger and the war's all gone
So throw away the fighting and the war's all gone
So throw away the grudges and the war's all gone

(Magari non dura: una ragione in più per festeggiare subito, no?)

giovedì, aprile 26, 2018

O povo é quem mais ordena

Grândola, città dei Mori
terra di fratellanza
è il popolo che più comanda
dentro di te, o città.




Non sapeva che stava scrivendo la Storia, José "Zeca" Alfonso, quando scrisse Grândola vila morena. All'inizio era soltanto un omaggio a un circolo culturale clandestino sorto in una cittadina dell'Alentejo. Finché – la storia è nota – i reparti dell'esercito che stavano organizzando la rivoluzione la scelsero come segnale per l'insurrezione generale. Si infiltrarono in una radio cattolica di Lisbona e la misero in onda alla mezzanotte e venti minuti del 25 aprile 1974.

A ogni angolo un amico,
su ogni volto l'uguaglianza
Grândola città dei Mori
terra di fratellanza
terra di fratellanza,
Grândola città dei Mori
su ogni volto l'uguaglianza,
è il popolo che più comanda.

Di tutte le rivoluzioni, quella dei Garofani è la più sinistramente simile a un golpe militare. José Alfonso non poteva saperlo, eppure componendo Grândola gli venne naturale scandirla su un passo di marcia inesorabile. La libertà che guida il popolo ha un passo più marziale del solito: viene da lontano, dalle guarnigioni di Angola e Mozambico stanche di guerra, e non sgarra di un battito. Un popolo insorto non marcia così. O dovrebbe?

Ed all'ombra d'una sughera
che non sa più quanti anni ha
giurai d'aver per compagna,
Grândola, la tua volontà.

Grândola, la tua volontà
giurai d'aver per compagna
all'ombra d'una sughera
che non sa più quanti anni ha.

mercoledì, aprile 25, 2018

Questa canzone fa impazzire i fascisti?

C'è una canzone di Bruno Lauzi, su una balalaika che nelle steppe si annoia a suonare sempre le solite fredde canzoni e alla fine riesce a convincere un suo amico Flauto ad assumerla nell'orchestra Bolscioi. Come a Balalaika riesca questa opera di convincimento, Lauzi non lo spiega, siccome è una canzone per bambini; ma da lì in poi pende sulla protagonista come un sospetto di scarsa serietà che le strofe successive effettivamente non dissolvono. Una volta approdata su un palcoscenico internazionale, Balalaika non tarda a perdere la testa per un Mandolino che se la porta a Napoli: addio Bolscioi, addio mie steppe.

La musica ovviamente segue l'evoluzione della storia, senza neanche troppo affaticarsi: balalaike e mandolino non è che suonino tanto diversi. Che è forse il motivo per cui i russi, con la loro pur straordinaria cultura musicale, appena riuscirono a captare sulla tv sovietica il Festival di Sanremo impazzirono. È come se la melodia italiana fosse kryptonite per loro. Ma la musica russa, agli italiani, che effetto faceva?

Il ragazzo nicchiava, una fiera, tarchiata e grinning figura. Da intorno e sotto aumentarono le insistenze e quello allora intonò «Fischia il vento, infuria la bufera» nella versione russa, con una splendida voce di basso. Tutti erano calamitati a quel podio, anche gli azzurri, anche i civili, ad onta della oscura, istintiva ripugnanza per quella canzone così genuinamente, tremendamente russa. Ora il coro rosso la riprendeva, con una esasperazione fisica e vocale che risuonava come ciò che voleva essere ed intendere, la provocazione e la riduzione dei badogliani. L’antagonismo era al suo acme sotto il sole, il sudore si profondeva dalle nuche squadrate dei cantori. 



Poi il coro si spense per risorgere immediatamente in un selvaggio applauso, cui si mischiò un selvaggio sibilare degli azzurri, ma come un puro contributo a quell’ubriacante clamore. Qualche badogliano propose di contrattaccare con una loro propria canzone, ma gli azzurri, anche la truppa, erano troppo nonchalants e poi quale canzone potevano opporre, con un minimo di parità, a quel travolgente e loro proprio canto rosso? Disse Johnny ad Ettore che aveva ritrovato appena fuori della cintura rossa: - Essi hanno una canzone, e basta. Noi ne abbiamo troppe e nessuna. Quella loro canzone è tremenda. È una vera e propria arma contro i fascisti che noi, dobbiamo ammettere, non abbiamo nella nostra armeria. Fa impazzire i fascisti, mi dicono, a solo sentirla. Se la cantasse un neonato l’ammazzerebbero col cannone. (Fenoglio, Johnny).

Nell'estate '44 Johnny nelle Langhe ascolta ancora i partigiani della Garibaldi cantare Katyusha in russo. A cento km di distanza, nel savonese, la canzone ha già un suo testo in italiano, opera del comandante partigiano Felice Cascione. La canzone l'aveva portata dalla Russia un effettivo del Genio Pontieri, Giacomo Sibilla. Sulla musica che Sibilia aveva sentito cantare nelle retrovie dai ragazzi e dalle ragazze russe, Cascione aveva riadattato un testo scritto pochi mesi prima, quando ancora studiava medicina a Bologna. Il vento, la bufera, le scarpe rotte, tutto l'apparente realismo della composizione, Cascione lo stava immaginando, né avrebbe avuto molto tempo per goderselo: in febbraio era già morto in un conflitto a fuoco.

Per una meravigliosa coincidenza, la lirica russa comincia con un'immagine primaverile ("Meli e peri erano in fiore") e quella italiana col furore dell'inverno: fischia il vento, infuria la bufera. L'originale è una canzone d'amore, a modo suo: Katyusha è un eroina tanto quanto il bel soldato, lui custodirà la patria tanto quanto lei custodirà il suo amore (il che è altrettanto eroico, evidentemente), insomma, tutti facciano il loro dovere e la vittoria non tarderà. Il che non impediva alle ragazze russe di cantare agli italiani nelle retrovie. Fischia il vento sfoggia un romanticismo completamente diverso: il fiero partigiano è votato alla morte, non ha donne a casa che lo aspettano o comunque non deve pensarci, il che lo rende tremendamente sexy: ma le donne devono contentarsi di donargli un sospir. Fischia il vento è molto più cattiva dell'originale, e in effetti se da bambino il nonno ti faceva sentire la versione italiana, quando ascolti certe versioni orchestrali russe ci resti di sasso a scoprire che l'inno della Garibaldi, in madrepatria, è una specie di Fin che la barca va. È un fantastico equivoco: un alpino ascolta una languida canzone d'amore stalinista e la porta in Italia dove le stesse note, le stesse arcane sillabe sembrano talmente minacciose da far impazzire i fascisti al primo ascolto. Balalaika e mandolino magari non sono fatti per capirsi, ma in amore è anche bello fraintendersi.

martedì, aprile 24, 2018

Lasciammo talvolta le carni strazziate



Col tempo doveva succedere che i due anniversari si confondessero; che la memoria (vissuta) del 25 aprile 1995 si sovrapponesse a quella (ricostruita) del 25 aprile 1945, e che insomma a un certo punto per noi ricordare i partigiani coincidesse col ricordare Mara Redeghieri che canta i Ribelli della montagna sul palco di Materiale Resistente.

Così il 25/4 è diventato qualcosa di cui abbiamo sinceramente nostalgia, un momento eccezionale in cui avevano senso cose che non l'avrebbero avuto né un momento prima né un momento dopo. Fatte le dovute proporzioni, cinquant'anni prima aveva un senso nascondersi in montagna e poi sparare ai tedeschi, prendere un municipio su una collina e proclamare una repubblica provvisoria; cinquant'anni dopo diventava improvvisamente naturale che le migliori basi trip-hop italiane arrivassero dall'Appennino reggiano, e sopra ci cantasse una ragazza un po' fuori chiave, con una dizzione tutta sua ma irresistibile.

Materiale Resistente è un disco che serviva a celebrare, e ora si celebra da solo. Quanto ad ascoltarlo,  era già abbastanza faticoso nel 1995, ed è molto difficile che col tempo sia migliorato (non ho voglia di controllare). Per alcuni partecipanti era un punto d'arrivo, per altri una partenza o ripartenza; qualcuno era sui monti perché ci credeva, qualcuno ancora non si era spiegato bene ma avrebbe voluto fondare una repubblica nel senso medievale del termine, coi castelli merlati e i cavalieri e soprattutto tanti cavalli; qualcuno era comunista, qualcuno non voleva restare indietro, qualcuno non si rendeva conto, qualcuno cercava di limitare i danni: qualcuno infine era Freak Antoni, ora e sempre contro tutto e contro tutti. Il gioco poteva avere un senso solo se durava poco e impediva alla miscela di esplodere: un po' come cinquant'anni prima (fatte le dovute proporzioni). Era tutto molto ingenuo, decisamente puerile, un po' troppo retorico e non abbiamo mai più avuto niente di meglio.

domenica, aprile 22, 2018

or do what you want, run on wild



Non riesco a ricordare qual è l'altro film i cui titoli di coda scorrono su Make Me Smile. Uno è Velvet Goldmine, ma ce ne dev'essere un altro dello stesso periodo. Per me tutti i film dovrebbero finire con i titoli di coda su Make Me Smile, e magari un'auto che sfila su una strada curva al tramonto. Perlomeno, non mi viene in mente nessun film che non migliorerebbe con dei titoli così. Anche 2001 Odissea nello Spazio.

Quando scopri la storia forse capisci il perché. Make Me Smile nasce come canzone vendicativa: Steve Harley era appena stato piantato in asso da tutti i membri della sua band, i Cockney Rebel. Proprio quando le cose cominciavano a girare, i dischi cominciavano a salire in classifica, la situazione era promettente, quei tre lo mollano perché sono stufi di suonare soltanto roba sua. Va bene, andatevene (dice Steve), fate quel che vi pare. Fatemi vedere. Fatemi ridere. Il brano che Harley andò a registrare ad Abbey Road era ancora un blues rancoroso. Il produttore, Alan Parsons, decide di stravolgerlo. Lo accelera. Inserisce coretti vagamente beatlesiani. È come spalancare una finestra all'improvviso e scoprire che è già primavera inoltrata: ogni rancore si dissolve al sole. Il nuovo chitarrista dei Cockney Rebel aggiunge un lungo assolo languido e spavaldo. La rabbia cede il passo a un rimpianto beffardo: è andata così, tanto vale riderci sopra. Make Me Smile è una canzone autoperformativa: doveva dimostrare che Harley aveva ragione a voler scrivere tutte le canzoni del gruppo, e in effetti vendette più di tutte le altre canzoni dei Cockney Rebels messe assieme. Il che è in effetti beffardo e triste, ma ormai tutto questo è dietro un sacco di curve, siamo parecchio lontani, ormai, ci sorridiamo su.

sabato, aprile 21, 2018

Meet me in another world, space & joy

Io Prince continuo a non essere sicuro di averlo capito nemmeno a grandi linee: però mi sento fortunato a essere cresciuto nel momento in cui in poteva uscire dall'oggi al domani con una canzone che sembrava diversa da tutto quello che aveva fatto prima, da tutto quello che avrebbe fatto dopo. Col tempo ho capito che molte di queste differenze erano effetti ottici, col tempo sono diventato più sgamato, col tempo non mi sorprende più niente e più nessuno e neanche Prince, fosse vivo, forse. Forse.

venerdì, aprile 20, 2018

On and on and on and on



È uscito al sole all'improvviso, e all'improvviso nostalgia di cose senza senso, brutti cavalcavia spalmati di sole che scendevo di corsa per tornare a casa e non c'era veramente nulla che mi avrebbe dovuto preoccupare. Nessun esame medico o universitario, nessun telegramma mi avrebbe mai portato nessuna cattiva notizia. Ero indistruttibile: se solo l'avessi saputo.

giovedì, aprile 19, 2018

"Quando la campanella suonerà l'una ci divertiremo un sacco assieme"



È molto probabile che il dilagare di video di studenti che molestano gli insegnanti derivi come al solito dall'emulazione: questi video circolano, mietono like, a volte finiscono pure su Repubblica o sul telegiornale → domani io faccio una piazzata al professore più tranquillo che abbiamo, tu mi riprendi e svoltiamo.

Tutto questo con la complicità di diversi prof, che comunque nelle riprese vengono sgranati e irriconoscibili: in ogni caso esibire una pubblica umiliazione diventa un modo per denunciare la triste condizione della classe docente eccetera.

Credono di trovarsi in una situazione win/win, studenti cafoni e professori (auto)umiliati, e non sospettano di fottersi a vicenda davanti a un pubblico annoiato che finisce per invocare quello che la scuola pubblica non può dare (ma la privata sì), ovvero il frustino.

martedì, aprile 17, 2018

Peccato che non ci fossi, Fulvio



Uno potrebbe anche pensare, ok, che ci vuole, è Morricone. Ma Morricone ci ha messo solo una tarantella, il punto è saperla usare. Guarda cosa ci fanno i Taviani, con una tarantella.

(E ogni volta pensare a Tarantino che si guarda il film, chissà cosa ci avrà capito).

lunedì, aprile 16, 2018

Dirindindin... ricordi?

"...Dopo un quarto d'ora avrei voluto fermare il vhs: basta, tutto questo non ha senso, mettiamoci a studiare le flessioni verbali (alle 21:30, con due classi di sconosciuti dalle occhiaie stanche di lavoro).
Poi Laura Betti, con sguardo incestuoso, si mette a cantare l'Uva Fogarina. E succede qualcosa. Trenta pachistani, dieci marocchini (che non sopportano i pachistani) e diversi sfusi si mettono a cantare “diridindindin”. Come se l'avessero sempre saputa. Gli arcani dell'inconscio collettivo. Avrebbero continuato col diridindindin per una settimana. Insomma, il film in un qualche modo stava facendo breccia. E cominciavo ad appassionarmi anch'io, volevo vedere come andava a finire.



In seguito ho avuto altre classi. Più o meno scalcagnate, più o meno galleggianti sulla soglia dell'alfabetizzazione. Non ho mai rinunciato a mostrare Allonsanfan. Col vhs, finché ha tenuto, poi lottai perché la videoteca si dotasse del dvd. Con la lavagna luminosa, con quella interattiva, con o senza sottotitoli. Malgrado quelle due scene di nudo da tagliare (è un film che parla anche di sesso, di quando i rivoluzionari smettono di farlo, di perché ricominciano). Purché ci sia la possibilità del fermo immagine, perché (come non manco di far notare) a ogni fermo immagine, Allonsanfan ti restituisce un affresco sulla parete. È un film fatto con un grande amore, che si vede, pochi soldi (e non si vedono): attori filodrammatici, bambini inquietanti, e Mastroianni immenso, che si regala per cento minuti..."

Per Vittorio Taviani (20/9/1929 – 15/4/2018).
(Cialtroni!)

domenica, aprile 15, 2018

Avvelenando i piccioni nel parco



(La prima e anche la dodicesima volta che la ascolti non ci fai caso, ma in seguito, conoscendo gli altri pezzi di Lehrer, non puoi fare a meno di immaginare che la coppietta che passa la domenica pomeriggio ad avvelenare i piccioni sia composta da un paio di scienziati – lo dice persino, che ha intenzione di portarsene un paio a casa "to experiment". Prende forma il sospetto che Lehrer sia stato davvero il primo a mettere a fuoco il cinismo dello scienziato moderno, quell'umor nero malcelante una sincera misantropia. Non era neanche il 1960, una vera e propria cultura nerd ancora non esisteva – forse sulle riviste di fantascienza? – e già Lehrer ci metteva in guardia. Avremmo potuto ascoltarlo. E anche i piccioni, avrebbero potuto cercare riparo – ma sono così buone le noccioline, anche pralinate al cianuro).

Spring is here
A-suh-puh-ring is here
Life is skittles and life is beer
I think the loveliest time
Of the year is the spring
I do, don't you? 'Course you do
But there's one thing
That makes spring complete for me
And makes every Sunday
A treat for me

All the world seems in tune
On a spring afternoon
When we're poisoning pigeons in the park
Every Sunday you'll see
My sweetheart and me
As we poison the pigeons in the park

When they see us coming
The birdies all try an' hide
But they still go for peanuts
When coated with cyanide
The sun's shining bright
Everything seems all right
When we're poisoning pigeons in the park

We've gained notoriety
And caused much anxiety
In the Audubon Society
With our games
They call it impiety
And lack of propriety
And quite a variety
Of unpleasant names
But it's not against any religion
To want to dispose of a pigeon

So if Sunday you're free
Why don't you come with me
And we'll poison the pigeons in the park
And maybe we'll do
In a squirrel or two
While we're poisoning pigeons in the park

We'll murder them all
Amid laughter and merriment
Except for the few
We take home to experiment
My pulse will be quickenin'
With each drop of strych'nine
We feed to a pigeon
(It just takes a smidgin!)
To poison a pigeon in the park

sabato, aprile 14, 2018

Confutatis maledictis

flammis acribus addictis, 
voca me cum benedictis. 



A Milos Forman, 18/2/1932–14/4/2014, da un mediocre benedetto e riconoscente.

venerdì, aprile 13, 2018

It is the springtime of my loving

Al sabato ormai mi sveglio presto come tutti gli altri giorni, però se avessi il tempo per stirarmi un po', aprire le finestre, constatare che piove, tornarmene a letto, stirarmi ancora, ripensarci, ecco, in un sabato d'aprile mi piacerebbe avere una sveglia che fa partire The Rain Song in automatico. La canzone più spudoratamente languida mai composta, una sonata di sette minuti tutta costruita intorno a un semplice accordo che slitta di un semitono, da-daaaan, l'equivalente musicale dei muscoli che si rilassano dopo l'enorme sforzo di stirarsi tra i cuscini, o sbadigliare. Da-daaaaan. E tutto intorno arpeggi, violini, la minor-drop progression sviluppata con tutto il tempo che serve, Plant che si sgola, Bonham che si scuote come la mamma che è venuta a darti una spinta, sveglia, ma tutto comunque ritorna a quell'accordo slittante, da-daaaan, a proposito di dissonanze primaverili.



(Adesso ci sono i tutorial per suonarla, che invidia).

giovedì, aprile 12, 2018

And who will have won when the soldiers have gone?

A proposito di canzoni che nascono stonate e in un qualche modo non se ne vanno più: quando vi leggo discutere di Siria, per una mera questione di associazioni mi viene in mente il Libano. Il Libano mi fa venire in mente i cedri, i Fenici e gli Human League. Così voi state ancora parlando di Siria e io sto canticchiando she dreams of Ninety Sixty-Nine before the soldiers came. E penso a com'erano strani gli Human League, a barcamenarsi tra new wave e neoromanticismo senza nessun vero equilibrio, in realtà, alternando spinte e controspinte, stiamo diventando troppo pop! che si fa? Togliamo le coriste? Scherzi? Le coriste ci hanno fatto svoltare, magari aggiungiamo le chitarre e l'impegno politico. Impegno politico nel 1982? Massì, guarda sul giornale, ci sarà ben qualcosa che non va, l'intervento in Libano? Scriviamo un pezzo sull'intervento in Libano.



Ecco quando parlate di Siria, io non posso farci nulla ma sto pensando alle coriste degli Human League (che probabilmente erano la cosa migliore del combo), coiffate e pittate come in un commercial L'Oréal che ce la mettono tutta, accennano una coreografia sui bombardamenti, sorridono ma non troppo, cercano di restare intonate alle chitarre anche se qualcosa evidentemente non sta funzionando, c'è qualcosa che stona e non se ne va (a differenza dei soldati).

mercoledì, aprile 11, 2018

Risulta peraltro evidente

...anche nel clima della distensione
che un eventuale attacco ai Paesi arabi
vede l'Italia in prima posizione.




(Tutti sanno tutto dell'inizio,
ma nessuno può parlare della fine).

martedì, aprile 10, 2018

Just because I love you, doesn't mean I love you

"Scusi è qui che si pubblica una canzone al giorno che riflette l'umore del giorno?"
"Ci proviamo".
"Avete una canzone per quei giorni di aprile in cui ti svegli in hangover anche se non hai bevuto?"
"Non ci capita mai, per sicurezza noi beviamo sempre".
"Quei giorni in cui tutto sembra andare a rallentatore, anche un po' fuori chiave, il ritornello in teoria non ha nulla che non vada, eppure suona stonato, drogato, forse è il polline".
"Gli antistaminici sono il peggio".
"Poi non si capisce se piove o c'è il sole, e questo ritornello stonato, rallentato, ti resta in testa tutto il giorno".
"È come se le dissonanze restassero più in testa, forse ci sono dei neuroni che reagiscono male e se la legano al nervo".
"Ce l'avete una canzone per un giorno così?"
"Ci faccia controllare".
"Mica roba in bianco e nero, eh? Cose contemporanee".
"La contemporaneità non esiste".

venerdì, aprile 06, 2018

avete visto per caso qualcuno con un immenso ammontare di amore nel suo interno?

In una città di sirene, castelli regine eccetera aspettano la primavera e quello che porterà
Era tutto luminoso e chiaro, un sole di aprile nel cielo di aprile, e qualcuno con immense quantità di amore al suo interno.

Iris primo fiore di primavera
Lei era uccello, lei era il vento
come un angelo vero, ma senza ali.
Avrei potuto tenerla tra le mie mani
perché era la più piccola di tutte
ma il suo cuore sarebbe cresciuto più grande del mio



Le stelle erano state mandate a fare la guardia alla piccola che cominciava a fare dei suoni coi suoi piccoli polmoni. Se solo fossi stata abbastanza vicina da sentirla respirare... Era tutto luminoso e chiaro, un sole di aprile nel cielo di aprile, e qualcuno con immense quantità di amore al suo interno.

Iris primo fiore di primavera
Era un uccello, era il vento
come un angelo vero, ma senza ali.
Avrei potuto tenerla tra le mani
perché era la più piccola di tutte
ma il suo cuore sarebbe cresciuto più grande del mio

(Anche Google Translate sta crescendo, tra un po' scriverà traduzioni più belle delle versioni vere).



giovedì, aprile 05, 2018

Ma non mi chiedere che penso di te

Quando piove, canzoni sulla pioggia ne trovi quante ne vuoi. Quando c'è il sole; quando sei triste, arrabbiato, innamorato, eccetera: non è mai un problema trovare una canzone.

Ma quando ti senti inadeguato anche se stai dando il massimo e preghi che vada tutto bene anche stavolta e tutta una serie di ingranaggi che stai oliando funzionino al momento giusto invece di incepparsi e trottolare a terra: ce l'hai una canzone per una situazione del genere?

I can't help about the shape I'm in
I can't sing, I ain't pretty and my legs are thin
But don't ask me what I think of you...



Oh Well (part1) è un pezzo miracolosamente sospeso tra improvvisazione e organizzazione. La parte strumentale è un meccanismo complesso in cui tutti devono fare la propria parte e non sgarrare di un trentaduesimo. Manca solo il cantato, e forse Peter Green aveva già capito che preferiva scrivere strumentali. Così a un certo punto il meccanismo si ferma, di botto, e Green canta da solo, mettendo a fuoco già a fine Sessanta la sindrome dell'impostore: non ce la posso fare. Qui tutti mi prendono per il nuovo Eric Clapton, ma anche il vero Eric Clapton non ce la potrebbe più fare. Si aspettano miracoli e ho solo una chitarra in mano. I can't sing, I ain't pretty and my legs are thin. (D'altro canto, sono pur sempre meglio di tutti voi coglioni messi assieme, ma non chiedetemelo, ok?)

Poi la band riparte, e deve spaccare il secondo. E se non ce la fa? Infatti nel video della BBC non ce la fa; Fleetwood sui tom-tom ha come un ripensamento. Green si sta quasi per mettere a ridere, ma riesce a completare la seconda strofa. La sua preghiera. Da recitare ogni mattina, e ogni volta che ti si inceppa qualcosa. Oh, bene.

Now, I talked to God, I knew He'd understand
He said, "Stick by my side and I'll be your guiding hand
But don't ask me what I think of you:
I might not give the answer that you want me to"

È fin troppo facile definire Oh Well (part1) un pezzo bipolare – così facile che non sono riuscito a evitarlo. Green preferiva la seconda parte, uno strumentale che al tempo doveva suonare diverso da tutto ma che oggi è più datato. Oh Well è la canzone da ascoltare quando pensi di te cose bruttissime e allo stesso tempo sai che non devi mollare proprio adesso, e anche Dio, Dio stavolta in te deve crederci. Hai dei crediti da riscuotere. Non chiedere il perché. Non chiedere troppo. Andrà Bene.

(Ne ho parlato con Dio, lui sa che sono stanco: "Guido la tua mano", ha detto, "sta' al mio fianco. Ma non chiedermi che penso di te: potrei dare la risposta che non vuoi da me).

mercoledì, aprile 04, 2018

King, where are your people now?

King, where are your people now ?
Chained and pacified.
Tried in vain to show them how.
And for that you died.
You had a dream of a promised land.
People of all nations walking hand in hand
But they're not ready to accept
That dream situation, yet.
King, where are your people now ?
Chained and pacified.
Tried invain to show them how.
And for that you died.



Il reggae, teoricamente così solare, caraibico, nei primi dischi degli Ub40 prende subito l'odore della pioggia sul cemento e sui mattoni, quell'odore che da noi è particolarmente aprile e a Birmingham magari è tutto l'anno. Martin Luther King, morto ammazzato mezzo secolo fa: un eroe così poco comprensibile fuori dal Nordamerica (e persino laggiù cede il passo a eroi più semplici, cinematografici, lui decisamente non lo era), per quattro minuti di canzone diventa l'eroe sbagliato di tutti gli irredenti, chained and pacified, bianchi e neri: a Birmingham che differenza vuoi che faccia quando piove. E il 4 aprile piove di sicuro.

lunedì, aprile 02, 2018

Got to be a chocolate Jesus

Don't go to church on Sunday
Don't get on my knees to pray
Don't memorize the books of the Bible
I got my own special way
But I know Jesus loves me
Maybe just a little bit more
I fall on my knees every Sunday
At Zerelda Lee's candy store



Well it's got to be a chocolate Jesus
Make me feel good inside
Got to be a chocolate Jesus
Keep me satisfied

(Pasquetta è il giorno in cui di tanta passione ti restano solo mezzi gusci di fondente).

domenica, aprile 01, 2018

Wake Up Dead Man

Jesus
Jesus help me
I'm alone in this world
And a fucked up world it is too.

Tell me
Tell me the story
The one about eternity
And the way it's all gonna be

Wake up
Wake up dead man



(È difficile trovare una canzone interessante sulla Resurrezione. Perfino nel canzoniere ecclesiastico non è che ce ne siano parecchie di buone, rispetto al Natale, soprattutto. È una storia più difficile da raccontare, anche nei Vangeli ruota tutto intorno a un'assenza, a un mistero. In uno dei momenti più discutibili della loro carriera, mentre giocavano a fare i divi, Bono ed Edge mettono giù la Pasqua più laica e disperata che io abbia sentito intonare, con una metafora splendida già passata di moda: if there's an order, in all of this desorder, is it like a tape recorder? Can we rewind it just once more?)

sabato, marzo 31, 2018

You Gotta Let My People Go-Go-Go

Moses went up to the mountain high
To find out from God why did you make us? why?
Secret words in a secret room
He said: "A womp bop a lu bop a lop bam boom.

(E già a questo punto sarebbe un capolavoro, capite).



I did not put you here to suffer
I did not put you here to whine
I put you here to love one another
And to get out and have a good time now now now".

Let my people go-go-go
You gotta let my people go-go-go
Let my people go-go-go
You gotta let my people go

(Si chiamano One Hit Wonder, questa per esempio frulla unicamente nella mia testa almeno dal 1987).

venerdì, marzo 30, 2018

Poterti smembrare coi denti e le mani

"Sapere i tuoi occhi bevuti dai cani".

(È mai esistito un incipit più violento di questo? Non lo so).



La Via della Croce di Fabrizio De Andrè, da quel suo disco-vangelo-apocrifo che lui stesso considerava uno dei suoi album migliori, La buona novella. In effetti è il punto d’arrivo del De Andrè cantastorie e il punto di partenza del De Andrè etnico: c’è già Pagani al flauto, c’è Branduardi alla chitarra, c’è come un senso di Palestina nell’aria. E poi ci sono momenti kitsch e geniali, come appunto Via della Croce, in cui non so se De Andrè o Gian Piero Reverberi colgono un’altra intuizione geniale: la Passione di Gesù come uno spaghetti-western. Se manca qualcosa all’arrangiamento è un’armonica, o piuttosto… no, uno scacciapensieri.

È il 1969, tutti dicono che il disco rifletta la contestazione, ma qui soprattutto riflette tantissimo Morricone, De Andrè non è mai suonato tanto Johnny Cash, tu chiudi gli occhi e vedi volti sanguinosi e sudati e tutto quadra, in modo incredibile, ti rendi conto che un Gesù-spaghetti-western avrebbe avuto molto più senso del Gesù Torture Porn di Gibson, è un vero peccato che nessuno lo abbia proposto a Sergio Leone. Ma probabilmente Paolo VI non avrebbe gradito, erano tempi diversi.

Son pallidi al volto, scavati al torace
non hanno la faccia di chi si compiace
dei gesti che ormai ti propone il dolore
eppure hanno un posto d’onore.
Non hanno negli occhi scintille di pena
non sono stupiti a vederti la schiena
piegata dal legno che a stento trascini
eppure ti stanno vicini.
Perdonali se non ti lasciano solo,
se sanno morir sulla croce anche loro;
a piangerli sotto non han che le madri,
in fondo son solo due ladri.

Due ladri. Clint Eastwood ed Eli Wallach. Perfetti. Cosa ci siamo persi.
"Non dargli retta, Gesù, lui è solo un grandissimo figlio di... uauaua!"

giovedì, marzo 29, 2018

When they came for Him in the garden, did they know?



Saved è un disco che parla per lo più di grazia, di salvezza: non è così strano che la canzone che ha più resistito dal vivo sia quella che guarda in basso, verso l'inferno dei viventi. Anche a Dante è venuto meglio l'Inferno che il Paradiso, no?

No, probabilmente il Paradiso è meglio, ma all'Inferno i profani si accostano più volentieri: le disgrazie dei peccatori essendo comunque più intriganti dell'esultanza dei beati che stucca prestissimo. Forse nel 1987 il Dylan che si sforzava di stare sul palco come una rockstar aveva ormai messo via Solid Rock e Saved perché non erano più credibili. Ma In the Garden, con quella progressione demoniaca – una delle più strane che Dylan si è inventato in tutta la sua carriera, il che non è poi un granché, quante ne avrà usate nella sua carriera? Più di sette, meno di settanta – quella progressione che sembra avvicinarsi all'umanità come la punta del dito di un Accusatore: "quando venne nell'orto, lo sapevano?" "quando parlo alla Città, lo ascoltarono?" – In the Garden funzionava ancora. Gli Heartbreakers l'avevano per quanto possibile trasformata in un oggetto hard rock, rivestendola con un riff martellante che alla fine è Heartbreaker dei Led Zeppelin. Ognuno ha i suoi miti, spiega Bob mentre Petty si fuma una sigaretta: voi avete Michael Jackson o Bruce Springsteen, io... ho questo Signore qui.

mercoledì, marzo 28, 2018

Walking with J

When the saints come down
Trembling on my back
When they synchronize my heads
Forevermore
Be a leader of the pack
And they show me heavens door

We never see exactly where to be
And it never should have gone this far



With Jesus
And they say what he says
And the jerk and the smart-ass
Show off their passes
And want us all to come along

Someone died for you
Don't you think it's true
There's a pot and there's a stew
Would we lie to you
Fill your head with lies?
It's all written in this book

We never know exactly where to go
And it never should have gone this far

With Jesus
And they say what he says
And the jerk and the smart-ass
Show off their passes
And want us all to come along

What's the book you read
Compared to what he said?
Still you substitute your head
And we all go 'round
Searching lost and found
Make us all just tag along

With Jesus
And they say what he says
And the jerk and the smart-ass
Show off their passes
And want us all to come along

martedì, marzo 27, 2018

And you're making me feel like I've never been born

Già che si parlava di Beatles, un aneddoto che dà la misura del mio rincoglionimento primaverile: l'altro giorno ho sentito anch'io come tutti che Paul McCartney stava marciando a New York per il controllo delle armi da fuoco, e che aveva dichiarato: "uno dei miei migliori amici è stato ucciso qui nei pressi". E ricordo di aver pensato: sì? Hanno ucciso un amico di Paul? Beh ma mi dispiace. Poi mi sono riaddormentato, e per altre 12 ore non ho capito a chi si stava riferendo.



(Da Revolver è passato più di mezzo secolo, di opportunità per stravolgere le canzoni pop e trasformarle in qualcos'altro ne abbiamo avute infinite, eppure continua a non venirmi in mente niente di più estremo di quell'inciso in 3/4 di She Said She Said. È l'equivalente di rompere la tela di un quadro, e poi riaggiustarla appiccicandoci il disegno di un bambino. When I was a boy everything was fine).

(Ho scoperto che Revolver era uno dei dischi preferiti di Fabrizio Frizzi – uno dei pochi presentatori italiani che sapevano stare in scena senza rubarla agli ospiti. Di chi vuole bene ai Beatles ti puoi fidare, in generale).

lunedì, marzo 26, 2018

Please don't wake me no don't shake me

A volte sui social c'è gente che butta lì domande qualsiasi che mi mettono ansia, del tipo: qual è la tua canzone dei Beatles preferita?

Che domanda scema.

Però sul serio, qual è?

Ma che ne so scusa, non ho neanche il tempo per pensarci.

Tanto ci stai già pensando.

Boh davvero, guarda, non saprei, probabilmente...

Hai paura di rispondere troppo banale?

Io? Ahah, no.

Let It Be?

Mai sopportata.

I Am the Walrus?

Ma no, siamo seri, dai.

Ti avverto: nel thread ci sono già tre che per sentirsi originali...

Ma chi è che vuole sentirsi originale sui Beatles, suvvia.

...hanno detto Tomorrow Never Knows.

MALEDETTI!

Era perfetta, lo so. Come Together?

Ma alla fine, per carità, ho molta stima per la mozione Come Together, ma alla fine insomma è un blues, dai. Cioè non è così rappresentativo del...

Oh! Darling.

Una volta mi piaceva tanto, adesso non la sopporto. Triste.

Ma sei sicuro che ti piacciono i Beatles?

Già.

Ma è possibile che non riesci ad avere una canzone preferita, una band preferita, un piatto, un colore...

Va bene, sono strano, lo so da 40 anni, adesso se ti spiace ho da fare... (sviene dal sonno sulla poltrona, perché sai, la primavera, l'ora legale ecc.).

(Per favore non svegliatelo, non scuotetelo, lasciatelo lì dov'è, sta solo dormendo).




MOTIVI PER CUI DAVVERO I'M ONLY SLEEPING POTREBBE ESSERE LA MIA CANZONE DEI BEATLES PREFERITA.

– Non capiva nulla di politica, era un disastro con le donne, ma quando parla di sonno Lennon sa maledettamente di cosa sta parlando.
– Tutti quei suoni fuori posto, come le luci del mattino appena cambiano l'ora solare, quei coretti che sanno esattamente di mattino presto al punto che fa strano sentirli a qualsiasi altra ora del giorno e della notte, e quell'assolo alla rovescio.
– Quell'assolo di chitarra alla rovescio che ti fa pensare che il sonno sia l'altro lato della veglia.
– C'è un tipo di inciso che solo Lennon sa scrivere. È solo un mezzo inciso. A un certo punto della canzone tu ti aspetti tot battute, lui le taglia a metà e poi riparte con la strofa come se niente fosse, come un ripensamento. Lyin' there and staring at the ceiling.
– Sai, la primavera, l'ora legale, ho esaurito i caffè, ti ho detto che alle cinque ero in riunione e mi hai chiamato alle cinque un quarto e mi hai chiesto: stai dormendo?

sabato, marzo 24, 2018

Little Girl in Bloom (Thin Lizzy)

Forse bisognerebbe fare come in Toscana nel medioevo, contare gli anni a partire dal 25 marzo, l'annunciazione di Maria. Se oggi concepisci un bambino, dovrebbe nascere intorno a Natale. Come lo concepisci poi è affar tuo, vero?

I Thin Lizzy nel '73 erano un power trio che ce la stava mettendo tutta, ma se vieni dall'Irlanda forse è più difficile. Volevano fare hard rock, ma riuscivano ad andare in classifica soltanto con le ballate folk. Il loro frontman, Phil Lynott, aveva tratti somatici ben poco celtici (suo padre veniva dalla Guyana), un approccio pre-punk al basso e un occhio insolitamente attento a quello che gli succedeva intorno, per le piccole storie suburbane alla Kinks – ma la gente voleva sentir cantare di eroi e folletti e vite esagerate. Ai Thin Lizzy nel '73, tra qualche pezzo hard rock e qualche ballata capitò di incidere Little Girl in Bloom, che è più o meno come se a un imbrattatele sconosciuto di Dublino capitasse di dipingere un Guido Reni.

È un brano senza tempo, che non è necessariamente un complimento. A me piace che i brani abbiano un tempo riconoscibile, mi piace sorseggiarli e affermare con sicumera "questo è un '76", "questo è decisamente un '93". Little Girl in Bloom non è niente del genere, è un pomeriggio nuvoloso, è una ragazza alla finestra che guarda gli uomini giocare a cricket. Ha un segreto nel grembo, deve spiegarlo a suo padre, sarà complicato. Rilassati, le dice Lynott. Aspetta di essere sola con lui. È difficile trovare le parole giuste in certi casi, specie se nel frattempo stai anche suonando il basso, ma per Lynott non è un grosso problema: non fa che suonare due note, per quasi tutta la canzone. Una cosa piuttosto barbara per gli standard del '73, ma sai che c'è? Non importa più.



Little girl in bloom
All the clouds will go drifting by
So sing your lullabying tune
Every word is in your eyes
As you sit and softly croon
Little girl in bloom
Your love it fills the air
With the scent of the sweetest, sweet perfume
You feel so good you just don't care
You're gonna be a mammy soon

Poi, quando l'angelo alla finestra ha detto tutto quel che poteva dire – e magari la partita di cricket è finita, il sole è tramontato, il papà sta salendo le scale – all'improvviso il chitarrista si risveglia ed è come se la canzone cominciasse solo a quel punto. Buon anno. Diventeremo tutti più grandi, da qui a Natale.

(Questo disco non andò nemmeno in classifica. Qualche anno dopo i Thin Lizzy riuscirono a sfondare con The Boys Are Back in Town, e divennero il gruppo rock anni '70 che speravano di diventare. Quei '70 in realtà stavano già finendo, e lo stesso Lynott non sarebbe sopravvissuto di molto. Ma sai che c'è? Ha scritto Little Girl in Bloom).

venerdì, marzo 23, 2018

Piaceri proibiti: Che resta di un sogno erotico se...

Voglia di stringersi e poi
vino bianco, fiori e vecchie canzoni
e si rideva di noi...
che imbroglio era?
Maledetta primavera.

Che resta di un sogno erotico se
al risveglio è diventato un poema?
Se a mani vuote di te
non so più fare
come se non fosse amore
se per errore
chiudo gli occhi e penso a te.

SEEE PER INNAMORARMI ANCORA
TORNERAAAAAAAAAI
MALEDETTA PRIMAVERA
CHE IMBROGLIO SEEEEEEEEEEEE
PER INNAMORARMI BASTA UN'ORA...

CHE FRETTA C'ERA?
MALEDETTA PRIMAVERA!
CHE FRETTA C'ERA?
se fa male solo a me.


Che resta dentro di me
di carezze che non toccano il cuore?
Stelle una sola ce n'è
che mi può dare
la misura di un amore
se per errore chiudi gli occhi e pensi a me.

SEEEEE PER INNAMORARMI ANCORA
TORNERAA AAA AAAA AAAAAI
MALEDETTA PRIMAVERA
CHE IMPORTA SEE EEE EEEE EEE EEE EEE EEE EEE EEEE
PER INNAMORARMI BASTA UN'ORA:

CHE FRETTA C'ERA?
MALEDETTA PRIMAVERA!
CHE FRETTA C'ERA?
MALEDETTA COME ME.

Lasciami fare
come se non fosse amore
ma per errore
chiudi gli occhi e pensa a me.

giovedì, marzo 22, 2018

Risveglio di primavera

Temo che Mondi Lontanissimi sia stata la prima musicassetta che ho posseduto legalmente, senz'altro un regalo di compleanno. Ero già abbastanza consapevole che non valeva La voce del Padrone e nemmeno L'arca di Noè, ma era pur sempre Battiato. Non c'era niente come Battiato, era proprio un universo a parte. (Almeno non sembrava fatto tutto con le tastierine Roland, come Orizzonti Perduti).



Ero talmente giovane da non trovare dissonante il fatto che l'innamoramento, invece di procedere con la primavera, per Battiato sembri terminare proprio in quel momento, quando finalmente ci si risveglia (che è l'effetto che mi fanno ancora le prime giornate di sole, e certi fantasmi che ho avuto davanti per mesi scompaiono all'improvviso senza salutare né dare appuntamento). Ché poi magari Battiato voleva dire il contrario, Battiato è goffissimo coi versi. ("Vedere ballare il flamenco / era un'esperienza sensualissima"). Ero troppo giovane per rendermene conto. Meno male.

Mentre mi studiavo Dylan ho letto da qualche parte che i dischi prodotti nel 1985 sono quelli che sono invecchiati peggio in assoluto. Mondi Lontanissimi in effetti risente del fatto che nel frattempo abbiamo tutti imparato l'inglese e dimenticato quanto fosse assurdo il batt-inglese: No Time No Space è effettivamente improponibile, mi domando quand'è l'ultima volta che l'ha cantata ("keep your feelings in memory!") Anche il rap freddo di Chanson Egocéntrique mi lascia molto più freddo, e i Treni per Tozeur senza Alice lascia a disagio. Però c'è l'Animale, c'è Via lattea, ci sono un paio di brani molto gigioni che facevano ridere già allora (Personal Computer, Temporary Road) e questo pezzo sospeso tra l'europop e il Medio Oriente che si difende ancora bene. Quell'anno la portò anche a uno di quei festival estivi un po' tristi: per l'occasione conciò sé stesso e la band da garibaldini. Per un siciliano che canta una cosa un po' neoborbonica dev'essere l'equivalente delle spille con le svastiche per i punk inglesi.