martedì, dicembre 22, 2009

Narrare l'insurrezionalismo

Non so a voi, ma a me quando leggo articoli sull’anarco-insurrezionalismo e dintorni resta sempre come un senso di mah. Cosa avrà voluto dire l’autore? Prendete l’ultimo articolo di Colaprico, che pure è uno che dovrebbe intendersene. Prendete l’ultimo Leonardo sull’Unità.it, che pure è uno che quando non se intende setaccia mezza internet. Eppure se alla fine ti chiedi cosa hai letto negli ultimi cinque minuti...mah. Ricordo un articolo dell’Espresso di tanti anni fa, agli albori delle bombette anarco-ecc, in cui sostanzialmente il giornalista telefonava al grande vecchio dell’anarco-insurrezionalismo contemporaneo, Alfredo Maria Bonanno, per sentirsi buttare giù il telefono. Eppure riusciva a scriverci lo stesso un pezzo che s’intitolava più o meno “Chi c’è dietro la scia di attentati”. Poi leggevi il pezzo e non capivi chi ci fosse. L’unica notizia è che a Trieste esisteva un tizio che era considerato, a torto o a ragione non si sa, il teorico delle bombette.

Allora voglio provare io a dare una mano agli aspiranti narratori dell’anarco-insurrezionalismo a trovare almeno una storia degna di essere raccontata. Leggetevi un libro. S’intitola Le scarpe dei suicidi (Tobia Imperato, Autoproduzioni Fenix, 2003). Ok, tecnicamente parlando non si racconta di insurrezionalisti ma di squatter. Perché dovete sapere che gli squatter torinesi, che pure si autodefiniscono anarco-insurrezionalisti, non sono riconosciuti come tali dagli altri insurrezionalisti. Quelli che si ritrovano in un posto che si chiama El Paso "né centro, né sociale, né squat”. Ma queste sono quisquilie che interessano solo gli addetti ai lavori. La storia, dicevo. Parla di tre tizi, chi ha più di 30 anni potrebbe ricordarli vagamente nei titoli di qualche telegiornale, conosciuti come Sole, Baleno e Silvano. Ma non parla solo di loro. Parla ad esempio della Val di Susa. Che non è un paradiso perduto popolato di eremiti con l’odio per i treni veloci, no. E’ un posto la Val di Susa che se leggerete il libro vi chiederete in quale provincia della Sicilia si trovi. Ma non parla solo della Val di Susa. Parla anche di magistrati, soprattutto un certo Laudi morto qualche mese fa, e di quello che possono fare i magistrati quando non cercano la verità ma un colpevole a tutti i costi. Ma non parla solo di magistrati. Parla anche di servizi segreti, di bombette che scoppiano contro i lavori della TAV (nel 1997), di squatter che ostendono le pudenda quando Torino ostende la Sindone, di preti con la pistola, di armerie che fanno traffici con la complicità dei carabinieri. E la cosa veramente straordinaria è che non si tratta di analisi dietrologiche ma di fatti di dominio pubblico. Le scarpe dei suicidi è un libro minuziosamente documentato, senza una riga che non abbia un riferimento a un articolo di giornale, a un atto giudiziario, a un fatto di cronaca. Le scarpe dei suicidi è un libro totalmente di parte, completamente militante, dove ogni carabiniere e ogni poliziotto viene chiamato sempre e solo “sbirro”. Per questo motivo Le scarpe dei suicidi è un libro che non ha nessuna possibilità di uscire dal piccolo circuito alternativo al quale è relegato e al quale si è voluto autorelegare. E questo è un peccato. Perché Le scarpe dei suicidi è soprattutto la storia di tre sfigati. Questo e non altro sono i tre squatter anarco-insurrezionalisti di cui si parla. Tre irregolari, che vivono dentro l’ex obitorio del manicomio di Collegno, ladruncoli a tempo perso in cantieri edili e supermercati. Quando verranno coinvolti in una cosa più grande di loro non avranno gli strumenti per difendersi, gli verranno prospettati anni di carcere, tanti, e due di loro decideranno di andarsene prima. Il terzo verrà assolto. (1)



(1) Riconosciuto innocente dalle accuse di terrorismo, verrà derubricato a ladruncolo e ricettatore di crocifissi dalla Corte di Cassazione nel 2001.

3 commenti:

  1. Beh, la sensazione di avere a che fare con sfigati che si ficcano in guai molto più grandi di loro c'è.

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  2. non voglio banalizzare. sfigati, nella distanza siderale che mi separa da loro, era in senso anche "affettuoso", perchè non stiamo parlando di fighetti che fanno gli alternativi per moda. Nella non condivisione delle loro scelte c'è anche la consapevolezza che non tutti riescono a "starci dentro". A considerare sopportabile il grado di integrazione con la realtà di questo mondo necessario a un mediocre impiegato come me.

    In questo caso poi nei guai ce li hanno ficcati altri. Teoricamente tanto normali ed equilibrati da essere arbitri in terra del bene e del male. Loro erano facili prede e per questo sono stati oggetto, volendo chiamare le cose col loro nome, di una persecuzione giudiziaria.

    Poi ci sarebbe il discorso sulla legislazione antiterrorismo italiana e sull'uso del articolo 270bis come una clava. Che visto da vicino fa davvero impressione. Ma ci porterebbe lontano dalla storia specifica e dalla sua narrazione

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  3. aggiornamento: ho trovato l'articolo a cui facevo riferimento. Non è dell'Espresso ma di Panorama e non è nemmeno così vecchio come me lo ricordavo. Ma le sciocchezze ci sono ancora tutte (tra l'altro si indica Modena come una delle città in cui ha più aderito l'insurrezionalismo, ah ah)

    http://archivio.panorama.it/home/articolo/idA020001016840

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